Betty Smith, storia del laboratorio di jeans giapponese migliore al mondo

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Situata all’estremo sud di Shibuya, a pochi passi da Naka-Meguro, c’è Ebisu, più demure delle concitate Harajuku e Omotesando ma altrettanto cool, piena di negozi di lusso, locali sofisticati e piccoli café ora bohémien ora retro-modern, che si affacciano sulla strada dai piani alti, lasciando intravedere il loro arredamento eccentrico-chic. Tra queste stradine tranquille si annida una delle esperienze più particolari che si possano fare a Tokyo, radicatissima nella storia della moda locale: confezionare i propri jeans personalizzati. Un sogno per tutti gli amanti e i cultori del denim giapponese, reso possibile dal marchio Betty Smith, una vera e propria icona del settore. Fondato nel 1962 a Kojima, nella prefettura di Okayama, una zona nota per la sua secolare tradizione tessile e ribattezzata “la culla del denim giapponese”, il brand è stato infatti il primo produttore di jeans da donna di tutto il paese e oggi apre le porte del suo workshop per trasmettere la sua ricca eredità artigianale con un’esperienza molto carina e coinvolgente.

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Francesca Milano Ferri

Jeans making experience da Betty Smith

L’atelier fa capolino da una vetrina sulla strada, che invita i passanti con la mitica mascot del brand Betty-chan, dagli occhi grandi e l’acconciatura afro rosso acceso, ma per entrare in questa piccola kobo (fabbrica) delle meraviglie, sarà necessario prendere l’ascensore fino al quinto piano. Grandi assi in legno avvolgono il pavimento di sfumature calde, mentre strati su strati di denim ricoprono le ralle raso-parete che percorrono tutto il perimetro della stanza. In mezzo, tavoli da lavoro, presse, sample di tessuto e contenitori pieni zeppi di bottoni ed etichette colorate ci proiettano subito in un microcosmo accogliente, quasi familiare, pensato per trasformare il denim in un racconto personale.

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i jeans personalizzati di betty smith a tokyo esperienza perfetta per i cultori del denim giapponesepinterest

Francesca Milano Ferri

Prima di tutto, si parte dalla selezione del capo. Sì, perché non ci sono soltanto jeans, ma anche gonne, giacche e gilet – così, appena finito il workshop, possiamo subito pensare al prossimo capo da customizzare. Poi il colore, nero o iconico indaco? Se si punta sull’intramontabile jeans, si iniziano poi le prove in camerino per scegliere lunghezza e vestibilità – sono disponibili tagli ampi, a sigaretta o anche super skinny, per chi se la sentisse di farsi pioniere di questo revival, tutti con diverse altezze di punto vita e cavallo. Ed è qui, una volta selezionato il capo perfetto, che inizia il vero divertimento: si potrebbero passare ore a rovistare tra tutte le decorazioni disponibili, i rivetti laccati a forma di fiorellini, stelle o ingranaggi rétro, i bottoni con il monte Fuji, Hello Kitty o Betty-chan, o ancora (e qui si nasconde il vero tesoro) tutte le meravigliose etichette, in cartone, pelle o tessuto con illustrazioni d’epoca da cucire sul retro, recuperate dagli archivi storici del marchio.

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Francesca Milano Ferri

Non avrei mai pensato di emozionarmi per aver fissato un bottone, ma devo ammettere che sistemarli con cura sulla pressa, stando attenti all’orientamento, e spingere il pedale con tutte le forze mi ha procurato una soddisfazione inaspettata. Sistemate tutte le finiture e apposta la label, il nostro capo in denim giapponese cimosato è pronto e possiamo portarcelo a casa in una bellissima tote-bag con stampato sopra il faccione di Betty-chan. Quale miglior souvenir?

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Francesca Milano Ferri

Cosa rende il denim giapponese così speciale?

Osannato dagli esperti come il migliore al mondo, il denim giapponese si distingue da quello occidentale per tre aspetti principali. Il primo e più noto è probabilmente la presenza della cimosa, una caratteristica praticamente in via d’estinzione che serve a identificare subito il denim di qualità: si tratta del bordo auto-finito del tessuto, che evita lo sfilacciamento eliminando così la necessità di orlature aggiuntive, un dettaglio che si presenta come un “nastro” interno che corre lungo le cuciture, delineato da un filo rosso e visibile solo quando i jeans vengono risvoltati. Il denim cimosato (anche detto selvage) è reso possibile grazie ai telai a navetta, che lo rendono più resistente e al contempo esteticamente raffinato. Un’altra cosa che si nota subito indossando un paio di jeans giapponesi è il peso: si tratta di una tela pesante (che può aggirarsi tra le 20-35 once, contro le 11-14 di un classico Levi’s), spessa e incredibilmente robusta, che risulta da un’alta densità di fili, tessuti con precisione su macchinari d’epoca. Infine, la tradizionale tintura indaco: molti produttori giapponesi usano l’antica tecnica dell’aizome, un processo interamente naturale, eseguito più volte per intensificare la profondità del colore, che dona al denim una sfumatura unica e la capacità di evolvere nel tempo – una proprietà che gli ha valso il nome di raw denim, cioè denim grezzo. Ogni lavaggio e ogni piega creano un capolavoro personale che , trasformando i jeans in un diario visivo della vita di chi li indossa. Una delle avvertenze post-esperienza da Betty Smith è infatti proprio quella di lavare il denim appena creato separatamente perché, nei primi lavaggi, potrebbe perdere del colore.

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Francesca Milano Ferri

Lontano dalle tecnologie che hanno permesso la produzione di massa, il denim giapponese si contraddistingue quindi per la sua lavorazione artigianale, fedele alle tecniche impiegate negli Anni 60 e 70 a Kojima, quando il jeans si apprestava ad affrontare il passaggio dal workwear all’abbigliamento casual. Tra gli altri marchi storici è impossibile non citare Big John, il pioniere del denim giapponese, Evisu, che con il suo celebre gabbiano dipinto a mano celebra un fascino più rétro, Samurai e Momotaro, che intrecciano tradizione e innovazione. Ognuno porta con sé una storia e un patrimonio inestimabile, per questo la Jeans Making Experience di Betty Smith è un’occasione speciale per imparare qualcosa in più sul mondo del denim. La cosa bella di questa esperienza è che, oltre a essere molto pratica e intuitiva, vanta anche del personale giovane che parla inglese, ma attenzione a organizzarvi con un po’ di anticipo perché è fondamentale prenotare.

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