Il divieto di pubblicazione delle ordinanze che applicano misure cautelari personali in G.U.

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Il recepimento della direttiva sulla presunzione di innocenza

Come è noto, la direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, ha previsto il rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza, oltre a quello del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali. In particolare, l’art. 3 della direttiva stabilisce che “gli Stati membri assicurano che agli indagati e imputati sia riconosciuta la presunzione di innocenza fino a quando non ne sia stata legalmente provata la colpevolezza”. L’art. 4, par. 1, invece, prevede che gli Stati membri siano tenuti ad adottare le misure necessarieper garantireche, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole.

La direttiva è stata recepita con il D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 188 che reca, appunto, “Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali” (sul D.Lgs., tra gli altri, G.M. Baccari, Le nuove norme sul rafforzamento della presunzione di innocenza dell’imputato, in Dir. pen. proc. 2022, 2, 159).

Successivamente, l’art. 4, comma 1, della L. 21 febbraio 2024, n. 15, Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2022-2023, al fine di garantire l’integrale e compiuto adeguamento alla direttiva, anche per integrare quanto disposto dal d.lgs. citato in precedenza nonché di assicurare l’effettivo rispetto dell’art. 27, comma 2, della Cost., ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

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Il successivo comma 3 della stessa disposizione, in attuazione degli artt. 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343 ed in forza diritti sanciti dagli artt. 24 e 27 Cost., ha fissato, tra i principi e i criteri direttivi generali del decreto legislativo, “il divieto di pubblicazione integrale o per estrattodel testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”.

La legge delega è stata attuata con il D.Lgs. n. 198/2024, che ha riformato l’art. 114 c.p.p.

Il fondamento costituzionale delle regole sulla pubblicazione degli atti processuali

La disciplina codicistica della pubblicazione degli atti processuali, contenuta nell’art. 114 c.p.p., persegue il bilanciamento della presunzione di innocenza con la libertà di stampa, diritti tutelati dalla Costituzione e dalle fonti sovranazionali.

Il diritto di cronaca sancito dall’art. 21 della Carta costituzionale, “pietra angolare del sistema democratico” (CEDU 24/4/1979, Sunday Times c. Regno Unito), è un principio connaturato allo stato di diritto, che è caratterizzato dalla separazione tra poteri, con controllo dell’opinione pubblica sull’esercizio del potere per l’insostituibile tramite dei mezzi di informazione. Detto diritto va coordinato con altri diritti tutelati dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali come la segretezza processuale e la presunzione di innocenza. I rapporti fra giustizia ed informazione, pertanto, necessitano di un ragionevole bilanciamento di valori confliggenti.

Il divieto di pubblicazione di atti ed immagini

L’art. 114, comma 1, c.p.p. prevede il divieto generale di pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto. Si tratta del cd. divieto assoluto che investe gli atti coperti dal segreto investigativo come determinato dall’art. 329 c.p.p. Il divieto, che riguarda “il mezzo della stampa o altro mezzo di diffusione”, colpisce sia il testo dell’atto, “anche parziale o per riassunto”, sia il suo contenuto.

In particolare, secondo l’opinione dottrinale prevalente, la pubblicazione delcontenuto dell’atto processuale va intesa come divulgazione di informazioni sull’atto processuale, senza riproduzione integrale o parziale dello stesso, cioè come diffusione di notizie inerenti all’espletamento dell’atto, in forma di riassunto, che comunque non consista in una sua riproduzione testuale.

Il regime di segretezza, ai sensi dell’art. 329, comma 1, c.p.p., viene meno quando l’indagato ha avuto conoscenza dell’atto ovvero con la chiusura delle indagini preliminari.

Caduto il segreto, tuttavia, gli atti non divengono perciò solo liberamente pubblicabili.

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Il comma successivo dello stesso art. 114 c.p.p., infatti, stabilisce il divieto di pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto, che opera fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare.

A questo punto, il divieto investe unicamente la riproduzione testuale, ancorché parziale, dell’atto, ma non riguarda il suo contenuto.

Più precisamente, l’art. 114 c.p.p. disciplina una serie di divieti di pubblicazione, anche parziale, degli atti, costruiti in rapporto alla progressione del rito (art. 114, comma 3, c.p.p.) o relativi ad atti processuali ritenuti particolarmente lesivi della riservatezza, come le intercettazioni (art. 114, comma 2-bis, c.p.p.). Il diritto di cronaca è salvaguardato dalla possibilità di pubblicare il contenuto degli atti processuali non più coperti dal segreto, cioè, come si è visto, di notizie relative agli atti (art. 114, comma 7, c.p.p.).

