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I media tradizionali possono salvarsi? Nel primo giorno del semestre autunnale, Michelle Amazeen, professoressa associata di Comunicazione di massa presso l’Università di Boston, ha chiesto agli studenti del suo master di compilare un questionario in cui avrebbero dovuto elencare i loro film, gruppi musicali e libri preferiti, nonché gli organi di informazione a cui si rivolgessero per conoscere le notizie. La sua sorpresa è stata grande. Molti dei suoi sedici studenti hanno lasciato in bianco la parte riguardante gli organi di informazione preferiti. Altri hanno citato TikTok, Instagram e X (ex Twitter). Soltanto uno di loro ha indicato una pubblicazione tradizionale (il New York Times) come fonte di notizie e informazioni.

«In linea di massima, i giovani adulti ricevono le notizie, se le ricevono, dai social media», ha dichiarato Amazeen. Per loro, «i social media sono eccitanti e accessibili», perché non richiedono grandi sforzi né alcuna spesa: per usufruirne basta scrollare sullo schermo di uno smartphone. Questa pratica, che la professoressa Amazeen ha definito «consumo passivo di notizie», costituisce uno dei più gravi problemi che i media tradizionali si trovano ad affrontare.

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Molte testate tradizionali, soprattutto i quotidiani, hanno chiuso o sono state costrette a ridurre il loro personale a causa della contrazione del pubblico e quindi delle entrate. Gli introiti derivanti dalla pubblicità e dagli abbonamenti, che per lungo tempo hanno tenuto in vita la carta stampata e altri media radicati su un territorio, sono sempre più appannaggio degli organi informativi digitali e comunque decisamente inferiori rispetto al passato.

Le aziende tecnologiche e le piattaforme di contenuti online come YouTube, X e TikTok sono diventate concorrenti agguerrite. La polarizzazione della scena politica e il successo di figure particolarmente divisive hanno inoltre convinto un numero crescente di persone che i media tradizionali siano di parte e comunque inaffidabili.

Secondo gli esperti, queste tendenze non sono per nulla positive né per la salute del giornalismo tradizionale né per il futuro della democrazia. «Senza una vera stampa libera, diversificata e vivace, non avremo neppure una democrazia vivace», dichiara Mickey Huff, professore di Giornalismo all’Ithaca College di New York e direttore di Project Censored, che insegna l’“alfabetizzazione critica” applicata ai media e si oppone ai fenomeni che considera una forma di censura delle notizie.

In occasione di un dibattito nell’ambito dell’Athens Democracy Forum, organizzato dal New York Times lo scorso ottobre nella capitale greca, Persiana Aksentieva – una ventottenne bulgara che lavora nel settore del marketing in Germania e fa parte dell’International Youth Think Tank, una rete globale di giovani che promuovono la democrazia – ha spiegato perché lei e altri giovani hanno abbandonato i media tradizionali.

Aksentieva ha detto che la sua fonte principale di notizie e informazioni è il suo feed Instagram. Sebbene segua anche l’account Instagram dell’agenzia di stampa tedesca Tagesschau, per il resto si informa sui temi per lei più importanti – il cambiamento climatico, i diritti delle donne, il diritto all’aborto, la libertà di parola – attraverso i post e i repost di amici, giovani professionisti, attivisti e influencer che appaiono sul suo feed e che lei ritiene affidabili.

I giovani, ha aggiunto Aksentieva, hanno l’impressione che dietro alle strutture giornalistiche tradizionali ci possa essere «un qualche potere o una qualche istituzione» con una propria finalità. «In generale, siamo molto più scettici sulla veridicità delle informazioni», ha spiegato, «dal momento che ce ne sono così tante». Inoltre, riferendosi alle sue fonti sui social media, ha detto: «Ci relazioniamo meglio con chi ci assomiglia o comunque ha qualcosa in comune con noi. […] Queste fonti ci parlano in modo molto semplice», usando «un linguaggio facile che rende le questioni più importanti davvero comprensibili».

L’allontanamento dal giornalismo tradizionale è un fenomeno globale. Un sondaggio condotto dalla società di ricerca online YouGov su oltre novanatcinquemila persone in quarantasette Paesi e pubblicato recentemente dal Reuters Institute for the Study of Journalism, ha indicato che solo il quaranta per cento degli intervistati ha fiducia nelle news, mentre il trentanove per cento ha dichiarato che talvolta o addirittura spesso le evita.

Un’indagine del Pew Research Center dell’ottobre 2022 ha mostrato che la metà dei giovani statunitensi di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni aveva un po’ o molta fiducia nelle notizie e nelle informazioni provenienti dai siti di social media, mentre solo il cinquantasei per cento fra loro dichiarava di fidarsi delle informazioni provenienti da strutture giornalistiche nazionali.

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Questo cambiamento sta portando alla scomparsa di molte fonti indipendenti cartacee e radiofoniche. Secondo un rapporto del 2023 della Northwestern University sullo stato dell’informazione locale, solo nell’anno precedente più di centotrenta giornali statunitensi avevano chiuso o si erano fusi con altri, e dal 2005 al 2022 avevano smesso di esistere un totale di 2.900 testate.

Victor Pickard, autore di Democracy Without Journalism?, afferma che dal 2000 a oggi le redazioni giornalistiche negli Stati Uniti hanno perso più della metà del personale. «Per quanto riguarda l’informazione», scrive Pickard, intere regioni del Paese «sono dei deserti» e non offrono possibilità alcuna di reperire informazioni affidabili.

