Intervista allo studio Pendragon sul mercato del gioco da tavolo in Italia

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Interminabili partite a Risiko, prevedibili match di Trivial Pursuit e serate a Briscola a Chiamata. I giochi da tavolo non sono più questi, e da tempo. L’Italia però non sembra essersene accorta, o meglio, non quella dei giocatori “casuali”. Perché invece nella nicchia dei giocatori “quelli seri” il mercato del gioco da tavolo si sta allargando sempre di più, soprattutto sulla scorta dei mercati esteri (e quello tedesco in particolare). A raccontarcelo è Silvio Negri-Clementi, Ad dello studio italiano Pendragon il cui gioco (importato dall’America) Pianeti Sconosciuti ha vinto il primo premio di Gioco dell’Anno al Lucca Comics & Games 2024.

L’intervista a Silvio Negri-Clementi dello studio Pendragon sul mercato italiano del gioco da tavolo

Come sta il mercato del gioco da tavolo in Italia?

L’Italia ha un mercato un po’ più debole rispetto ai Paesi nordici, anglosassoni e mitteleuropei, un fatto senza dubbio legato a una cultura del gioco diversa. I fattori sono prima di tutto meteorologici: noi abbiamo il sole per molti mesi all’anno rispetto ad altri Paesi dove si passa molto più tempo in casa, e quindi si gioca molto di più. È il caso del mercato tedesco, che è quello di riferimento, dove esiste l’abitudine di giocare in famiglia: ogni casa ha una libreria di libri e una di giochi. Alla famosa fiera di Essen, quella più grande del settore, arrivano 1500 nuove uscite alla volta, una bella selezione dei 3/4000 titoli che escono nel mondo ogni anno.

Quando abbiamo cominciato a guardare a questi panorami, qui in Italia?

Abbiamo cominciato a svilupparci seriamente solo negli ultimi 15 anni, cominciando a importare giochi che non erano sempre i soliti Cluedo, Monopoli, Risiko, Trivial…la nostra cultura da tavolo un po’ si fermava lì, insieme alle edizioni da tavolo dei giochi televisivi. Tutti giochi, diciamo, che non c’era nemmeno bisogno di imparare. Abbiamo guardato all’estero, dove ci sono tanti premi, fiere e un mercato specializzato di giochi complessi e costosi, dopo l’ingresso della multinazionale Asmodee, che ha sicuramente dato una spinta al mercato italiano permettendo anche a noi, che abbiamo 10 anni vita, di lavorare su base più ampia.

Abbastanza ampia da viverci?

No, per noi resta un mercato non trainante. Siamo soprattutto ideatori di prodotti che vendiamo all’estero, dove pagano meglio e di più. Poi, certo, per il mercato italiano comunque scegliamo prodotti sia dall’estero come Pianeti Sconosciuti, un titolo americano che abbiamo selezionato alle fiere di settore, sia prodotti che abbiamo ideato noi: è il caso di The Thing, in tandem con la Universal, o i Bonelli Kids.

Qual è il vostro pubblico target?

In questo senso il mercato è molto ampio, ci sono target diversi per giochi diversi: ora le famiglie, ora i gruppi teenager, ora i famosi kidult: è per loro che Lego e Playmobil pensano i set da centinaia di euro. Sono quei “ragazzi” che vengono dagli Anni Settanta-Ottanta-Novanta appassionati di giocattoli e che sono una buona fetta del mercato collezionistico. Poi, il mercato continua a crescere, nonostante la competizione proveniente da videogame e giochi per smartphone.

L’allargarsi del mercato del gioco da tavolo italiano ed europeo

Cosa fa funzionare un gioco?

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Per diversi canali funzionano diversi prodotti, ma in linea di massima devono esserci buone meccaniche di gioco, un fattore estetico, e poi i fattori di distribuzione: posizionare un gioco da tavolo sullo scaffale è molto difficile, lo spazio a disposizione – soprattutto tra GdO e GdS – è molto limitato. Viene visto come un prodotto stagionale da esporre sotto Natale e a Pasqua, non è ancora entrato completamente nella cultura generale.

Ci arriveremo?

