La fine di Marilena Re derubata dei risparmi e uccisa in un campo

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Quella domenica di fine luglio del 2017 Marilena era attesa al supermercato Carrefour di Limbiate, alle porte di Milano, dove avrebbe dovuto impegnarsi come promoter, ma non vi è mai arrivata. I colleghi certo si sono preoccupati eppure nessuno nel quartiere sapeva capacitarsi di cosa fosse accaduto a questa cinquantottenne dalla vita senza ombre.

Nessuno aveva visto Marilena uscire di casa. Nessuno l’aveva notata incamminarsi verso la periferia di Castellanza, in provincia di Varese, dove viveva. Nessuno, in buona sostanza, sapeva qualcosa di questa donna, volatilizzata nel nulla. Madre di due figli, nonna, schiva e di poche parole, Marilena Re cristallizza una vita senza nemici, invidie o rancori. Gli inquirenti se n’erano accorti già nelle prime ore dalla scomparsa quando registravano racconti e deposizioni che sembravano uscire dalla fotocopiatrice: tutti privi di spunti utili per capire cosa davvero fosse accaduto. Certo, erano emersi problemi economici, una certa stanchezza esistenziale ma da qui a immaginare una fuga volontaria o, ancor peggio, un suicidio, pareva impossibile. E così i carabinieri avevano sentito decine di persone per tutto il mese di agosto, estendendo l’approfondimento tra conoscenti, persino ex vicini di casa senza che si arrivasse alla svolta o meglio solo cerchiando nel fascicolo un nome e cognome, quello di un innocuo sessantacinquenne della zona, tal Vito Clericò di professione incensurato. E sì perché era stata la puntigliosità degli investigatori a spingerli a controllare la casa dell’uomo, uno dei tanti soggetti che gravitavano nel passato della donna. In particolare, erano finiti sotto i microscopi del Ris di Parma per le analisi biomolecolari un paio di jeans e una maglietta. Gli uomini in tuta bianca avevano notato sui tessuti delle macchie scure – probabilmente di sangue – che andavano analizzate. Clerico’, almeno in apparenza, non aveva battuto ciglio, spiegando serafico che si era sporcato, macellando alcuni conigli del suo piccolo allevamento. Invece, quelle tracce erano di sangue umano, sangue di Marilena.


Era stato proprio seguendo la pista del denaro che in procura avevano chiesto un approfondimento sui Clericò, Vito e la moglie, accertando una voce che indicava una somma che quattro anni prima Marilena avrebbe consegnato alla coppia per custodirla. Un tesoretto significativo visto che ammontava a 90mila euro in contanti. Marilena aveva consegnato quel denaro ma poi erano nati problemi con il fisco e così la donna fiduciosa aveva chiesto ai Clericò di restituirle il gruzzolo di soldi per pagare 80mila euro all’erario. Proprio 24 ore dopo la scomparsa Marilena doveva saldare il debito ma non si era presentata alla cassa. I due fatti erano collegati? Poteva essere questo il movente dell’omicidio: una questione di soldi da trafugare e impossessarsi per sempre? A insospettire gli inquirenti c’era un’altra indiscrezione mormorata in paese ovvero che Marilena da giorni aveva scoperto come Clericò avesse da tempo speso i soldi ricevuti in custodia per saldare alcuni debiti che lo stesso aveva contratto e che gli toglievano il sonno. Da qui la richiesta di chiarimenti di Marilena e un appuntamento per chiarirsi, fissato proprio per quella domenica. Clericò aveva così preso l’auto per andare a prendere Marilena e discutere. Da Castellanza i due si erano recati nella piazza centrale a Garbagnate Milanese dove, a detta dell’uomo, Marilena all’improvviso si sarebbe contrariata per scendere dal veicolo, incamminarsi a piedi e così far perdere le sue tracce. Ma per i carabinieri questo racconto era gravido di menzogne. I militari, infatti, già avevano scoperto dai tabulati dei cellulari che non c’era stata alcuna telefonata tra i due mentre dai filmati delle telecamere della piazza centrale di Garbagnate non si evidenziava il passaggio dei protagonisti di quella che stava per diventare una tragedia. In piazza Marilena non c’era mai arrivata. Insomma, le bugie di Clericò venivano evidenziate una dopo l’altra e, del resto, quei 90mila euro erano spariti e l’uomo non aveva trovato alcuna risposta, giustificazione, da offrire a quella donna.

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Alla fine, dopo ore e ore di interrogatorio sempre più incalzante, Clericò era crollato, consapevole che quanto commesso era davvero insuperabile. Mai sarebbe riuscito a tenersi dentro un segreto talmente devastante. E così pur negando l’omicidio aveva accompagnato gli inquirenti sino al punto in cui aveva nascosto il cadavere, il suo orto in via Volta, sempre a Garbagnate Milanese. Qui, sotto alcune fascine e un manto di quaranta centimetri di fogliame, era occultato il corpo di Marilena mutilato orribilmente, tanto da farlo ritrovare senza testa, denudato, piegato in due e coperto da un sacco scuro di cellophane, per essere poi infilato in un ulteriore sacco di juta. Clericò aveva provato a limitare le proprie responsabilità solo all’occultamento del cadavere, sostenendo che la donna era stata uccisa da una terza persona, rimasta però senza nome. Una tesi che giorno dopo giorno si faceva più fragile. Dalle indagini emergeva, infatti, un quadro economico desolante del carnefice e dei suoi più stretti familiari. I primi problemi risalivano al 2013 quando la casa dove viveva il futuro assassino era finita oggetto di un provvedimento di pignoramento per la metà in portafoglio alla moglie, visto che non era stata onorata la restituzione di un prestito da 30mila euro, ricevuto da un ex collega di lavoro. Negli anni successivi c’era stato un peggioramento della situazione finanziaria con l’apertura di altri debiti pur di andare avanti. Nel 2016 quel primo pignoramento era stato cancellato ma sui Clericò incombevano nuove nubi, altri disagi. E così la restituzione di quei 90mila euro rappresentava davvero un incubo, il big bang senza ritorno, la fine di ogni illusione di poter sanare i conti. Uccidere Marilena venne vista come l’unica strada da imboccare per sopravvivere al disastro annunciato. Nel 2019 arriva il processo e la sentenza con rito abbreviato: ergastolo è la decisione dei giudici per questo omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dalle sevizie e dalla crudeltà con in più l’occultamento e il vilipendio di cadavere. Clericò negli anni aveva cambiato otto volte versione, attribuendo l’omicidio a un misterioso energumeno, per poi ammettere sia l’assassinio, sia di aver depezzato il corpo, infilando la testa della vittima in un sacco, lasciato poi in un campo a Garbagnate. Nel novembre del 2020 arriva poi un inatteso epilogo: il killer detenuto va nel bagno del carcere di Busto Arsizio dov’era recluso e ingerisce dei sacchetti dell’immondizia sino a morire di asfissia. A lanciare l’allarme il suo compagno di cella che si era preoccupato non vedendo tornare l’uomo dai bagni. Aaacnto al corpo la polizia penitenziaria trova una lettera in cui Clericò attacca i giudici e la giustizia e cerca di spiegare il suo gesto.



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