Appare opportuno precisare, infine, che l’art. 114, comma 2, c.p.p. riferisce testualmente il divieto della pubblicazione, anche parziale, agli atti “non più” coperti dal segreto. E’ discusso il regime degli atti delle indagini preliminari che non siano mai stati coperti dal segreto. Si tratta, ad esempio degli atti compiuti dal GIP, come l’incidente probatorio, dell’interrogatorio della persona sottoposta all’indagine, del provvedimento di sequestro o dell’informazione di garanzia.

Secondo un orientamento, pur in mancanza di una specifica previsione normativa, il divieto di pubblicazione di tali atti si desumerebbe dall’art. 114, comma 2 e 3, c.p.p., posto che è previsto il divieto di pubblicazione degli atti del fascicolo del pubblico ministro. Alcune sentenze sembrano aver aderito a questa prospettiva, nel momento in cui hanno precisato che non vi è perfetta equiparazione tra ciò che diviene conoscibile all’interno del procedimento e la sua divulgabilità (Cass. pen., Sez. I, n. 32846 del 4/6/2014; Cass. pen., Sez. V, n. 3896 del 3/10/2002, dep. 2003, in CED Cass. n. 224273 relativa all’ipotesi di notifica all’imputato dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere.).

La pubblicazione dell’ordinanza dispositiva di una misura cautelare personale

L’art. 114, comma 2, c.p.p. è stato riformato dall’art. 2 del D.Lgs. n. 216/2017, con l’inserimento dell’inciso “fatta eccezione per l’ordinanza cautelare indicata dall’art. 292”. Questa norma, in vigore dal 26 gennaio 2018, ma efficace, ai sensi dell’art. 9, comma 2, dello stesso D.Lgs. n. 216/2017, a decorrere dal 1° settembre 2020, ha escluso dal divieto di pubblicazione l’ordinanza cautelare, ritenendo prevalente, sulla riservatezza degli interessati, l’interesse pubblico alla conoscenza dell’addebito cautelare e delle esigenze di cautela, anche nella prospettiva del controllo sull’attività giudiziaria.

La norma, espressione del bilanciamento tra diritti confliggenti, mirava a permettere una più genuina fruizione di informazioni e notizie a beneficio dell’opinione pubblica (D. Pretti, Prime riflessioni a margine della nuova disciplina sulle intercettazioni, in Dir. pen. contemp. 2018, 1, 219).

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La formulazione della disposizione, peraltro, ha sollevato diverse perplessità.

Anche prima della riforma, infatti, una opinione dottrinale sosteneva che le ordinanze dispositive di una misura cautelare personale non costituissero atti d’indagine coperti da segreto o, quanto meno, che ne fosse pubblicabile il contenuto una volta venuto meno il segreto, ai sensi dell’art. 114, comma 7, e 329 c.p.p., cioè, quando “l’imputato non ne possa avere conoscenza” (cfr., tra gli altri, A. Camon, Intercettazioni e fughe di notizie: dal sistema delle circolari alla riforma Orlando, in Arch. Pen. 2017, 2, 8; A. Vele, Riforma delle intercettazioni, riservatezza e selezione dei dati, in Proc. pen. giust. 2019, 6, 1527). La giurisprudenza, sul punto, ha precisato che la notifica all’indagato dell’ordinanza cautelare fa venir meno l’obbligo del segreto intraprocessuale, ma non esclude il divieto di pubblicazione, atteso che va fatta distinzione tra atti coperti da segreto ed atti non pubblicabili, in quanto, mentre il segreto opera all’interno del procedimento, il divieto di pubblicazione riguarda la divulgazione tramite la stampa e gli altri mezzi di comunicazione sociale (cfr. Cass. pen., Sez. V, n. 3896 del 3/10/2002, dep. 2003, in CED Cass. n. 224273 – 01, relativa alla pubblicazione dell’ordinanza cautelare).

Il legislatore, inoltre, intervenendo con maggiore precisione, avrebbe dovuto prevedere, in maniera esplicita, che l’ordinanza cautelare dovesse essere coperta dal segreto fino a quando, a seconda dei casi, non fosse eseguita o notificata, in modo da rafforzare lo scopo della riforma, cioè la garanzia della riservatezza (G. Giostra, Il segreto estende i suoi confini e la sua durata, in G. Giostra – R. Orlandi (a cura di), Nuove norme in tema di intercettazioni. Tutela della riservatezza, garanzie difensive e nuove tecnologie informatiche, Torino, 2018, 131).

