Dieci anni fa l’addio a Rita Denza che trasformò un ristorante di provincia in un tempio della cucina

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Quella porta al civico 145 di corso Umberto a Olbia è chiusa da quasi undici anni. Lo sfratto non ha restituito, almeno per ora, nuova vita a quell’edificio che era l’hotel ristorante Gallura. Davanti al portone una targa dei Lions ricorda che questo era il regno di Rita Denza, la signora della cucina che con i suoi piatti aveva conquistato la ribalta nazionale e le guide più prestigiose. Il suo più convinto estimatore era Luigi Veronelli che aveva definito il Gallura “uno dei migliori ristoranti del mondo”. Lei pensava che esagerasse, e con l’undestatement che era un marchio di fabbrica, smitizzava e lo derubricava a “un semplice ristorante trattoria”. E lo era, nell’accezione migliore del termine. Le materie prime a chilometro zero, l’atmosfera di una casa accogliente. Rita Denza è morta nel luglio del 2014 portata via da un tumore. A febbraio, consapevole della malattia ma battagliera, nella sua ultima intervista sulle colonne de L’Unione Sarda raccontava il progetto di riaprire il Gallura, sfrattato qualche mese prima dopo un lungo contenzioso con i proprietari dell’edificio. Un dolore che l’aveva profondamente provata. Ora pare che ci sia un progetto di rinascita per quello che fu un tempio della cucina d’eccellenza. Ne ha parlato il sindaco di Olbia Settimo Nizzi in un evento organizzato dall’Accademia della cucina in onore di Rita Denza nei dieci anni dalla sua scomparsa. Manifestazione che ha visto come testimonial un giovane chef olbiese, Emilio Giagnoni, incoraggiato a percorrere una strada che l’ha portato al Four Season di Milano, al George V di Parigi e ora come chef exécutif nella catena Noto, sempre nella capitale francese, e gli studenti dell’Istituto Alberghiero di Arzachena che si sono sfidati ai fornelli. La scuola di cucina era uno dei sogni che Rita Denza non è mai riuscita a realizzare.

La ristoratrice, nata a Olbia nel 1936, veniva da una famiglia metà veneta e metà napoletana di cuochi e musicisti. Il padre, arrivato in città nel 1923, gestiva l’hotel Italia (attuale sede dell’Università) poi raso al suolo dai bombardamenti del 1943 e dal 1948 il Gallura. Ha bazzicato nelle cucine, dietro il padre, fin da piccolissima. Tanto piccola da non avere ricordi precisi di quel primo approccio. L’ospitalità e l’accoglienza erano una tradizione di famiglia. Il nonno, originario di Castellamare di Stabia, era uno degli ultimi monsù, così venivano chiamati gli chef delle case aristocratiche.

Minuta, con due occhi azzurri da eterna bambina, lieve come un folletto, si muoveva in un microcosmo che è quasi scomparso, tra il corso Umberto, piazza Regina Margherita e via Regina Elena, che ora pullulano di b&b, wine bar e locali da aperitivo. La carne comprata dal macellaio Miuccio, il pesce dal fornitore di fiducia, la verdura nella bottega all’angolo. Prima ancora era il mercato civico, demolito anni fa, dove capitava di incontrarla, spesso in grembiule, alla ricerca delle materie prime. Quelle che passa il convento, ossia la stagione e il territorio, e che erano uno dei segreti della cucina del Gallura. «Il pesce – raccontava – lo scelgo tra quello di mare, fresco. Quello che c’è. Se le sogliole non ci sono, si mangeranno sardine». Rita Denza è andata alla scoperta dei piatti antichi, quelli della tradizione, e poi li ha rielaborati senza snaturarli puntando sempre sull’eccellenza delle materie prime anche, e soprattutto, quelle povere. Al Gallura si potevano mangiare aragoste e ostriche ma non mancavano mai le straordinarie zuppe, il capretto di Molara, le cozze del golfo di Olbia proposte in combinazioni inconsuete. Così ha trasformato un ristorante di provincia in un tempio della cucina.

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Al civico 145 di corso Umberto sono passati quasi tutti i personaggi più noti ma non compaiono in una sorta di libro d’onore. Sono immagini nei racconti che faceva Rita Denza, dalla pasta al pomodoro dell’Aga Khan a un duca d’Aosta che, trovando il ristorante chiuso, aiutò i padroni di casa ad attaccare i quadri. Francesco Cossiga ci andava ogni volta che passava a Olbia e chiedeva pesce al sale e verdure, Silvio Berlusconi ci è andato dopo molti anni di permanenza in Gallura. Tra i clienti fissi c’era anche Yamani. «Veniva qui con la famiglia ed era sempre molto cortese». Ospiti fissi alcuni stilisti come Krizia e i Missoni. Ma il ricordo più affettuoso è per Fabrizio De André, «una splendida persona con una eccezionale cultura del mare». Ma era anche il ritrovo accogliente di molti olbiesi e a chi la comosceva capitava, passando davanti al portone, di essere invitati a entrare per un caffè o per assaggiare una frittella a Carnevale.

«Qui ad Olbia si potrebbe fare molto di più per farla diventare una città turistica», diceva. Vent’anni dopo Olbia è a tutti gli effetti una città turistica. Il corso Umberto è un bar-ristorante a cielo aperto per molti mesi in servizio permamente. Ma un luogo come il Gallura non c’è più.

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