Un aumento considerevole delle prestazioni, servizi e attività contenuti nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) e che i cittadini hanno diritto a ottenere gratuitamente, o dietro pagamento del ticket, dal Servizio sanitario nazionale e dalle strutture convenzionate. L’idea sostenuta ed elaborata dal Decreto governativo era lodevole e a tutto vantaggio dei cittadini, peccato aver fatto i conti senza l’oste, cioè la mancanza di fondi, già ridotti al lumicino, per finanziare un progetto così ambizioso. Questo il nodo con cui il Tar del Lazio ha deciso la sospensione del decreto del Ministero della Salute che fissa le tariffe aggiornate per le nuove cure e prestazioni che attendono di partire dal 2017. Una sospensione già revocata dallo stesso Tar. A chiedere la revoca, infatti, le parti che avevano impugnato il provvedimento governativo. “Preso atto della dichiarata gravità delle conseguenze della sospensione del decreto che determinerebbero il blocco del sistema di prenotazione ed erogazione” dei servizi “con un impatto sulla salute dei pazienti”, il Tar ha deciso di revocare il decreto confermando l’udienza in camera di consiglio per il 28 gennaio.
Il decreto in questione è stato emanato lo scorso novembre, entrava in vigore il 30 dicembre e prevedeva l’aggiornamento tariffario di oltre 3mila prestazioni di specialistica ambulatoriale e di assistenza protesica oltre all’introduzione di nuove cure gratuite, come ad esempio la Procreazione medicalmente assistita (Pma), la consulenza genica, l’adroterapia, l’enteroscopia con microcamera ingeribile e la radioterapia stereotassica. E poi ancora apparecchi acustici a tecnologia digitale, attrezzature domotiche e sensori di comando, arti artificiali a tecnologia avanzata e sistemi di riconoscimento vocale e di puntamento con lo sguardo.
Tutto da rifare per il Tar del Lazio che sospendendo (e poi revocando la sospensione) il Tariffario delle prestazioni di Specialistica ambulatoriale e protesica – rispettivamente ferme al 1996 e al 1999 – ha accolto il ricorso proposto da centinaia di strutture e laboratori accreditati, insieme alle maggiori associazioni di categoria e ha fissato una udienza il 28 gennaio per la trattazione collegiale del ricorso. Uno stop a sorpresa che rischia, dunque, di allungare ulteriormente i tempi per poter accedere alle nuove prestazioni. Con il maxiricorso, si apprende, si mira ad evidenziare la mancata considerazione dell’andamento dei costi produttivi aggiornati e le criticità giuridiche e metodologiche del decreto.
“Le ragioni formali dell’accoglimento dell’istanza sono quelli inerenti al fatto che non essendo, come il Decreto di novembre aveva giustificato, una necessità e non avendo carattere di urgenza quella della pubblicazione dei nuovi Lea, visto che l’aggiornamento manca da più di 20 anni, formalmente il Tar lo blocca per questo motivo. Ma al suo interno c’è un paradosso oggettivo”, spiega ad HuffPost Pierino Di Silverio, Segretario Nazionale Anaao Assomed. “Questi nuovi Lea, che erano aumentati di molto rispetto alle prestazioni contenute precedentemente, sono stati finanziati di meno paradossalmente. Già lo scorso anno c’era stata una problematica tale per cui erano slittati i nuovi Lea proprio per mancanza di fondi: in sostanza i 500 milioni destinati ai Lea, secondo le associazioni, produrrebbero una diminuzione dei rimborsi agli ospedali e alle strutture convenzionate accreditate per ogni singola prestazione che addirittura potrebbe raggiungere il 70%. Un cane che si morde la coda”.
Nella pratica, il corto circuito avviene in questo modo: l’ospedale o la struttura convenzionata erogano la prestazione con un costo per l’azienda, ricevendo un rimborso decisamente più basso. L’intero processo dunque diventa difficilmente sostenibile con quelle che sono le esigenze inevitabili di cassa delle aziende ospedaliere. E comporta diversi rischi: “Se questa procedura e i nuovi Lea fossero stati approvati il rischio era quello di avere dei nuovi Lea e quindi delle nuove prestazioni da erogare sulla carta, ma che nella sostanza non sarebbero potute essere erogate per mancanza di fondi”, ci spiega ancora Di Silverio. “Attualmente oltre 200 mila prestazioni sono già state erogate e non si capisce come verranno rimborsate, con aggravi inevitabili per i vari bilanci. Il rischio più grande che intravediamo, tuttavia, è sociale perché i cittadini continueranno a non avere le nuove prestazioni, come quelle che riguardano le malattie rare, inserite nei Lea”.
Un bel pasticcio, al momento di difficile soluzione. “Ci vogliono i soldi”, continua il Segretario Nazionale Anaao-Assomed, “al momento si rimarrà alla situazione attuale con questo bias delle 200 mila prestazioni già erogate, con dei piani sanitari regionali come nel Lazio già avviati anche considerando i nuovi Lea: insomma problematiche organizzative, problematiche economiche per ciò che è stato già erogato, ma soprattutto sociali con i cittadini e i pazienti e i malati di alcune patologie che continueranno a non vedere queste malattie inserite nei Lea”.
Come si sia potuti arrivare a questa situazione è facile da immaginare. E’ naturale che se si allarga il numero di prestazioni, esami diagnostici e quant’altro che devono essere erogati per legge dal servizio di cure pubbliche ma poi non vengono finanziati, il sistema non può reggere: “Penso che l’obiettivo sia nobile, nel senso che la sensibilità dopo 28 anni di aggiornare la griglia Lea la dobbiamo riconoscere. Poi questo però si scontra, come avviene sempre in questo Governo, con quello che decidono di stanziare. Non è un esempio isolato, non è la prima volta che il Ministero della Salute decide di fare azioni coraggiose, ma poi si scontra con il muro di gomma economico che dice sostanzialmente che la Sanità non è una priorità”.
Non è un mistero, infatti, che il Ministro della Salute Orazio Schillaci contasse di avere una disponibilità di denaro più ampia per il suo dicastero, ma non sia stato accontentato: “Schillaci conta di avere più fondi, magari glieli promettono anche, ma alla resa dei conti per un motivo o per un altro non glieli danno e come sempre si trova incastrato in questa situazione e deve fare da parafulmine. L’abbiamo visto con la finanziaria: il ministro per mesi ha assicurato che ci sarebbe stata una defiscalizzazione dello stipendio dei medici e alla fine cosa ha ottenuto? Un aumento di 15 euro: condizioni ai limiti della realtà che mostrano come il Ministero della Salute venga costantemente commissariato di fatto da quello dell’Economia e della Finanza”, conclude Di Silverio.
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