Il pasticciaccio di Circo Massimo è indicativo di una condizione più larga. Non si tratta di una caso di censura o, peggio ancora, del fantomatico woke, che ormai viene evocato per spiegare qualsiasi cosa, dall’esito delle presidenziali statunitensi alla nascita dell’internazionale sovranista.
Siamo di fronte a un caso emblematico della difficoltà delle amministrazioni comunali, di fronte alla potenza del mercato e al sorgere di fenomeni nuovi, nel marcare la linea delle politiche culturali.
Le ultime notizie testimoniano l’impazzimento generale.
Il trapper Tony Effe annuncia che il suo concerto del 31 dicembre al PalaEur sarà una «grande festa» e lascia supporre che ci saranno anche Mahmood e Mara Sattei, che dovevano accompagnarlo all’evento dell’amministrazione comunale.
Il Codacons chiede che sia revocato l’uso della struttura. Il paradosso è che è proprio il Comune di Roma a concedere lo spazio, anche per fugare le grottesche accuse di censura. Intanto, diversi esponenti della destra chiedono che il trapper venga escluso anche dal Festival di Sanremo.
CHI SCOPRE solo in questo caso il diritto alla libertà di parola fa sorridere, ma è evidente che non è questo il modo di affrontare situazioni del genere. Bisognerà mettersi a studiare e osservare fenomeni del genere con umiltà, per capire il motivo per cui un ragazzotto che viene dalla borghesia romana e che gioca a fare il maschio alfa, con testi e musiche che più che creare scalpore generano imbarazzo (i più giovani leggano cringe) sia in grado di riempire nel giro di qualche ora un palazzo dello sport.
Tuttavia, il succedersi degli eventi fa comprendere che dietro alle gesta del trapper di Monti, quartiere tutt’altro che periferico, ci siano le risorse economiche ingenti e investimenti non da poco delle major.
Sarebbe troppo dire che queste ultime abbiano hanno orchestrato tutta l’operazione, di certo sono riuscite a mettere a valore ogni accadimento: prima incassando i dividendi dei loro artisti ingaggiati come headliner del capodanno romano e poi lucrando, in termini di immagine e ritorno economico, sull’affaire Circo Massimo e sulle polemiche.
Il Campidoglio ha subito il gioco altrui senza riuscire a imporre il proprio discorso. Adesso Tony Effe è pronto per Sanremo e c’è da scommettere che si presenterà con un brano laccato e (questo sì) politicamente correttissimo.
Il succedersi degli eventi fa capire che dietro alle gesta del trapper di Monti, quartiere tutt’altro che periferico, ci siano risorse economiche ingenti e investimenti delle major
PER RICOSTRUIRE il disallineamento tra sinistre e pop music (di questo si tratta: di musica mainstream fatta per essere impacchettata e venduta sul mercato) ci vorrà tempo.
Ciò che possiamo fare da subito è osservare la mancanza di una linea politico-culturale dietro alle scelte artistiche dei grandi eventi della capitale. Da questa assenza di direzione artistica discendono scelte inconsapevoli e retromarce difficili da gestire.
LA PRIMA COSA che salta all’occhio è questa divisione di ruoli incomprensibile, laddove i grandi eventi vengono appaltati al turismo e al commercio e l’assessore alla cultura, che pure avrebbe l’attitudine e la competenza per dare continuità al cartellone delle iniziative capitoline, non ha voce in capitolo.
In questo modo, l’unico criterio per scegliere gli eventi e assegnarli a impresari e promoter è il mercato.
La città che già viene inghiottita pezzo a pezzo dagli algoritmi delle piattaforme digitali trasforma il suo patrimonio in location per spettacoli mordi e fuggi.
TUTTO CIÒ fa sospettare che la cultura non rappresenti un investimento strategico della giunta Gualtieri. Forse non è un caso che il primo nome scelto dal sindaco, lo storico dell’età moderna Miguel Gotor, abbia fatto un passo indietro giusto due mesi fa, con la motivazione ufficiale che gli serviva più tempo per dedicarsi alle questioni personali, lasciando il passo a Massimiliano Smeriglio.
Alcune cose si stanno facendo: un bando da 5 milioni di euro che predilige gli eventi in periferia, le infrastrutture delle circa 80 tra biblioteche e aule studio sparse sul territorio, una serie di eventi e musei a ingresso gratuito marcheranno l’inizio dell’anno, il tema del patrimonio storico che viene fruito da turisti e non dagli abitanti delle zone più lontane dal centro.
IL PROBLEMA è più vasto, come evidenziato dalla scissione tra i grandi eventi e le linee guida della programmazione culturale. Può un sindaco che annuncia fin dalla campagna elettorale di voler rigenerare la città grazie a grandi eventi, mega-progetti e fondi del Pnrr evitare di pensare che tutto ciò non debba accompagnarsi anche alla capacità di maneggiare i codici culturali e la grammatica dei linguaggi giovanili? Ciò significa, gramscianamente, avere dimestichezza con le storie che circolano nella metropoli e le infrastrutture narrative che reggono la vita delle persone che la vivono.
Da qui deriva l’ulteriore anomalia: fa un po’ specie che la città che più di trent’anni fa ha generato le prime esperienze del rap cantato in italiano (che traeva la sua street credibility dalla voce delle lotte e della consapevolezza sociale) si debba ricorrere alle pallide imitazioni dei gangsta-trapper dei muretti dei quartieri bene per cercare di incrociare il gusto del pubblico.
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