Che viviamo nell’epoca dell’infodemia, non è più un mistero: un’epoca nella quale la quantità eccessiva di informazioni a cui siamo esposti rende difficile approfondire i vari argomenti, individuando e confrontando fonti affidabili. Il giornalismo costruttivo ha tra i suoi obiettivi primari quello di aiutare le persone ad orientarsi in un mare di informazioni, spesso faziose e sensazionalistiche, cogliendo appunto il lato costruttivo di questo mare magnum, in modo da non venirne travolti. Ma cos’è il giornalismo costruttivo all’atto pratico?
BuoneNotizie.it ha intervistato Erika Mattio, ex praticante del percorso formativo dell’Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo e oggi tutor del percorso e giornalista pubblicista, che collabora con varie testate tra cui Il Fatto Quotidiano, Il Gazzettino, L’Ecofuturo, Camminare, Viaggi e Mondo. La sua formazione universitaria e lavorativa come archeologa e antropologa prima, e quella giornalistica poi, le hanno permesso di specializzarsi nell’ambito del giornalismo costruttivo, partendo proprio dai temi a lei più affini.
Ma scopriamo insieme cos’è, concretamente, il giornalismo costruttivo e perché oggi più che mai, sarebbe auspicabile investire in un giornalismo più responsabile.
Il giornalismo costruttivo è un giornalismo responsabile
Erika comincia col raccontarci il modo in cui il giornalismo costruttivo ha attirato la sua attenzione: “In generale, nel mondo dell’informazione il focus è dato su ciò che non funziona, senza mai portare il lettore a concentrarsi su come risolvere un dato problema e, in alcuni casi, alimentando il problema stesso. I principi deontologici che ci insegnano, troppo spesso, vengono dimenticati per motivi di business. Il giornalismo costruttivo fa l’esatto contrario, si basa su delle promesse che mantiene: dare soluzioni. È questo l’elemento chiave che mi ha portata ad intraprendere questo percorso.”
Erika ci spiega cos’è il giornalismo costruttivo e perché è un giornalismo responsabile, ricordandoci quanto la società sia facilmente plasmabile in base alle informazioni che riceve. “Molte volte, per questioni di tempo o pigrizia, le persone prendono l’informazione per quella che è, senza porsi troppe domande, nonostante molti media ci spingano evidentemente a parteggiare per l’una o per l’altra parte. Con il giornalismo costruttivo si va oltre tutto ciò. Il lettore scopre che le notizie possono essere date anche in maniera neutrale, lasciando che ognuno trovi la sua linea di pensiero, senza essere condizionato da un’unica verità.”
Data journalism e neutralità: le fonti a cui attinge l’approccio costruttivo
Su cosa abbia arricchito l’approccio costruttivo nel suo percorso formativo, Erika non ha dubbi: è l’attenzione posta al data journalism, ovvero lo studio e la comparazione dei dati, in modo da restituire al lettore una narrazione che sia il più possibile oggettiva e neutrale, attraverso un set di dati verificati e verificabili, ricavati da fonti affidabili.
Certo, nel “giornalismo dei dati” non si cimentano solamente i giornalisti costruttivi, ma più in generale tutti i giornalisti che fondano il loro lavoro su una forte deontologia professionale e, in particolar modo, chi si dedica a inchieste o reportage al fine di ricostruire un avvenimento attraverso fonti attendibili.
Una pratica alla quale è stata formata anche Erika e che le ha dato anche l’opportunità di approfondire e seguire un argomento nel tempo, cercando sempre di realizzare un tipo di narrazione scevro dal giudizio personale e il più possibile oggettivo: “il giornalismo costruttivo, oltre ad essere il giornalismo delle soluzioni, è anche quel tipo d’informazione che ha la capacità di cercare di portare avanti una tematica, anche quando non è positiva. Ad esempio quando parliamo di guerra, cercando di verificare fonti accuratamente selezionate, assumendo un punto di vista neutrale e cercando di seguirla nel tempo.”
Seguire una notizia nel tempo anche quando “non fa più notizia”
“Un altro aspetto importante è continuare a seguire un argomento, anche quando non ne parla più nessuno. Ecco un esempio: l’alluvione a Valencia. Fino a qualche tempo fa, sui giornali non si faceva altro che parlare di questo cimitero di auto travolte dall’alluvione nei sotterranei di un supermercato. Sapete com’è andata a finire? Nessuno ne parla più! La notizia che, fortunatamente, i proprietari delle auto del parcheggio non si trovavano lì al momento dell’alluvione, è passata in sordina.”
Sulla volontà di portare avanti un tema per poterlo approfondire, aldilà del sensazionalismo del momento, la Mattio porta anche esempi più lontani nel tempo, come quello legato alla Guerra del Vietnam e alla conseguente repressione che si abbatté in seguito, da parte dei Vietcong, nei confronti di loro connazionali, diventati in seguito noti col nome di “boat people”. Dove sono oggi quei profughi di cui si parlava tanto, che fuggivano dal Vietnam a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’90 del secolo scorso con delle imbarcazioni di fortuna? Erika ne ha parlato in questo articolo in cui ci ha raccontato della loro integrazione e rinascita in Italia e di ciò che fanno oggi queste persone per il loro Paese.
“Questo ci dimostra che anche sugli eventi del passato, come quello della guerra del Vietnam, finita da molto tempo, ci sono ancora tante storie da raccontare.” Continua Erika citando Lavoisier: “‘Nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma’. Quindi cos’è il giornalismo costruttivo? Una parte delle soluzioni si trovano anche in questo: nel rievocare il passato, cercando di capire cosa si sta facendo ora di positivo e cosa potrebbe magari ispirare anche altre comunità, in altri Paesi.”
In Israele un’oasi di pace tra israeliani e palestinesi
La Mattio racconta anche dell’articolo di uno dei partecipanti al percorso formativo sul giornalismo costruttivo di cui è tutor, che descrive un’oasi di pace tra Palestina e Israele sconosciuta ai più. In questo caso, ovviamente la guerra tra Palestina e Israele è un argomento estremamente caldo, ma dato il focus di questo tipo di giornalismo su possibili soluzioni anche in un quadro più generale indubbiamente drammatico, Erika e l’autore hanno ragionato insieme attorno alla domanda “cos’è il giornalismo costruttivo?” e hanno fatto delle ricerche per capire se in Israele vi fossero delle comunità di israeliani e palestinesi che convivono pacificamente insieme.
“Non solo l’abbiamo trovata, ma abbiamo mandato loro un’email e ci hanno risposto! Quindi abbiamo ottenuto un’intervista esclusiva ai fondatori di questa piccola oasi di pace in Israele, Neve Shalom Wahat al-Salam, che accoglie famiglie israeliane e palestinesi, dove hanno anche creato una scuola a doppia lingua, araba e israeliana, dove ognuno impara le tradizioni dell’altro.” Questo argomento è poi stato portato avanti nel tempo anche da altri aspiranti pubblicisti iscritti al percorso formativo, in modo da poterlo approfondire sotto diverse angolazioni.
Il giornalismo costruttivo, una promessa mantenuta
Tirando le somme di questo nuovo approccio giornalistico e del motivo per cui Erika ha scelto questo percorso, è stata proprio la volontà di cercare di mantenere la promessa che facciamo ai nostri lettori: ampliare l’orizzonte dell’informazione, sia dal punto di vista contenutistico, sia dal punto di vista temporale. È stato proprio questo lo stimolo che l’ha spinta a credere nei valori del giornalismo costruttivo, consapevole dell’enorme responsabilità sociale che ricopre il mondo dell’informazione. Come darle torto?
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