Con lo stesso art. 2 del D.Lgs. n. 216/2017, peraltro, è stato interpolato l’art. 329 c.p.p., prevedendo ad una nuova perimetrazione del segreto nelle indagini preliminari.

E’ stato stabilito che sono coperti da segreto non solo “gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria”, ma anche “le richieste del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tale richieste”. In queste ultime categorie di atti coperti da segreto “fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza”, in particolare in quella delle “richiesta del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti di indagine”.

Non è sembrato chiaro, tuttavia, se, dopo la riforma dell’art. 329 c.p.p., si potesse includere tra “le richieste del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti di indaginee gli atti del giudice che provvedono su tale richieste” la richiesta del pubblico ministero dell’ordinanza cautelare e il provvedimento successivo del giudice.

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Accogliendo la soluzione positiva, comunque, sarebbe stato necessario prevedere, in maniera esplicita, che la richiesta cautelare e l’ordinanza successive dovessero ritenersi coperti dal segreto fino all’esecuzione del provvedimento.

La nuova riforma dell’art. 114 c.p.p.

L’art. 2 del D.Lgs. 10 dicembre 2024, n. 198, procedendo ad una nuova attuazione della direttiva comunitaria citata, ha apportato due modificazioni all’art. 114 c.p.p.:

a) al comma 2, le parole «, fatta eccezione per l’ordinanza indicata dall’articolo 292» sono state soppresse;

b) dopo il comma 6-bis, è stato aggiunto il seguente: «6-ter. Fermo quanto disposto dal comma 7, è vietata la pubblicazione delle ordinanze che applicano misure cautelari personali fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare.».

Le nuove disposizioni, quindi, hanno introdotto il divieto di pubblicazione dell’ordinanza cautelare (art. 114, comma 6-ter, c.p.p.).

Il divieto, peraltro, non riguarda soltanto, come previsto dalla legge delega in precedenza citata, le “ordinanze di custodia cautelare” (cioè, le ordinanze con cui sono disposte le misure della custodia cautelare in carcere ex art. 285 c.p.p. ed in un luogo di cura, ai sensi dell’art. 286 c.p.p. nonché quelle con cui sono applicati gli arresti domiciliari, perché, ai sensi dell’art. 284, comma 5, c.p.p., “l’imputato agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia cautelare”), ma si rivolge ai provvedimenti che dispongono misure cautelari personali.

Le ordinanze che dispongono misure diverse dalla custodia cautelare, le quali per l’esecuzione sono notificate all’indagato (art. 293, comma 2, c.p.p.), perciò, sono statericomprese nell’area operativa del nuovo divieto di pubblicazione.

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La norma del d.lgs., pertanto, si è distaccata dal tenore della legge delega, la quale più che un “principio” o un “criterio direttivo” secondo le previsioni dell’art. 76 Cost. – conteneva un precetto estremamente preciso.

In tal modo, per un verso, è stato apportato un rimedio alla irragionevole esclusione, dal novero dei provvedimenti da non pubblicare testualmente, delle altre ordinanze cautelari, come ad esempio quelle applicative di una misura interdittiva, la cui motivazione potrebbe provocare un pregiudizio per destinatario analogo a quello determinato dai provvedimenti custodiali.

Per altro verso, il decreto legislativo ha esorbitato i margini della delega, in quanto l’art. 4 della L. 21 febbraio 2024, n. 15, fa riferimento alla sola “ordinanza di custodia cautelare”.

Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza costituzionale, in verità, la previsione di cui all’art. 76 Cost. non osta all’emanazione, da parte del legislatore delegato, di norme che rappresentino un coerente sviluppo e un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dovendosi escludere che la funzione del primo sia limitata ad una mera scansione linguistica di previsioni stabilite dal secondo (Corte cost. 25/7/2024, n. 149).

Il margine di azione della legge di delega, peraltro, deve essere delineato partendo dal “dato letterale” (Corte cost., 25/7/2024, n. 149, cit.) che, nel caso di specie, è estremamente preciso.

Il nuovo divieto di pubblicazione delle ordinanze che applicano misure cautelari personali non riguarda esplicitamente “l’estrattodel testo dell’ordinanza” che, invece, è indicato nella legge delega.

Il criterio direttivo generale fissato dall’art. 4, comma 3, della L. 21 febbraio 2024, n. 15, Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2022-2023, infatti, stabilisce che il decreto legislativo deve prevedere “il divieto di pubblicazione integrale o per estrattodel testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”.

