PISA. Da qualche anno buona parte del contenzioso nei nostri Tribunali è rappresentato da questioni bancarie ed in particolare da iniziative giudiziali da parte di società che hanno acquistato crediti da finanziarie e istituti di credito (queste poste possono derivare da contratti di mutuo, finanziamenti, conti correnti, eccetera, ed essere vantati tanto nei confronti dei debitori principali che dei loro garanti). Sono centinaia fra Pisa e provincia gli interessati: l’avvocato Alberto Foggia, delegato provinciale dell’associazione Adusbef, che ci aiuta a fare il punto sulla situazione, per comprendere di cosa si tratta e soprattutto come ci si può difendere. Il legale, infatti, si occupa da molti anni della materia e tratta quotidianamente casi di cittadini (e aziende) che talvolta, anche a distanza di molti anni, si trovano destinatari delle famigerate “buste verdi” con le quali vengono loro recapitati (o meglio notificati) decreti ingiuntivi, atti di precetto e pignoramenti da parte di Società cessionarie del credito.
Quando le società cessionarie agiscono giudizialmente è possibile difendersi e con quali “armi”?
«Aspetti fondamentali che il destinatario dell’atto giudiziario deve verificare e poi contestare sono l’esistenza dell’asserita cessione del credito e, comunque, che la posizione che lo riguarda rientri in tale ambito. E non di rado la società cessionaria si affida semplicemente all’estratto della Gazzetta Ufficiale, ove si dà notizia della cessione, per dimostrare la legittimità della sua iniziativa giudiziale. Ciò però non è sufficiente in quanto l’unico effetto di tale pubblicazione è quello di esentare la cessionaria dalla notifica della cessione al debitore ceduto, ma non fornisce anche la prova dell’avvenuta cessione, che presuppone che l’avviso anzidetto, per poter attestare l’avvenuta cessione, contenga tutti gli elementi necessari a identificare con precisione il credito, in modo tale da poterne affermare con certezza l’inclusione nella cessione. In mancanza di tale specifica (ad onor del vero difficilmente presente) la cessionaria deve avvalersi di altra documentazione, tra cui certamente potrebbe essere sufficiente copia del contratto di cessione che però faccia chiaro riferimento anche alla posizione oggetto di controversia (il che non avviene così di frequente dato che le copie dei contratti prodotti sono spesso mere proposte – e non quindi contratti veri e propri – pieni di “omissis” e senza richiami alla posizione ceduta)».
E poi?
«Vi possono poi essere altri rilievi da svolgere dopo aver riscontrato se la Società che agisce in giudizio è o meno iscritta nell’albo degli Intermediari Finanziari ai sensi dell’art. 106 del TUB e, quindi, contestare la violazione di tale norma così come il difetto di procura ad agire. Ovviamente vi possono essere anche ulteriori censure da muovere rispetto al credito azionato, da valutarsi caso per caso».
Le società cessionarie possono tutelarsi anche nei confronti dei soggetti che hanno prestato garanzia fideiussoria a favore del debitore: contro le iniziative delle società cessionarie per le fideiussioni bancarie ci si può difendere?
«Sicuramente. Sul punto occorre far presente che la Banca d’Italia – avente le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi degli artt. 14 e 20 della legge n. 287 del 1990 (in vigore fino al trasferimento dei poteri all’AGCM, a far data dal 12 gennaio 2016) -, con provvedimento n. 55 del 2.5.2005 ha dichiarato la contrarietà dello schema contrattuale delle fideiussioni elaborato dall’ABI nel 2003 – contenente quelle clausole cosiddette di sopravvivenza, reviviscenza e rinuncia dei termini di cui all’art. 1957 c.c. – all’art. 2 della legge n. 287/1990. Sul punto si è anche pronunciata la Suprema Corte di Cassazione con la decisione n. 29810/2017, estendendo gli effetti di tale violazione anche ai contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa (fra le Banche) da parte dell’Autorità preposta all’applicazione della disciplina antitrust».
Di solito cosa succede?
«Nonostante il sopra richiamato provvedimento della Banca d’Italia – così come della sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 419941 del 30 dicembre 2021, n. 419941, che ha statuito la nullità delle clausole già indicate di sopravvivenza, reviviscenza e rinuncia dei termini di cui all’art. 1957 c.c., gli istituti di credito aderenti all’ABI hanno pressoché tutti continuato ad adottare pervicacemente e scientemente modelli di fideiussione illegittimi e, quindi, contro le società cessionarie che agiscono proprio sulla scorta di tali fideiussioni vi sono spazi per difendersi. In particolare, occorre riscontrare se la Società cessionaria si sia attivata giudizialmente entro 6 mesi dalla data in cui poteva far valere il credito».
E se non lo ha fatto?
«Ecco che si può eccepire in relazione e dipendenza della nullità della clausola di rinuncia dei termini di cui all’art. 1957 c.c., la decadenza avversaria al riguardo. Mentre tale difesa è certamente possibile tanto in caso di fideiussione omnibus che specifica, non lo è rispetto al contratto autonomo di garanzia. Nella pratica però sono veramente pochi i veri e propri contratti autonomi di garanzia e, quindi, il compito del destinatario dell’atto giudiziario è quello di individuare tutti quegli elementi atti all’inquadramento dei modelli “spacciati” dalla Società cessionaria come contratti autonomi di garanzia in quelli invece di fideiussione».
Talvolta accade che volutamente o meno si sia rimasti inerti alla notifica di un decreto ingiuntivo: ci sono comunque scappatoie per evitare di subire il pignoramento dei propri beni?
«Fortunatamente ci sono e questo è merito della decisione della Corte di Giustizia Europea (poi recepita dalla nostra Cassazione) che ha stabilito la possibilità di rimettere in discussione quanto fino a pochi anni fa era impensabile, ovvero un decreto ingiuntivo non opposto. Il beneficio è riservato al solo consumatore e limitatamente alle clausole vessatorie. Ad esempio la citata clausola di rinuncia dei termini di cui all’art. 1957 c.c. è una delle clausole vessatorie per eccellenza per la quale quindi si potrebbe riaprire un procedimento anche se sono trascorsi lunghi anni dalla sua (apparente) definitività. Pertanto, non è mai troppo tardi!».
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