Alberto Massucco non si ferma. Il primo italiano a registrare una vigna nella Champagne, a fine ottobre ha inaugurato uno spazio a Castellamonte, 40 km a nord di Torino: maison Massucco.
La versione di Massucco
Sono duemila i metri quadri che Massucco ha a disposizione tra cantine, sale degustazioni, salotti e cucine. Ha palato sensibile e mentalità curiosa. Ci facciamo raccontare la sua esperienza…
Calo di vendite in Italia, alcuni distributori sembrano in sofferenza…
Francamente non lo vedo questo calo, parliamo di pochi punti percentuali. Piuttosto noto con piacere un interesse sempre più trasversale verso lo Champagne, in particolare dei giovani che erano un po’ lontani una decina di anni fa. Studiano, si formano, creano gruppi di assaggio. Sono molto positivo.
Anche sull’annata 2024 nella Champagne? Per molti è stata complicata.
Alla fine l’abbiamo portata a casa anche questa volta, per me sarà un’ottima annata, in particolare la Côte des Blancs è stata favorita. Ci sono state grandinate ma si è recuperato sul finale, ad aprile assaggeremo i vini e avremo sorprese.
Perché andare a produrre Champagne? Non le bastava solo berlo e distribuirlo?
Sarò banale, ma l’ho fatto per passione. Non ero partito per produrre Champagne, ma per una selezione, per fare scouting e portare in Italia qualcosa di sconosciuto. Uno, due, alla fine ho selezionato 5 vignaioli per l’importazione, ma allo stesso tempo ho iniziato a comprare dei vigneti.
Si è fatto prendere la mano?
Decisivo è stato l’incontro con un personaggio speciale che purtroppo non c’è più: Eric De Sousa. Con lui e la sua famiglia abbiamo fatto un accordo e siamo partiti con la produzione di Champagne. Ho colto un’opportunità.
Un italiano tra i francesi. Com’è stato accolto?
Hanno capito che non ero lì per fare business o speculazione ma perché amavo del tutto lo Champagne. In qualche modo si sono sentiti gratificati. Mi dicevano: ‘Tu che hai il Barolo sotto i piedi sei venuto fino a qui?’
Noi italiani abbiamo un modo particolare di bere Champagne. Intanto, ci piace secco, molto secco.
Vero, e ci hanno seguito sui dosaggi anche se all’inizio erano un po’ scettici. Dosano meno. E poi c’è un dato che parla chiaro: siamo regolarmente il sesto mercato di esportazione come volumi, ma al quarto posto come valore. In breve, compriamo la qualità.
Altra caratteristica, siamo fissati con i millesimati.
Vero. E siamo stati tra i primi a cercare il dettaglio nei calici, ci hanno seguito anche li, alla ricerca sempre del bicchiere perfetto.
E quale sarebbe?
Ora stiamo usando Lehmann, prima i Riedel che sono più universali. Ma con i Leehmann ci si diverte a usare di più vari calici. Gli Zalto? Meno performanti per lo Champagne.
Abbiamo anche un pallino per l’ossidazione nello Champagne, basta vedere le vendite di Selosse…
Qualche anno fa era ancora più forte, un’ossidazione ben oltre la maturità. Oggi c’è un ritorno dell’eleganza e soprattutto della freschezza.
Come sta cambiando il consumo di Champagne in Italia?
Non si beve solo più nei grandi ristoranti, ma ormai sempre più anche in trattoria dove spesso ci sono oggi anche sommelier: era impensabile qualche anno fa. E sempre più nei bar, grazie ai giovani che si stanno innamorando di questo prodotto come dicevo.
Il caso del momento: tutti pazzi per il Meunier?
(Silenzio). Secondo me si sta già tornando indietro, l’effetto moda ha contato per l’80%. È stata una genialata, ma più moda che altro.
Non starà mica dicendo tra le righe che tra un Meunier e Pinot Nero sceglie quest’ultimo?
A voce alta. Esiste per caso un Meunier Grand Cru? No, non esiste. Chissà perché i Grand Cru sono solo Pinot e Chardonnay. Il Meunier è sempre stato usato per assemblaggi. Ci sarà un motivo.
Bruno Paillard sostiene che dietro tanti piccoli vigneron della Champagne ci siano grandi cooperative a produrre…
Ha ragione. È così.
E qual è il reale rapporto tra piccoli vigneron e grandi maison?
Inutile nasconderlo: un po’ di fastidio dei vigneron nei confronti delle maison c’è, dovuto alla potenza economica che hanno. Ma allo stesso tempo non potrebbero farne a meno. I vigneron non potrebbero esistere senza le maison e viceversa. Si è raggiunto un equilibrio che rende indispensabile entrambi. Il 70% di proprietà delle vigne è dei vigneron. E quasi tutti vendono una quota ai grandi per avere un incasso prima della raccolta che consente loro di vivere. E con la quota rimanente fanno Champagne: chi per piacere personale, chi per gloria.
Invidie e spirito di collaborazione tra i piccoli?
Non c’è il campanilismo che vedo spesso in Italia. Si fa più gruppo e non c’è una gran gelosia tra gli uni e gli altri. Con alcuni distinguo, ma vedo più armonia e collaborazione.
Qualità dei vigneron, spesso è discontinua.
Io trovo sempre più Champagne di qualità. E di sicuro negli ultimi anni hanno fatto più progressi i vigneron delle grandi maison.
Ne hanno anche parzialmente dettato lo stile…
Sì, l’hanno influenzato parecchio. In linea di massima vedo delle acidità comunque meno marcate rispetto a qualche anno fa, si è raggiunto un equilibrio più naturale, il clima ha fatto anche la sua parte. Ma c’è stato anche un cambio nel gusto.
A proposito di grandi maison, spesso i base sono davvero sopravvalutati, per usare un eufemismo.
Si salvano Roederer e Charles Hiedsieck. E pochi altri hanno in effetti un rapporto qualità prezzo accettabile. In molti casi ci sono vignaioli che fanno di meglio.
Tra gli Champagne Rosé abbiamo scritto che si annidano alcuni tra i peggiori rapporti qualità prezzo al mondo.
In parte è vero, con la scusa del Rosé i prezzi sono sempre più alti. È storicamente il più caro della gamma. Devo dire che non sono un patito della tipologia, fino a 7-8 anni fa non lo bevevo. Adesso, addirittura lo produco.
E il Rosé in Italia si vende?
È anch’esso soggetto a mode. Era uscito fuori dai circuiti, negli ultimi anni è tornato in auge. Si può e si deve farlo anche meglio.
Quali sono le sfide più grandi che deve affrontare oggi un produttore di Champagne?
Il clima è sempre più uno stress, basta vedere tutta la pioggia che c’è stata. In alcuni angoli non ci sono stati più di 22 di ore di sole nei mesi invernali. E il clima porta ripercussioni su quantità e quindi costi sempre maggiori.
C’è qualcosa che non abbiamo ancora capito dello Champagne?
Che è buonissimo (ride di gusto). Non abbiamo ancora capito, discorso economico a parte, che è l’unico vino che si può bere tutti i giorni facendosi del bene e non del male. Con altri vini fermi non lo puoi fare.
Procediamo per opposti: Lambrusco e Champagne hanno qualcosa in comune?
Mhmm… in comune hanno una certa attitudine alla tavola, sgrassano benissimo cibi anche grassi. Adoro Champagne e mortadella o cassoeula.
La più grande annata dello Champagne degli ultimi 15 anni.
Scommetto sulla 2013, continuerà a progredire per molto tempo.
Un vigneron che le piacerebbe importare?
Collard-Picard a Èpernay.
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