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Potrebbe ritenersi che, non avendo riportato la locuzione “integrale o per estratto” contenuta nella legge delega, ma quella “ordinanze che applicano misure cautelari personali”, il legislatore abbia voluto riferire il divieto di pubblicazione tanto all’intero atto, quanto a parti dello stesso. In ambito processuale, del resto, l’estratto è una riproduzione parziale del testo dell’atto (argomentando dall’art. 171 c.p.p.). Non pare dunque che siano prospettabili distinzioni tra “pubblicazione parziale” e “pubblicazione per estratto”

L’alternativa sarebbe quella di ritenere non rispettata la delega sotto questo aspetto.

Il divieto di pubblicazione, invece, sembra investire i brani “virgolettati” dell’ordinanza, cioè, le parti del provvedimento testualmente riprodotti. Il giornalista, quindi, per limitare la pubblicazione al contenuto dell’atto, deve procedere alla parafrasi del testo (operazione, del resto, ormai resa molto veloce dall’impiego di applicativi che riassumono i testi utilizzando forme di intelligenza artificiale).

Sul punto, peraltro, deve rilevarsi che, secondo uno dei pochi precedenti giurisprudenziali relativo ad una fattispecie affine, non integra la contravvenzione di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale la pubblicazione di una brevissima frase, riportata tra virgolette, dell’interrogatorio dell’indagato, non integrando una pubblicazione parziale dell’atto, ma solo la pubblicazione del suo contenuto (Cass. pen., Sez. I, n. 43479 del 10/10/2013, in CED Cass. n. 257401 – 01).

La distinzione tra “estratto” dell’ordinanza di custodia cautelare e “contenuto” dell’atto, che è pubblicabile (art. 114, comma 7, c.p.p.), dunque, sembrerebbe rimanere ancora foriera di opacità.

Il nuovo divieto di pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare, infatti, è operativo “fermo quanto disposto dal comma 7”. Quest’ultima norma consente “sempre” la pubblicazione del “contenuto” di atti non coperti da segreto, permettendo, pertanto di informare l’opinione pubblica sui provvedimenti cautelari emessi.

Nella esperienza concreta, poi, l’integrale pubblicazione di un’ordinanza cautelare da parte degli organi di informazione è avvenuta assai di rado, anche nell’epoca della comunicazione con mezzi informatici che consentono più spazi rispetto a quelli tradizionali. In questa prospettiva, dovrebbe concludersi che la norma ha cambiato poco o nulla rispetto al sistema precedente.

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Il nuovo divieto di pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare dura si applica “fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”.

Sul piano sanzionatorio, la nuova norma nulla ha mutato, in ragione di una precisa scelta esplicitata nel preambolo del decreto legislativo.

La pubblicazione di atti non più coperti dal segreto, in violazione del divieto di cui all’art. 114, comma 2, c.p.p. integra la contravvenzione prevista dall’art. 684 c.p.che punisce la pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale con l’arresto fino a 30 giorni o con l’ammenda da euro 51 ad euro 258.

La pubblicazione di atti coperti da segreto, invece, configura una fattispecie delittuosa (artt. 326 c.p.), in concorso con il pubblico ufficiale (Cass. pen., Sez. VI, n. 39428 del 31/3/2015, in CED Cass. n. 264782 – 01). Il delitto di rivelazione di segreti inerenti ad un procedimento penale di cui all’art. 379-bis c.p., invece, ha ad oggetto quelle notizie che siano state apprese in occasione della partecipazione o dell’assistenza all’atto posto in essere nel procedimento (Cass. pen., Sez. VI, n. 20105 del 16/2/2011 in CED Cass. n. 250493).

Gli atti che restano pubblicabili

Dopo la riforma, sono ancora pubblicabili le ordinanze cautelari che applicano misure reali. Si tratta di atti che potrebbero incidere sulla presunzione di innocenza al pari delle ordinanze che “applicano misure cautelari personali”. La possibilità di pubblicazione di tali atti prova come l’allargamento dell’area operativa del divieto oltre i precisi margini fissati dalla legge delega non serva ad eliminare le contraddizioni che la riforma comporta.

Si ritiene, poi, che altri provvedimenti non meno lesivi della presunzione di innocenza sarebbero pubblicabili, a cominciare dalla richiesta cautelare del pubblico ministero, che potrebbe continuare ad essere testualmente pubblicata, parzialmente o integralmente (cfr. di recente, Zampini, Divieto di pubblicazione delle ordinanze che applicano misure cautelari personali: una scelta politica censurabile e costituzionalmente reprensibile, in Quest. Giust. 13 dicembre 2024).