Per quanto riguarda la televisione e la radio, sempre negli Stati Uniti, alcune grandi catene come il Sinclair Broadcast Group, di orientamento conservatore, hanno fatto incetta di stazioni televisive indipendenti. Lo scorso agosto, una delle due stazioni radio locali all-news di New York, WCBS Newsradio 880, è stata chiusa perché i suoi proprietari hanno deciso di occuparsi solo di sport.

I giornali locali sono «drammaticamente al collasso», dichiara Dean Baquet, che dal 2014 al 2022 è stato executive editor del New York Times. «C’è sempre meno fiducia nei media», dice Baquet, che ora dirige la Local Investigations Fellowship del NYT, offrendo ogni anno a una dozzina di reporter la possibilità di produrre giornalismo investigativo nello Stato o nella regione in cui risiedono.

«Non è solo colpa nostra», ha detto Baquet in un’intervista video in vista dell’Athens Democracy Forum. «I politici hanno passato molto tempo ad attaccare i media tradizionali. Ed è difficile mantenere la fiducia di cui godevamo un tempo quando c’è Donald Trump che attacca senza sosta la stampa e mente al riguardo – e anche altri leader mondiali si comportano allo stesso modo».

Da parte sua, Martin Baron, che è stato executive editor del Washington Post dal 2013 al 2021, attribuisce questa disaffezione, almeno in parte, a Internet. In un’intervista telefonica, afferma che Internet ha dato alle persone che erano «escluse dal dibattito» l’opportunità di avere una voce. «Questo è stato un bene», dice Baron, «ma ha anche significato che ora tutti possono essere un’emittente radiotelevisiva, tutti possono essere conduttori di talk show, tutti possono essere degli influencer».

«Alcuni di quelli che si comportano così sono bravi e altri sono pessimi. Quel che è certo è che sono molti», aggiunge Baron. Il risultato è un enorme ammasso di informazioni. «Quale che sia il proprio punto di vista preconcetto, anche qualora si dovesse trattare della più stravagante teoria complottista, ci sarà sempre un luogo a cui rivolgersi che possa confermare proprio quelle idee».

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«Le persone sono diventate sempre più tribali», continua Baron, «e rifiutano tutto ciò che contrasta con le convinzioni della loro tribù – anche quando si tratti di fatti documentati che sono il pilastro del giornalismo indipendente». «Non solo non condividiamo un insieme comune di fatti», ma «non riusciamo nemmeno ad accordarci su che cosa sia un fatto», spiega Baron. «Tutti gli elementi che abbiamo fin qui usato come strumenti per stabilire se un fatto sia vero oppure no ora vengono svalutati, rifiutati e negati».

Secondo alcuni analisti, anche i media tradizionali hanno contribuito al problema. Il professor Huff, dell’Ithaca College, afferma: «I media tradizionali non informano in modo onesto i giovani sulle cose che hanno rilievo per la loro vita: la crisi del debito studentesco, i problemi relativi all’istruzione superiore, la totale e assoluta assenza di immobili a prezzi accessibili».

I media tradizionali, spiega Huff, non riflettono tutta una gamma di opinioni e realtà, compresi alcuni punti di vista alternativi a cui gli studenti sono interessati, fornendo così un quadro incompleto. «Quando faccio lezione cerco di aiutarli a capire che, per quanto il mondo in cui viviamo ci spinga a essere bianchi o neri, ci sono invece anche un sacco di altri colori nel mezzo».

Pickard aggiunge che i media tradizionali, nel tentativo di rimanere a galla, si sono sempre più commercializzati, aprendo un varco per quella «società della misinformazione» in cui, al posto di informazioni basate sui fatti e riguardanti la politica, si propongono sempre più spesso agli elettori notizie sensazionalistiche acchiappaclick e giornalismo di bassa lega.

Un esempio di questa deriva è ciò che è accaduto lo scorso 29 luglio a Southport, in Inghilterra, quando un ragazzo di diciassette anni ha ucciso tre ragazze aggredendole con un coltello. Online si sono immediatamente diffuse falsità sul fatto che l’assassino fosse un richiedente asilo musulmano, scatenando disordini razzisti e anti-immigrati in tutto il Paese, con centinaia di arresti. In realtà, però, il responsabile era nato a Cardiff, in Galles.

Molti esperti suggeriscono che un modo per ripristinare la fiducia nei media tradizionali e riconquistare i lettori sia il ritorno a un racconto ambizioso e aggressivo delle notizie locali, che negli ultimi anni è stato ampiamente abbandonato. Baquet spiega che il New York Times sta cercando di espandere e sviluppare la Local Investigations Fellowship, che è al suo secondo anno. «Il tipo di giornalismo di servizio che l’informazione locale era solita offrire ora non c’è più», spiega Baquet. «La gente ha perso il contatto con quel giornalismo che era vicino a loro».

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Riproporre quel tipo di giornalismo è importante perché «molte delle questioni nazionali con cui il Paese sta lottando sono in realtà questioni locali su scala più grande». Ma anche i media tradizionali devono fare di più per adattarsi al modo in cui le persone consumano le notizie. «Dobbiamo sforzarci di capire come possiamo essere presenti sulle piattaforme da cui i giovani ricevono le notizie e come possiamo raccontare le nostre storie in modo diverso, utilizzando più immagini e video», afferma Baquet.

«Nel corso delle generazioni abbiamo sviluppato l’abitudine di aspettarci che siano i lettori a venire da noi», dice Baquet. Ma l’ultimo decennio ha dimostrato che sono invece i media che devono «andare dai lettori». «Dobbiamo lottare per ogni singolo lettore», conclude Baquet.

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