Sala in carcere, Teheran conferma l’arresto ma non rivela le accuse. L’Iran vuole lo «scambio» con l’ingegnere arrestato in Italia

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di
Giovanni Bianconi

Il viceministro degli Esteri parla di cattura «preventiva», Teheran punta a evitare l’estradizione dell’uomo dei droni. L’agenzia di stampa iraniana conferma l’arresto ma non fornisce particolari

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A undici giorni dall’arresto, anche il governo di Teheran ammette che Cecilia Sala è tenuta in carcere senza accuse, e lascia intendere di considerarla una moneta di scambio per ottenere la liberazione di Mohammad Abedini-Najafabad, l’ingegnere iraniano esperto di droni e detenuto in Italia dal 16 dicembre per essere estradato negli Stati Uniti. Lo ha detto e fatto capire all’ambasciatrice italiana in Iran, Paola Amadei, il vice-ministro degli Esteri (con delega agli Affari politici) Vahid Jalalzadeh.

Nella mattina del 30 dicembre l’agenzia di stampa ufficiale IRNA ha confermato l’avvenuto arresto della reporter italiana «per violazioni della legge della repubblica islamica» senza fornire ulteriori particolari sulle accuse contestate. «L’arresto – riporta la Irna – è stato eseguito secondo la normativa vigente ed è stata informata l’ambasciata italiana a Teheran. Alla persona menzionata è stato garantito l’accesso consolare durante questo periodo e la signora Sala è stata in contatto telefonico con la sua famiglia». «Se il sistema giudiziario lo riterrà, maggiori dettagli verranno comunicati in seguito» conclude l’agenzia. 




















































La parte che riguarda la giornalista italiana fermata il 19 dicembre, alla viglia del programmato rientro a Roma, è quella affrontata ufficialmente nell’incontro avvenuto ieri; Jalalzadeh ha affermato di seguire personalmente il caso, assicurando che farà il possibile per garantire alla donna le migliori condizioni di detenzione. Ma le buone notizie si fermano qui. Perché lo stesso rappresentante della Repubblica islamica ha aggiunto che contro la reporter non c’è alcuna contestazione formale, né lui sa dire quando arriverà. Le indagini a suo carico sono ancora nella fase iniziale, e solo quando l’autorità giudiziaria formulerà un’ipotesi di reato lui potrà essere più preciso.

Cattura preventiva

Il vice-ministro ha provato a spiegare che l’arresto sarebbe stato quasi casuale, ma nella sostanza si tratterebbe di una cattura preventiva, senza prove né indizi di quei «comportamenti illegali» accennati al momento del fermo. Solo dopo è cominciata la ricerca degli elementi per trattenerla nella prigione di Evin, tuttora in corso; un’azione di polizia, quindi, che adesso deve trovare uno sbocco giudiziario che la giustifichi.

Tutto ciò conferma il collegamento tra questa vicenda e quella dell’iraniano Abedini bloccato dalla polizia italiana all’aeroporto di Malpensa e rinchiuso nel penitenziario di Opera. Il governo di Teheran ha già protestato formalmente con l’Italia per il suo arresto, ma i giudici della corte d’Appello di Milano l’hanno convalidato in attesa che venga incardinata la procedura di estradizione negli Stati Uniti, dove il tribunale federale del Massachusetts lo vuole processare per associazione a delinquere, violazione delle leggi sull’esportazione e supporto a un’organizzazione terroristica (i pasdaran dei Guardiani della rivoluzione).

La connessione tra la carcerazione di Abedini e quella di Sala è stata affrontata nella parte ufficiosa del colloquio tra l’ambasciatrice Amadei e il vice-ministro Jalalzadeh.

Contropartite

È stato quest’ultimo a stabilire il nesso, quasi dettando le condizioni per una possibile soluzione che riguardi entrambi i detenuti: uscire di prigione dietro una contropartita di qualche genere, senza ulteriori conseguenze giudiziarie. Il che dovrebbe significare, nelle intenzioni iraniane, liberazione della giornalista e nessuna estradizione dell’ingegnere negli Usa, dove è già recluso il suo presunto complice Mahdi Mohammad Sadeghi, che difficilmente potrà evitare il processo. Il destino giudiziario di Abedini, invece, è nelle mani dell’Italia, che dovrà decidere se consegnarlo o meno agli americani. E un eventuale «no» comporterebbe l’immediata scarcerazione dell’ingegnere, detenuto solo a fini estradizionali; libero a quel punto di tornare in Iran o in Svizzera dove ha cittadinanza e residenza.

