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Oggi, Festa di Santo Stefano, Bergoglio si è recato alla Casa Circondariale nella periferia nord-est di Roma: “Cattedrale del dolore”. Presieduta la Santa Messa presso la chiesa del Padre Nostro. Nell’omelia: “La speranza non delude mai!”. All’Angelus in San Pietro l’invito a estinguere i debiti dei Paesi “oppressi”.
Roma (AsiaNews) – A Roma non solo le basiliche papali custodiranno per l’anno giubilare iniziato le porte sante – dopo San Pietro, il 29 si aprirà a San Giovanni in Laterano, l’1 gennaio a Santa Maria Maggiore e il 5 a San Paolo fuori le Mura. Oggi, S. Stefano, la seconda porta santa è stata aperta, anzi, spalancata, per usare le parole di papa Francesco, presso la Casa Circondariale di Rebibbia, davanti a 300 persone tra detenuti e personale penitenziario. “La grazia di un Giubileo è spalancare, aprire e, soprattutto, aprire i cuori alla speranza”, ha detto il pontefice questa mattina nella chiesa del Padre Nostro, riaperta dopo 4 anni. Una speranza che nell’attesa incerta di coloro che sono reclusi in quella che è una “cattedrale del dolore” e una “basilica tra virgolette” rappresenta la salvezza.
È in questo luogo simbolo della marginalità umana, delle soglie, che oggi si è compiuto il gesto simbolico. Una marginalità abitata anche da Dio, che non si dimentica dei più piccoli; ed è questo gesto a ricordare la sua presenza. “Egli ci attende sulla soglia – aveva detto il papa ieri durante il messaggio Urbi et Orbi di Natale -. Attende ciascuno di noi, specialmente i più fragili”. Tra questi ultimi vi sono infatti gli anziani, chi vive la guerra, chi ha perso la casa o il lavoro, i perseguitati, e i carcerati. Parlando all’agenzia italiana Sir il cappellano di Rebibbia, p. Lucio Boldrin, aveva detto: “L’apertura della Porta Santa vuole essere questo grido: riapriamo alla speranza anche per chi ha sbagliato nel mondo”.
“La speranza non delude, mai! Pensate bene a questo. Anche io lo penso, perché nei momenti brutti uno pensa che tutto è finito, che non si risolve niente. Ma la speranza non delude mai”, ha affermato Bergoglio durante l’omelia recitata durante la Santa Messa presieduta a partire dalle ore 9:00. Una speranza che non abbandona che è stata raccontata da papa Francesco con la suggestiva immagine dell’àncora da cui si estende una salda corda a cui aggrapparsi. “Delle volte la corda è dura e ci fa male alle mani… ma con la corda, sempre con la corda in mano, guardando la riva, l’àncora ci porta avanti. Sempre c’è qualcosa di buono, sempre c’è qualcosa che ci fa andare avanti”, ha aggiunto.
Le porte spalancate però non devono essere solo un artefatto estetico, incapace di scavare le coscienze. Ma occasione per una apertura profonda, soprattutto della “porta del cuore”. “Quando il cuore è chiuso diventa duro come una pietra; si dimentica della tenerezza. Anche nelle situazioni più difficili – ha continuato il Vescovo di Roma -. Sempre il cuore aperto; il cuore, che è proprio quello che ci fa fratelli. Spalancate le porte del cuore. Ognuno sa come farlo. Ognuno sa dove la porta è chiusa o semichiusa. Ognuno sa”. Al termine della Santa Messa papa Francesco ha rivolto i saluti e gli auguri di Natale anche ai detenuti “che sono rimasti in cella”. “Che il prossimo anno sia migliore di questo. Ogni anno deve essere migliore”, ha detto. E ancora: “Le mani aggrappate. Non dimenticatevene”.
Dopo poche ore il pontefice si è affacciato alla finestra del palazzo Apostolico Vaticano per la recita dell’Angelus nel giorno della Festa di Santo Stefano, primo martire della cristianità. Nel commento che ha preceduto la preghiera mariana ha approfondito il racconto della sua lapidazione presente negli Atti degli Apostoli (cfr 6,8-12; 7,54-60), un momento in cui “prega per i suoi uccisori”. In questo modo sembra che stia subendo “impotente” una violenza. “In realtà, da uomo veramente libero, continua ad amare anche i suoi uccisori e ad offrire la sua vita per loro, come Gesù”, ha spiegato Bergoglio. “Offre la vita perché si pentano e, perdonati, possano avere in dono la vita eterna. In questo modo, il diacono Stefano ci appare come testimone di quel Dio che ha un solo grande desiderio: ‘che tutti gli uomini siano salvati’”.
Ha dedicato quindi uno sguardo a quanti sono discriminati oggi nel mondo a causa della propria fede. “Purtroppo ancora oggi ci sono, in varie parti del mondo, molti uomini e donne perseguitati, a volte fino alla morte, a causa del Vangelo. Anche per loro vale quello che abbiamo detto di Stefano”, ha aggiunto papa Francesco. “Non si lasciano uccidere per debolezza, né per difendere un’ideologia, ma per rendere tutti partecipi del dono di salvezza. E lo fanno in primo luogo proprio per il bene dei loro uccisori, e pregano per loro”. Ha poi ricordato il beato Christian de Chergé, ucciso in Algeria nel 1996, “che chiamava il suo uccisore ‘amico dell’ultimo minuto’”.
Non è mancato, infine, dopo la recita dell’Angelus, un invito rivolto alla comunità internazionale per l’Anno Santo appena iniziato. “Una delle azioni che caratterizza i Giubilei è la remissione dei debiti. Incoraggio pertanto tutti a sostenere la campagna di Caritas Intenationalis intitolata ‘Trasformare il debito in speranza’ per sollevare i Paesi oppressi da debiti insostenibili e promuovere lo sviluppo”, ha detto. “La questione del debito è legata a quella della pace e del mercato nero degli armamenti. Basta colonizzare i popoli con le armi. Lavoriamo per il disarmo. Lavoriamo contro la fame. Contro le malattie, contro il lavoro minorile, e preghiamo per favore per la pace nel mondo intero”. Auspicando quindi la pace per la martoriata Ucraina, Gaza, Israele, Myanmar, Nord Kivu, “e tanti Paesi che sono in guerra”.
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