Sul tavolo del governo arriva la decisione per il caso Bari

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ROMA – Due mesi di gestazione alla Camera, pochi fondi per le modifiche coi saldi che restano sostanzialmente invariati. Premi Ires per 18mila imprese e nuova via per l’uscita anticipata per appena 100 pensionandi. Liti notturne, emendamenti votati per errore, 100 milioni che avanzano e che resteranno buoni per il 2025, forse. Tensioni con le opposizioni – e nella stessa maggioranza – fino alle ultime frizioni proprio sui tempi, e sul «tour de force inutile» del Senato che in poco più di 24 ore, senza averla toccata, approverà in via definitiva la terza manovra del governo di Giorgia Meloni. Trenta miliardi che andranno a redditi bassi e famiglie, come rivendica la presidente del Consiglio che si appresta a richiamare domani i suoi ministri per un ultimo Cdm prima di fine anno.

Sul tavolo potrebbe esserci la nomina del nuovo commissario per la ricostruzione dopo l’alluvione in Emilia Romagna, dopo che il generale Francesco Paolo Figliuolo è già stato indicato come vicedirettore dell’Aise. Ma ancora non c’è né convocazione ufficiale (potrebbe essere alle 10 del mattino, prima del rush finale in Senato) né ordine del giorno. E c’è chi ricorda che sta per scadere il termine entro cui decidere se fare o meno ricorso contro la legge regionale campana sui mandati dei governatori, che consentirebbe un nuovo (terzo) mandato per Vincenzo de Luca. E ancora, durante la seduta il ministro Matteo Piantedosi potrebbe comunicare la sua decisione a seguito dell’ispezione disposta dalla prefettura sul Comune di Bari a seguito degli arresti dell’inchiesta «Codice Interno»: non dovrebbe essere disposto lo scioglimento per mafia, ma potrebbe essere implementata qualche misura di controllo sulle aziende comunali e l’interdizione di alcuni dirigenti.

D’altronde la premier, consegnando un vasetto di Nutella personalizzato ad ogni ministro nella riunione prima di Natale, aveva lasciato chiare istruzioni per l’uso, scritte di suo pugno. Ora «riposatevi», in sintesi l’invito ai suoi ministri, perché bisognerà presto ricominciare a correre. «Ricarichiamo le batterie, ci aspetta un 2025 impegnativo», l’augurio inviato via social anche agli italiani da Meloni, che compare il giorno di Natale in un post con selfie della sorella Arianna («Auguri a chi crede e a chi lotta, a chi ha coraggio e a chi non si arrende», scrive la responsabile della segreteria politica di Fdi, e pure «all’Italia ottimista che è tornata a sperare e anche ai pessimisti che tanto, prima o poi, cambieranno idea”).

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Posticipata a gennaio la tradizionale conferenza stampa di fine anno, per la premier ci dovrebbe essere qualche giorno di riposo in famiglia, prima di rituffarsi negli impegni istituzionali. E politici. La sua maggioranza rimane frizzantina, tra il pressing di Forza Italia, che insiste sul taglio delle tasse e a gennaio ha già in agenda una serie di appuntamenti compresa la presentazione di un suo piano di politica industriale, alle idee leghiste di un ritorno di Matteo Salvini al Viminale, rilanciate da Claudio Borghi: «I rimpasti aiutano a migliorare la squadra e ai cittadini in fondo la cosa piace, un pò come le sostituzioni del calcio» mentre i governanti li «odiano» forse perché «pensano sia un pò come ammettere errori»,scrive sui sui social il senatore utilizzando quella parola che la premier non vuole nemmeno sentire pronunciare. Anche se, probabilmente già a gennaio, rimetterà mano alla squadra, ma per riempire le tre caselle di sottogoverno rimaste libere, ultima quella di viceministro alle Infrastrutture per il passaggio di Galeazzo Bignami a capogruppo alla Camera al posto di Tommaso Foti, promosso ministro dopo l’approdo di Raffaele Fitto alla vicepresidenza esecutiva della Commissione europea.

Intanto, c’è da portare a casa, in via definitiva, la manovra. Con l’ultimo voto di fiducia del 2024, nonostante le (blande) ipotesi di non porla. Ma ci sono circa 800 emendamenti delle opposizioni che a Palazzo Madama si apprestano all’ultima battaglia. «Non si potrà cambiare una virgola di una legge ingiusta», lamenta il Pd. Mentre Luigi Marattin suggerisce di chiuderla con le lamentele per il monocameralismo di fatto attraverso una unica «Assemblea nazionale» da introdurre con una vera riforma costituzionale, invece di inserire nella Carta “quanto sono belle le isole, quanto è bello lo sport, e quanto è bello l’ambiente».



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