Del resto, i divieti di pubblicazione degli atti delle indagini preliminari contenuti nell’art. 114 c.p.p., posti a tutela delle esigenze investigative e del libero convincimento del giudice, costituendo una limitazione della libertà di stampa riconosciuta dalla Costituzione, non sono suscettibili di estensione analogica (Cass. pen., Sez. I, n. 22503 del 22/3/2024, in CED Cass. n. 286404 – 01, che ha escluso la sussistenza della pubblicazione arbitraria con riguardo ad una archiviazione).

Diversamente, potrebbe sostenersi che, pur se non “atti di indagine compiuti dal pubblico ministero” o “richieste del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti d’indagine” (art. 329, comma 1, c.p.p.), le richieste cautelari sono atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, essendone consentita, ai sensi dell’art. 114, comma 2 e 7, pertanto, la sola pubblicazione del contenuto, una volta caduto il segreto (d’ufficio; per un precedente in cui è stata ravvisato il reato di cui all’art. 326 c.p. nel caso della divulgazione della notizia dell’esistenza di una richiesta cautelare, cfr. Cass. pen., Sez. VI, n. 3523 del 7/11/2011, dep. 2012, in CED Cass. n. 251650 – 01).

Il divieto di pubblicazione degli esiti delle intercettazioni

Per completezza appare opportuno segnalare che, con il D.Lgs. n. 216/2017, come modificato dalla L. n. 7/2020, è stato inserito nell’art. 114 c.p.p. il comma 2-bis, che ha vietato la pubblicazione del contenuto delle intercettazioni sino a quando esse non siano state «acquisite ai sensi degli articoli 268, 415-biso 454 c.p.p.».

Il divieto di pubblicazione, con questa norma, ha assunto una valenza assoluta perché investe sia la riproduzione totale o parziale della conversazione o comunicazione captata, sia la pubblicazione del relativo contenuto secondo la valenza dell’espressione fatta propria dall’art. 114, comma 1, c.p.p. (L. Giuliani, L’uso delle intercettazioni nelle indagini preliminari tra dinamiche cautelari e tutela della riservatezza, in G. Giostra, R. Orlandi, Revisioni normative in tema di intercettazione, Torino, 2021, 55) e concerne tutte le conversazioni che non hanno passato uno dei filtri previsti dalle tre norme citate.

L’art. 2 della L. n. 114/2024 ha modificato l’art. 114, comma 2-bis, c.p.p. che, come appena indicato, disciplina la pubblicazione del contenuto delle intercettazioni.

E’ stato reso più rigido il divieto di pubblicazione, prevedendo che non ricorra solo nel caso in cui il contenuto intercettato sia stato «riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento».

Dopo la modifica normativa, pertanto, il divieto di pubblicazione viene meno solo con riguardo ai risultati delle intercettazioni che hanno superato il vaglio del giudice, tanto che sono state utilizzate nella motivazione di un provvedimento, con più frequenza in un provvedimento cautelare (ma anche in un decreto di archiviazione all’esito delle indagini) o nel corso del dibattimento.

La formulazione della disposizione, tuttavia, ha sollevato perplessità nella parte in cui un presupposto per la pubblicazione è individuato nella “utilizzazione” in dibattimento. Non è chiaro se con tale espressione si alluda all’uso in sentenza della conversazione captata ovvero alla sua ammissione come prova nel giudizio.

All’art. 116, comma 1, c.p.p., infine, la L. n. 114/2024 ha inserito un ulteriore periodo per assicurare efficacia al divieto di pubblicazione illustrato. In forza della nuova norma, infatti, è escluso il rilascio di «copia delle intercettazioni di cui è vietata la pubblicazione ai sensi dell’art. 114, comma 2-bis c.p.p., quando la richiesta è presentata da un soggetto diverso dalle parti e dai loro difensori». La richiesta di copia, però, può essere accolta se «sia motivata dalla esigenza di utilizzare i risultati delle intercettazioni in altro procedimento specificamente indicato». Tra i soggetti che potrebbero avanzare richiesta di rilascio di copia degli atti, anche relativi alle intercettazioni in forza del diritto di cronaca anche i giornalisti (Sul tema si veda L. Ferrarella, Il “giro della morte”: Il giornalismo giudiziario tra prassi e norme, in Dir. pen. contem., Riv. Trim., 2017, 3, 4).

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