il 2025 sarà ancora un altro anno all’insegna dei conflitti (come purtroppo lo sono stati gli ultimi che abbiamo vissuto), o potremo finalmente vedere degli spiragli di pace nel mondo? Ad oggi, le guerre aperte sono numerose e molte di queste peraltro fanno parte della categoria dei conflitti ‘dimenticati’ dall’attenzione di noi occidentali. In un mondo dove la frammentazione e la polarizzazione sembrano in continuo aumento, ci si chiede dunque se sia legittimo essere ottimisti.
La guerra più importante è quella tra Russia e Ucraina, che si trascina ormai da quasi tre anni. In questo caso siamo di fronte a un bivio: da una parte, il rischio che si trasformi in un conflitto “congelato”, dato che da diversi mesi ormai i due schieramenti non stanno ottenendo conquiste significative sul territorio. Dall’altro, la possibilità di pervenire a una pace, opzione sempre più probabile a causa del logoramento e della stanchezza che sia Kiev che Mosca stanno iniziando ad accusare. La domanda è: quale pace? A questo punto del conflitto, è ragionevole che anche l’Occidente si dimostri aperto ad intavolare una trattativa con Putin, ma certamente le presunte offerte messe in campo dallo zar attraverso i suoi sponsor all’interno dell’Ue (in questi ultimi giorni il leader slovacco Fico) non sembrano accettabili. La sfida sarà fare in modo che l’Ucraina ottenga condizioni onorevoli, che salvaguardino la maggior parte del suo territorio e soprattutto l’autonomia da future ingerenze di Mosca, favorendo un rafforzamento della democrazia (attraverso la conferma delle elezioni nel 2025) e un progressivo avvicinamento di Kiev all’Ue (l’ingresso nella Nato resterà probabilmente una linea rossa nelle trattative).
C’è poi la guerra aperta in Medio Oriente tra Israele e i suoi nemici. In questo caso, considerare l’attentato di Hamas del 7 ottobre 2023 come causa scatenante del conflitto, sarebbe come guardare il dito dimenticandosi della luna. In realtà, si tratta di una guerra che prosegue a ondate da decenni, frutto di accordi internazionali mai rispettati fino in fondo dalle parti in causa, e che molto difficilmente giungerà ad una conclusione definitiva nel 2025. Il governo israeliano di Netanyahu, galvanizzato dalla recente caduta del regime di Assad in Siria, sembra determinato ad andare fino in fondo mettendo nel mirino – dopo Hamas ed Hezbollah – anche l’Iran degli ayatollah. Il ruolo dell’Arabia Saudita (oltre che ovviamente degli Stati Uniti) sarà fondamentale per contenere le ambizioni di Tel Aviv e provare quantomeno a normalizzare la situazione provando a ripartire dalla soluzione “due popoli, due Stati” tra Israele e Palestina.
Vi sono poi i conflitti africani, dalla guerra civile in Sudan ai frequenti disordini in Mali, che ci sembrano lontani anni luce ma che ci riguardano in realtà da vicino perché agiscono da “rubinetto” ai flussi migratori verso l’Europa dalla sponda sud del Mediterraneo e possono ostacolare i progetti di diplomazia economica italiana che guarda con crescente interesse all’Africa tramite il piano Mattei. E, parlando di economia, il 2025 sarà caratterizzato sempre più dalle guerre commerciali: sembra scontato che Donald Trump prema il grilletto sulla pistola dei dazi, resterà da vedere la potenza di fuoco dei “proiettili” (ovvero quanto saranno elevati questi dazi) sia nei confronti della Cina che di noi europei. In questo caso, il rischio è che la già debole congiuntura in atto dalle nostre parti rallenti ancora di più facendo riaffiorare lo spettro della recessione, che in Germania (avvitata in una crisi sia economica che politica) sembra già realtà.
In questo scenario, la principale “wild card” saranno gli Stati Uniti. Molto dipenderà dalle decisioni che prenderà l’amministrazione Trump: quanto oscillerà tra interventismo militare e isolazionismo in politica estera? Quanto tra protezionismo commerciale e liberismo economico? Quanto deciderà di investire nell’alleanza transatlantica? Potremmo avere qualche risposta a queste domande già nelle prime settimane dall’insediamento, considerando l’abitudine del prossimo Presidente di voler passare dalle intenzioni ai fatti nel più breve tempo possibile. Nel frattempo, l’Italia di Giorgia Meloni e Antonio Tajani sarà chiamata a navigare in un contesto internazionale sempre più incerto, dove occorrerà mantenere la barra dritta relativamente alle priorità nazionali che vedono anzitutto un ruolo più forte e da protagonisti nel Mediterraneo e in Africa. Tuttavia, per far funzionare il piano Mattei occorre che vi sia pace. Ma la pace, in questo continente, può essere garantita solo dal benessere e dallo sviluppo economico, che il piano Mattei vuole promuovere. Sembra quasi un circolo vizioso, che si può interrompere investendo sulla diplomazia e sul dialogo internazionale, alla ricerca di compromessi a volte difficili da accettare ma necessari per ridurre il grado di conflittualità che caratterizzerà l’inizio del 2025.
Il messaggio che viene dal Giubileo, nella sue accezioni originali storiche e religiose e da Papa Francesco, dovrà ora manifestarsi in decisioni politiche che superino non solo i contrasti tra Stati ma anche quelli interni. Non verrà allora disperso questo primo quarto di secolo nato bene ma poi smarritosi in un deflagrare di conflitti e violenze.
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