Sicuramente c’è ancora tanta strada perché il gioco sia parte delle nostre librerie, ma sta succedendo e la base è forte. Già il fatto che la Fiera Play si sia spostata da Modena a Bologna dimostra che c’è un bacino di interessati che sta incrementando. Il fenomeno dell’allargamento del pubblico è un po’ ubiquo: la stessa Essen sta crescendo per metratura ed espositori. Pur vivendo in una cultura attraversata da una spinta al digitale, rimane una parte di pubblico che sembra interessata a tornare a vivere un’esperienza condivisa. E, nonostante le crisi economiche, il mercato tiene.

Come è cambiato il ruolo di Kickstarter nell’industria dei board game?

Se 15 anni fa era qualcosa di nuovo, ora sicuramente non è più una novità: oltre a Kickstarter, di piattaforme crowdfunding ce ne sono tantissime, tutte con scopi diversi. Poi, è noto per essere un sistema di finanziamento ma nel nostro caso è soprattutto un sistema di comunicazione. Resta un canale secondario molto specializzato: l’utente, punta dell’iceberg del mercato, è il primo a dirti se stai facendo bene. Noi abbiamo appena iniziato una campagna che permetterà di far vedere il nostro prodotto più facilmente ai partner internazionali così come ai mercati internazionali. Poi hai anche un canale di comunicazione impareggiabile con gli utenti, in meno di 24 ore abbiamo ricevuto oltre 600 commenti: come in una chat, dobbiamo rispondere a ciascuno, anche creando aggiunte, artwork ecc. Come con una creatura viva, la campagna va alimentata: è uno sforzo considerevole.

Come avete scelto Pianeti Sconosciuti?

Prima di tutto siamo dei giocatori, e condividiamo tutti la passione del prodotto. Poi, siamo diversi e ognuno ha predilezione verso diverse tipologie, dal gestionale alle carte e così via. Pianeti sconosciuti è una buona summa di tante categorie diverse, e quindi piace facilmente a tutti: ha un’idea innovativa; c’è un bel vassoio centrale di tessere, la SUSAN, che sicuramente attira l’occhio sul tavolo – e anche questo fa parte dell’esperienza – e che rende il gioco sempre diverso; e poi ha una profondità ampia ma le partite non sono troppo lunghe né troppo corte: chiunque può giocarlo.

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Vi aspettate che venda molto?

Allora, vincere il più famoso premio tedesco, lo Spiel des Jahres, muove numeri molto molto importanti. Parliamo di centinaia di migliaia o addirittura milioni di pezzi: qualunque struttura commerciale con uno spazio per i giochi, e intendo anche gli equivalenti di Esselunga, Aldi, negozi di giocattoli e di scarpe, lo ordina e lo vende. Questo stesso gioco, là, ha venduto trenta volte quello che ha venduto in Italia nonostante non abbia vinto quel premio, che è più difficile da vincere ma più remunerativo. Qui non c’è questo incremento.

I trend in corso e il futuro del mercato del gioco da tavolo. Dall’Italia all’Ucraina

Quali sono i trend in corso? Come cambia l’Italia anche rispetto agli altri mercati?

Il mercato italiano resta un grosso cruccio. La speranza è che si aprano posizioni soprattutto nella distribuzione dove colpire e raggiungere i “casual player”, spostandoli dai giochi sul cellulare. Il mercato italiano è singolare, sia perché abbiamo tanti musei e monumenti, e magari si preferisce andare lì, sia per via della storica divisione tra Nord e Sud, che ci mette in difficoltà rispetto a mercati come quello spagnolo, che vale almeno il doppio. Siamo in tutto una nazione a metà, e il mercato meridionale è molto povero, ci sono pochi negozi e poca gente che acquista prodotti che, come Pianeti Sconosciuti, arrivano a costare settanta euro (e anche di più): lì hanno più successo i giochi di carte sui 20 euro, lo vediamo anche al Comicon di Napoli, un evento molto importante che però ha sempre uno scontrino molto più basso rispetto a Modena.

Ci sono mercati, a parte la Germania e il Nord Europa, che invece crescono bene?

L’Europa dell’Est è sicuramente più redditizia per copie e fatturato: Bulgaria, Grecia, Ungheria, Paesi Baltici, Polonia e poi c’è il caso del mercato ucraino. Dopo l’invasione della Russia è cresciuto esponenzialmente: non serve elettricità, come per i videogame, e c’è forse un bisogno di evasione.

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Giulia Giaume

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