L’ergastolo gode di ottima salute e il governo Meloni ne ha salvato la versione più estrema. Quelle varianti incostituzionali che oggi non ci sono più

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L’ergastolo gode di ottima fama. L’opinione pubblica è convinta che, di fatto, non esista più nel nostro ordinamento, lamentandosene. I media, vecchi e nuovi, ne invocano l’applicazione ad ogni delitto efferato. Gli elettori nel 1981 si rifiutarono di abolirlo, mentre nel 2013 i Radicali non trovarono 500.000 firme per riproporne l’abrogazione referendaria. Nel nome delle vittime (ora di femminicidio), lo si ritiene l’unica punizione adeguata. Il governo Meloni, con il suo primissimo decreto legge, ha voluto salvarne la variante più estrema, quella ostativa. Il sottosegretario alla Giustizia Ostellari è favorevole ad estenderlo ad altre, più numerose fattispecie di reato. Gode anche di ottima salute, a giudicare dalle cifre disponibili (cfr. Susanna Marietti, «L’ergastolo in Italia non esiste». I numeri di un pregiudizio, in Aa.Vv., Contro gli ergastoli, Futura, 2021, 93 ss.). Infatti l’ergastolo esiste in Italia più di quanto non esista mediamente in Europa.

Le condanne

Lo storico della media delle condanne annuali al carcere a vita ne segnala una crescita impressionante. Aumenta il peso percentuale degli ergastolani sul totale dei detenuti condannati, e crescerà ancora in ragione della legge n. 33 del 2019 che ha precluso il giudizio abbreviato (e la conseguente sostituzione di pena) per i delitti puniti con l’ergastolo. Nel medesimo arco temporale (2008-2020), il numero delle liberazioni condizionali concesse a persone condannate alla pena perpetua (33) è di molto inferiore alla cifra degli ergastolani morti in carcere (111). Non basta: biblicamente, l’ergastolo è cresciuto e si è moltiplicato. Esistono, infatti, forme diverse di carcere a vita: comune, con isolamento diurno, ostativo alla liberazione condizionale, per folli rei se condannati per delitti puniti con l’ergastolo. Così come c’è ergastolano ed ergastolano: essere condannati a vita a vent’anni d’età non è come esservi condannati a cinquanta; essere ergastolani sottoposti al c.d. “carcere duro” (art. 41-bis, ord. penit.) non è come scontare l’ergastolo in regime ordinario.

Le varianti incostituzionali

Fino a ieri, peraltro, abbiamo convissuto con ulteriori varianti del carcere a vita, poi rimosse dall’ordinamento perché incostituzionali: l’ergastolo per i minori, l’ergastolo «del terzo tipo» (Emilio Dolcini) per il reato di rapimento aggravato dalla morte dell’ostaggio, che precludeva al condannato – anche se collaborante con la giustizia – l’accesso a qualsiasi beneficio penitenziario (fosse pure un permesso premio di poche ore) prima di aver scontato «effettivamente» ventisei anni di carcere. Risultato? Alla data del 31 dicembre 2020 gli ergastolani in Italia erano 1.784, costretti ad un regime detentivo il cui fine pena è indicato dalla burocrazia ministeriale con una data inesistente, espressa in neolingua orwelliana: giorno/mese/anno, 99/99/9999. Eppure «le pene devono tendere alla rieducazione del condannato» (art. 27, comma 3, Cost.): puniamo qualcuno per averlo poi indietro, possibilmente cambiato. Come può, allora, mirare al reinserimento sociale una detenzione fino alla morte del reo?

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La quadratura del cerchio

Per l’ergastolo comune, che pure il codice definisce pena «perpetua» (art. 22), la quadratura del cerchio è stata trovata nel 1962, estendendo per legge anche ai condannati a vita la liberazione condizionale: la possibilità cioè, per l’ergastolano che abbia dato prova di sicuro ravvedimento, di uscire di galera dopo ventisei anni di detenzione (riducibili fino a ventuno con il meccanismo degli sconti di pena, se meritati). Scarcerato, vivrà in libertà vigilata per cinque anni, trascorsi i quali – se avrà rigato dritto – la sua pena sarà estinta. Ecco perché, quando l’art. 22 c.p. venne impugnato davanti alla Corte costituzionale, la questione fu dichiarata infondata: potendo non essere più perpetuo, l’ergastolo incapsulerebbe una valenza risocializzatrice (sent. n. 264/1974). Dunque, secondo quella sbrigativa decisione, l’ergastolo non vìola la Costituzione purché non sia ergastolo. È un sofisma di corto respiro. Capovolto, dimostra che una pena perpetua è certamente incostituzionale. Rivela, altresì, che in quel lontanissimo precedente la Consulta non giudicò dell’art. 22 c.p., ma della sua ipotetica disapplicazione.

Consigli per il da farsi

C’è dunque spazio per ritornare a Palazzo della Consulta, specie se qualche giudice saprà cogliere i segnali lanciati da due recenti sentenze costituzionali in tema di pena perpetua. Penso alla sent. n. 94/2023, costola del “caso Cospito”, che ha dichiarato illegittimo il divieto per il giudice di ritenere prevalenti le attenuanti sulla recidiva reiterata, nel caso di reati puniti con l’ergastolo. Vi si legge che «una pena fissa è per ciò solo indiziata di illegittimità costituzionale», e che la pena dell’ergastolo «non è graduabile quanto alla durata, proprio perché è perpetua e tale è nel momento in cui viene irrogata con sentenza passata in giudicato: in quel momento la prospettiva per il condannato è una pena che non ha mai fine». Dunque, in sede di cognizione, l’ergastolo è illegittimo. Penso, poi, alla sent. n. 260/2020, che ha confermato il divieto di accesso al giudizio abbreviato per gli imputati di reati puniti con l’ergastolo. Qui la Consulta segnala, più volte, che l’«elenco dei delitti puniti con l’ergastolo previsti dal vigente codice penale» comprende reati dall’eterogeneo disvalore. Ed invita i giudici a quibus a impugnare tali scelte legislative irragionevoli. Li invita, cioè, a sfoltirne il catalogo mediante mirate questioni di costituzionalità. Esiste ancora qualche giudice non rassegnato alla «democrazia dell’ergastolo» (Alessandro Barbano)? Se sì, suggerisco a loro due libri come strenne natalizie: Aa.Vv. Ergastolo e diritto alla speranza. Forme e criticità del “fine pena mai” (Giappichelli, 2024) e Aa.Vv., Morire di pena. Per l’abolizione di ergastolo e 41-bis (Stampa Alternativa, 2024). Vi troveranno utili argomenti per decidere il da farsi. Buona lettura.





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