La scelta spetta in primo luogo ai giudici di Milano, e in ultima istanza al ministro della Giustizia. Non è facile intuire che cosa immagini il viceministro di Teheran come contropartita da offrire in cambio del rilascio di Abedini, a parte la liberazione di Cecilia sala. Così come non è facile convincere gli iraniani che la magistratura italiana è indipendente ed emette provvedimenti basati su considerazioni giuridiche e non politiche. Ma la diplomazia serve a questo, come pure i contatti a livello di intelligence che dal momento dell’arresto della giornalista de Il Foglio e Chora media non si sono mai interrotti.

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Un’ipotesi è la concessione degli arresti domiciliari, che l’avvocato italiano del detenuto, Alfredo De Francesco, potrebbe chiedere oggi dopo aver trovato un alloggio per il suo assistito. Ma pesa il precedente del presunto trafficante d’armi russo Arthem Uss, scappato nel marzo 2023 dalla casa in cui si trovava bloccato da un braccialetto elettronico mentre pendeva su lui una richiesta di estradizione degli Usa. Gli americani si adirarono molto per quell’evasione, e la conseguenza fu che il governo italiano, per mano del Guardasigilli Carlo Nordio, mise sotto procedimento disciplinare i giudici della corte d’Appello di Milano che gli avevano concesso i domiciliari, poi assolti dal Csm perché non avevano commesso alcun illecito. Non a caso, dagli Usa è già arrivato un documento in cui si evidenzia il pericolo di fuga per Abedini, ritenuto in contatto con soggetti pericolosi e servizi segreti in grado di aiutarlo.

La carta del ministro

Con questo antefatto, la via dei domiciliari sembra difficilmente percorribile. I tecnici del ministero della Giustizia stanno studiando la possibilità di ricorrere all’articolo 718 del codice di procedura penale, che tratta la revoca e sostituzione delle misure cautelari. Il secondo comma prevede che «la revoca è sempre disposta se il ministro della Giustizia ne fa richiesta», proprio perché a lui spetta la decisione definitiva sul merito delle estradizioni.

Sarebbe un appiglio tecnico per legittimare sul piano giudiziario una scelta politica. Alla quale fece ricorso, ad esempio, la Guardasigilli Marta Cartabia nel 2022, quando liberò il registra ucraino Yeven Eugene Lavrenchuk, arrestato su richiesta della Russia che ne reclamava l’estradizione. L’uomo era stato bloccato a Napoli, durante un transito per Tel Aviv a fine gennaio, e mandato agli arresti domiciliari in attesa che si concludesse l’iter per la consegna alle autorità di Mosca, ma a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, il 2 marzo, Cartabia ne chiese la liberazione, subito ordinata dalla corte d’Appello di Napoli.

Il nodo degli Usa

Sebbene la situazione sia diversa, volendo Nordio potrebbe seguire la stessa procedura con Abedini. Ma dovrebbe superare le resistenze e gestire le reazioni all’eventuale scarcerazione dell’iraniano da parte degli Stati Uniti; cioè del principale alleato dell’Italia sullo scacchiere internazionale. Ecco perché in queste ore e nei prossimi giorni i contatti politici e diplomatici proseguiranno non solo sull’asse Roma-Teheran, ma anche tra Roma e Washington.

La sorte di Cecilia Sala è legata ai rapporti fra Italia e Stati Uniti, oltre che fra Italia e Iran. E chissà se potrà avere un peso l’auspicio, espresso dal viceministro Jalalzadeh all’ambasciatrice Amadei, che proseguano le interlocuzioni politiche tra i due Paesi nel mezzo della crisi in corso sul teatro medio-orientale.

Intanto l’avvocato difensore di Abedini ha presentato formalmente istanza alla Corte d’appello di Milano per gli arresti domiciliari. Ha indicato anche un’abitazione dove l’ingegnere può essere trasferito.   

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30 dicembre 2024 ( modifica il 30 dicembre 2024 | 13:24)

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