Le sue proposte per la città del Buon Governo Musicale
La grande svolta del Festival delle Nazioni, una sterzata in avanti per continuare un percorso di elezione per una cittadina dell’alta valle del Tevere che guarda al Montefeltro, ma non dimentica i turriti manieri dei Bourbon del Monte, dei Bufalini, dei Bracceschi e dei Vitelleschi che ne marcano in maniera indelebile i confini umbri, terra di santi, ma anche di capitani di ventura, di armigeri e di sopraffattori. In questa marca di confine, appena fuori del corridoio bizantino che, “ab antiquo”, univa Roma alla Pentapoli ravennate, è sbocciato un festival che più di mezzo secolo fa si offrì come una novità in un territorio toccato dalla grazia dei pittori della Rinascenza, Raffaello, Piero della Francesca, e sbocciato alla modernità di Burri, ma non era certo un centro di vita musicale. Fu la indomita volontà del professor Luigi Angelini con la collaborazione di altri personaggi di cui vorremmo tanto tracciare i contorni che stabilì le coordinate di una manifestazione che equalizzasse il comune tifernate alle analoghe e consolidate realtà musicali proprie di Perugia e di Spoleto. Si decise di partire dal piccolo e dal certo, una serie di concerti di musica da camera, appena quattro, che dal 7 settembre del 1968, cominciarono a far pulsare il battito della grande musica. Direttore artistico della neonata manifestazione un maestro internazionale come Alberto Lysy a capo della sua “Camerata Bariloche”. Repertorio barocco, da Telemann a Vivaldi con presenze di musicisti che erano già nomi di rilievo come René Clemencic e Sandor Vegh. Erano gli anni caldi della contestazione e lo sbocciato festival tenne la sua prima audizione nei capannoni delle grandi office Nardi. Il maestri Lysy portò il suo prezioso violino Guarnieri al cospetto delle maestranze operaie e ottenne un insperato successo. Il cavaliere del lavoro Silvio Nardi, compiaciuto, invitò tutti, musicisti e giornalisti nella dimora del marchese Cappelletti, a Colle Plinio.
Sembrano storie di un tempo che fu, quando i giornalisti si chiamavano Erasmo Valente ed Eliana Pirazzoli. La manifestazione era semplicemente “Festival di musica da camera” e già alla sua sesta edizione, passò di mano. Con la direzione di Giuseppe Juhar perfezionò la sua dizione, indicandosi, nel 1973, come “Festival delle Nazioni di musica da camera”, e fu dedicato al primo paese, ospite, l’Ungheria.
Oggi, con lustri dietro le spalle e la adozione definitiva di “Festival delle Nazioni”, la manifestazione conosce una ulteriore collocazione. Dopo la non prevista dismissione di Aldo Sisillo, il prestigioso musicista non più confermabile per le recenti disposizioni governative relativa all’accumulo delle cariche istituzionali e il totale cambiamento del consiglio di amministrazione, le Nazioni subiscono un notevole trauma. Volti nuovi, a cominciare dal presidente, la giovane “capitana d’industria” Silvia Polidori, donna di notevole fascino, ma certamente in possesso di una volontà e una competenza proprie di chi è a capo di una consolidata ditta molto quotata in Confindustria. Alla direzione artistica è stato indicato un nome accertato del concertismo internazionale, il flautista romagnolo Massimo Mercelli, protagonista di riconosciute presenze concertistiche al Musikverein di Vienna, alla Carnegie Hall di New York, alla sala Ciaikovskij di Mosca alla Wigmor Hall di Londra. Musicisti di prestigio hanno scritto per lui, da Penderezki e Nyman, a Sollima, Gabriel Prokofiev, Sofia Gubaidulina, fino a due premi Oscar come Morricone e Bacalov. Philipp Glass, uno dei padri del Minimalismo americano lo ha accompagnato al pianoforte, dopo aver visto in lui l’interprete della sua opera omnia per flauto, Richard Galliano gli ha dedicato un Concerto eseguito al festival di Izmir.
Tanta carriera, iniziata nelle aule del Conservatorio Martini di Bologna, e propiziata dalla nomina, appena diciannovenne, al ruolo di primo flauto dell’Orchestra del teatro La Fenice di Venezia, si è approfondita, qui, a Città di Castello, con la presenza di Mercelli ai corsi di musica da camera di Mexence Larrieu. Proprio chi ha respirato l’aria del Festival nei momenti della sua formazione, appare il personaggio idoneo a rivestire un ruolo di continuità, fermo restando che l’aura internazionale respirata in tanti anni di esperienze, può offrire il supporto di una carica innovativa e ulteriormente propulsiva. Niente ripianti, ma le edizioni che Sisillo ha firmato, l’ultima dedicata al Portogallo e alle sue esperienze colonialiste, quella riservata all’Italia della espansione africana e la edizione del grande impero ispaanico ci hanno dato tanto in termini di aggiornamento e di accrescimento culturale. Per non parlare della perla dell’Armenia, la terra del monte Ararat e degli alberi di albicocche, dei monasteri e del canto cristiano. Dalla sua Mercelli ha l’entusiasmo di un musicista ancor giovane che guida il Festival dell’Emilia-Romagna e ha contatti, come si è visto, con musicisti di respiro internazionale. A lui si chiederà soprattutto la estensione della formula del Festival a un lasso di tempo che non si risolva nel breve spazio di quindici giorni, ma si irradi in tutto l’anno solare, con presenze continue sul territorio, coinvolgendo “arti e mestieri” e “botteghe e corporazioni”, nel segno di quello spirito rinascimentale che qui a Castello è respiro e vita. Ci sono le dimensioni associative di volontariato: cori banda, Scuola Comunale di Musica e c’è il prestigioso Concorso Zangarelli di cui è necessario ritrovare le radici iniziali, riconducendosi soprattutto a chi lo ha fondato. Perché sono molte le voci che hanno creato questo Festival e sarebbe opportuno richiamarle tutte, ricoinvolgerle nello spirito di una continuità che confermi le radici di un “Buon Governo” apprezzato a condiviso. Mercelli, oltre gli studi di perfezionamento con Larrieu ha più di una presenza nelle stagioni del Festival, quella con Catherine Spaak e il concerto coi Solisti Veneti. Conosce l’Umbria turistica e architettonica per i suoi soggiorni a Perugia, a Spoleto, ed Assisi, apprezza Cortona che considera una delle tappe del francescanesimo che qui da noi, tra breve , produrrà un cortocircuito da “Alter Christus”. Nessuno chiederà a Mercelli di essere un “Alter Christus”, ma tutti ci aspettiamo da lui la capacità di coinvolgere una città che, al di là della serata inaugurale con la cena Rotariana e Lionistica, condivida in fondo le gioie e i travagli di una manifestazione che richiede soprattutto il contributo generoso e solidale dei privati e della buona borghesia. Quella che produce reddito e che va convinta a spendere qualcosa anche per la buona musica.
Stefano Ragni
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