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La manovra 2025 è stata approvata: non ci saranno riduzioni di tasse. Ecco quali sono le novità fiscali
Nel 2025 la riduzione delle tasse non ci sarà. Né per le imprese, né per la grande maggioranza dei cittadini. Guadagneranno qualcosa, rispetto a quest’anno, solo pochi contribuenti con redditi da lavoro dipendente e qualche pensionato che potrà accedere alla flat tax. Per i meno abbienti non cambia niente, il ceto medio dovrà attendere ancora per avere qualche sgravio, mentre per i più ricchi le tasse aumenteranno.
Sgravi a chi assume
A conti fatti la manovra di bilancio del prossimo anno è molto pesante per le imprese, nonostante l’avvio dell’Ires premiale. Lo sconto di 4 punti per chi reinveste l’80% degli utili e aumenta l’occupazione vale 400 milioni di euro, ed è una misura molto selettiva. In manovra ci sono le mini deduzioni per le assunzioni al Sud, più soldi sulla Zes (600 milioni) e incentivi più facili con Transizione 4.0 e 5.0. Non compenseranno, tuttavia, la cancellazione di Decontribuzione Sud e dell’Aiuto alla Capitalizzazione, saltato già nel ‘24.
Il fisco, poi, colpirà in modo particolare banche e assicurazioni, con un prelievo di 3 miliardi nel ‘25. Per le banche slitta la deducibilità di alcune poste di bilancio, mentre le assicurazioni saranno chiamate a versare l’imposta di bollo ogni anno sulle polizze vita. Nel primo caso si tratta di un anticipo di somme che le banche recupereranno, nel secondo c’è il rischio che il costo del prelievo sia traslato sui clienti.
Cuneo e flat tax
Gran parte dei fondi della manovra, 18 miliardi su 30, vengono assorbiti per confermare definitivamente la riduzione a tre delle aliquote Irpef (4,7 miliardi) e gli sgravi per i dipendenti con i redditi più bassi (13 miliardi). Il taglio in busta paga, nel ‘25, sarà esteso ai redditi da 35 a 40 mila euro. Sale da 30 a 35 mila euro il limite di reddito da pensione o da lavoro dipendente per l’accesso alla flat tax al 15% sulle attività di lavoro autonomo.
Stretta sulle detrazioni
Per recuperare risorse, però, la manovra prevede anche una decisa sforbiciata alle detrazioni fiscali, che interessa anche i redditi più bassi.
Sparisce, ad esempio, la detrazione per i figli a carico oltre i 30 anni, che vale 400 milioni l’anno, come quella per i familiari dei cittadini non italiani o europei (altri 100 milioni). Vengono poi ridotte le detrazioni fiscali per la ristrutturazione delle seconde case (dal 50 al 36%).
Tetto per i redditi alti
Per i redditi più alti arriva poi un tetto in cifra assoluta alle spese detraibili, variabile in funzione del numero dei figli a carico. Oltre i 75 mila euro di reddito la spesa detraibile massima è di 14 mila euro, che si riduce fino a 7 mila euro se non si hanno figli. Superata la soglia dei 100 mila euro di reddito, il tetto di spesa scende a 8 mila euro (se si hanno due figli), fino a 4 mila euro (senza figli a carico).
Dal nuovo tetto alle detrazioni sono escluse solo le spese sanitarie e quelle per le polizze anticalamità, e non valgono per il futuro quelle relative alle ristrutturazioni edilizie e per gli interessi dei mutui stipulati in passato. Altra misura che impatta sui redditi più alti è l’addizionale Irpef del 10% sulle stock options dei dirigenti delle imprese del settore finanziario.
Benefit e criptovalute
Oltre al nuovo regime delle detrazioni, ci sono altre misure fiscali della nuova legge di Bilancio che rischiano di pesare sulle tasche dei contribuenti. La stretta sulle auto aziendali concesse in uso ai dipendenti, ad esempio, è pesante (vale 25 milioni nel ‘25 e 120 a regime), e colpisce a prescindere dal reddito. Altra norma fiscale discussa è l’aumento dell’aliquota sulle plusvalenze sullo scambio delle criptovalute. Alla fine salirà dal 26 al 33% (e non al 42%), anche se sparisce la franchigia di 2 mila euro che esisteva finora.
Tasse in più, dunque, e non in meno. Le aspettative di uno sgravio sui redditi del ceto medio, tra i 28 e i 50/60 mila euro, legate all’esito del concordato fiscale per gli autonomi, coltivate fino a pochi giorni fa, sono state deluse. Il gettito del patto fiscale con le partite Iva è stato di 1,6 miliardi di euro, quando per la riduzione dell’aliquota intermedia del 35% ce ne sarebbero voluti almeno il doppio.
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