Verità e carità, i pilastri dell’enciclica sociale del Papa

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di Stefano Fontana

Siamo alla vigilia della pubblicazione (lunedì 29 giugno) della terza enciclica del Papa, che sarà un’enciclica sociale. Qualcuno potrebbe pensare che Benedetto XVI inizierà il suo magistero sociale con questa enciclica, mentre invece egli ha già contribuito moltissimo allo sviluppo della Dottrina sociale della Chiesa, lungo questi quattro anni di pontificato: ha precisato la sua natura in rapporto a Dio che è Amore e Verità ed ha sviluppato i temi centrali della presenza di Dio nel mondo, del significato pubblico della fede cristiana, della verità della fede e della ragione, della corretta laicità e della coerenza della presenza dei fedeli laici entro le cose profane. Benedetto XVI ha ripreso l’insegnamento di Giovanni Paolo II e ha posto la Dottrina sociale della Chiesa dentro il rapporto tra la Chiesa e il mondo, ossia dentro la missione di salvezza di cui la Chiesa è portatrice. L’ha collocata, possiamo dire, nel punto di incontro tra la ragione e la fede, tra la natura e la grazia, come si legge nel paragrafo 28 della Deus caritas est. La Dottrina sociale nasce da un intreccio tra ragione e fede, dal loro richiamarsi a vicenda fin dall’inizio e nel loro compenetrarsi. Non c’è dimensione umana completamente estranea al cristianesimo, infatti questo è la religione «dal volto umano», come ha detto il Papa a Verona nell’ottobre 2006. La Dottrina sociale esprime in modo particolare questa dimensione, collegandosi da un lato a tutta la vita-azione della Chiesa e dall’altro alle dimensioni che solitamente vengono chiamate profane, ma che non sono «altro» dalla vita dello Spirito.

La Dottrina sociale della Chiesa è quindi espressione di «Dio nel mondo», vuole aprire la strada a Dio nel mondo perché sa che un mondo senza Dio è un mondo senza speranza, come ha scritto il Papa nella Spe salvi ed anche la luce della ragione, senza di Lui, tende ad offuscarsi. Il mondo ha bisogno di verità. La ragione è in grado di vedere molte verità, ma ce ne sono alcune che essa, pur avendo in linea di principio la capacità di farlo, non avrebbe forse mai intravisto senza l’aiuto della rivelazione, e ce ne sono altre che, una volta conosciute, vengono poi abbandonate, dato che la ragione ha anche a che fare con il cuore e spesso per vedere la verità bisogna volerla vedere: «Quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il “bene” comincia a svanire. Ciò che ostentatamente è stato promosso come umana ingegnosità si è ben presto manifestato come follia, avidità e sfruttamento egoistico», ha detto Benedetto XVI ai giovani a Sidney.

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Benedetto XVI ci insegna che senza l’aiuto della fede la ragione si atrofizza progressivamente. Essa ha così l’illusione di garantire la pace e la giustizia, dato che su quanto è misurabile gli uomini possono facilmente trovare un accordo, ma invece rende l’uomo vittima delle proprie inclinazioni e desideri, dato che morale e religione sono abbandonate all’irrazionale. Così c’è la dittatura del relativismo, come il Papa ha insistentemente ricordato.

Non si dà un contesto puramente mondano e razionale. Non c’è l’economia da sola e poi l’etica o la religione. Non c’è la giustizia da sola e poi l’amore e la carità. Non c’è la produzione e poi la distribuzione. Non c’è l’efficienza e poi la solidarietà. Non c’è la legge naturale e poi la legge nuova. Non c’è il laico che poi diventa cristiano o viceversa. Pensare le cose in questo modo vuol dire accettare che il mondo possa funzionare senza Dio. La Dattrina sociale sarebbe solo etica sociale, patrimonio di buoni sentimenti di umanità, lubrificante sociale ma nulla di costitutivo. Se la salvezza di Dio non investe tutti i piani, alla fine viene espulsa da tutti i piani. Ciò non significa che essa li debba invadere, quanto piuttosto che la sua luce garantisce la loro stessa autonomia e libertà, collocandola nella verità. Il mondo ha bisogno di trascendenza, altrimenti la società perde la capacità di respirare, la volontà perde di orientamento e diventa schiava dei propri desideri, la ragione senza la speranza si chiude nella propria presunta assolutezza e finisce per autolimitarsi, la giustizia senza la carità si affida a meccanismi che diventano una prigionia. Succede così che la scienza e la tecnica sfondino il limite della dignità umana – il Papa lo ha detto nel 2008 a proposito della fecondazione artificiale –, che la pubblica piazza manifesti la propria arroganza rigettando Dio al di fuori di se stessa e che tale arroganza sia presentata come neutralità.

La necessità di Dio per il mondo e, quindi, il problema di Dio nel mondo, è anche la massima questione sociale e politica che pone di conseguenza ai cristiani il dovere di una coerenza. La fede cristiana, ha detto il papa alla Giornata mondiale della gioventù, «ha il potere di ispirare una visione coerente del mondo». Quando sono in gioco i principi della legge morale naturale o quanto è connesso con la dignità propria di ogni creatura umana, non ci può essere compromesso. Ci sono delle questioni «non negoziabili» che «non ammettono deroghe», ha detto Benedetto XVI, e la democrazia non è un compromesso al ribasso perché in questo caso il bene comune si trasformerebbe nel minor male comune. Nascono qui due indicazioni operative molto importanti: da un lato la necessità di costruire sui principi «non negoziabili» una adeguata politica che apra loro la strada; dall’altro di attuare l’obiezione di coscienza e di lottare per ottenerne il riconoscimento.

Tutto l’insegnamento sociale di Benedetto XVI si incentra su Dio che è Verità e Amore. L’amore del prossimo non può andare contro la verità che egli porta con sé e l’adesione razionale a regole di comportamento non si sostituisce mai, come un freddo codice, al vero rapporto fraterno della regina delle virtù, la carità.



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