In Italia, come in molti altri ambiti, anche per quanto riguarda la cura di sé e della propria salute la situazione è piuttosto sfumata. A differenza di quanto accaduto in passato in altri Paesi, soprattutto anglosassoni, non si registrano miglioramenti significativi per il vizio più dannoso per il corpo e il più costoso per la sanità pubblica: il fumo. Secondo l’Istat, tra il 2016 e il 2023 i maggiorenni fumatori sono diminuiti in media dal 19,8 al 18,7 per cento, ma come spesso capita il diavolo si nasconde nei dettagli: la riduzione è dovuta soprattutto al calo registrato nella sempre più numerosa fascia degli italiani di mezza età, fra coloro che hanno tra quarantacinque e sessantaquattro anni, cui però corrisponde un aumento fra i giovani tra venti e i trentaquattro anni.
È quest’ultimo l’aspetto più preoccupante: tra i venti e i ventiquattro anni i fumatori sono passati dal 23,9 al 25,2 per cento, con un incremento più accentuato tra gli uomini, +1,8 per cento. Se escludiamo la crescita avvenuta tra i ventenni, però, gli uomini delle altre fasce di età stanno pian piano abbandonando la sigaretta, per esempio tra i sessanta-sessantaquattrenni ad avere il vizio sono il 19,7 per cento, contro il 23,8 per cento del 2016, e sono diminuiti anche i diciotto-diciannovenni tabagisti, dal 21,3 al 17,9 per cento.
I dati relativi alle donne sono complessivamente più negativi: negli ultimi sette anni, infatti, la percentuale di fumatrici non è diminuita. Al contrario, è aumentata in quasi tutte le fasce d’età. Gli incrementi più significativi si registrano tra le diciotto-diciannovenni, +1,7 per cento, e tra le over sessanta, con una crescita delle tabagiste superiore al due per cento. Oggi sotto i venti anni e tra i sessanta e i sessantaquattro anni le donne fumano quanto gli uomini. Certo non è questa la parità di genere cui ambivamo.
Dati Istat
In generale si consumano meno sigarette di un tempo: quelli che ne fumano più di dieci al giorno sono infatti diminuiti dal 40,3 al 36,8 per cento, ma questo dato non è vero per i giovanissimi e per molte donne. Tra chi ha diciotto e diciannove anni ad accendere quotidianamente dieci, quindici, venti o più sigarette sono il 12,2 per cento, contro l’8,7 per cento del 2016, mentre tra le italiane sia le ventenni che le sessanta-settantenni hanno contemporaneamente aumentato sia la percentuale di fumatrici sia la frequenza di consumo.
Dati Istat, frecce che vanno dal 2016 al 2023
A differenza di altre statistiche, le differenze geografiche in questo caso sono piuttosto contenute. Il Trentino Alto Adige si conferma in testa con la percentuale più bassa di fumatori, pari al 13,6 per cento, ma nel resto del Paese non si rileva un divario Nord-Sud paragonabile a quello osservato in altri ambiti. La Campania registra il tasso più alto di tabagisti (20,7 per cento), ma Lombardia ed Emilia Romagna, rispettivamente con il 19,6 per cento e il 19,5 per cento, non sono lontane. Si fuma di più nelle grandi città – probabilmente per la maggiore concentrazione di persone nelle fasce d’età con i tassi più elevati – e meno nei centri abitati tra i diecimila e i cinquantamila abitanti. Tuttavia, anche in questo caso, la differenza è minima, pari a circa due per cento.
Dati Istat
La differenza è maggiore se si guarda al titolo di studio. Coloro che hanno un titolo universitario, sia uomini che donne, fumano meno di chi si è fermato al diploma o prima; soprattutto tra i più giovani. Fra i venticinque-quarantaquattrenni sono tabagisti il 23,3 per cento degli uomini e il 14,8 per cento delle donne, mentre tra i diplomati si sale rispettivamente al 31,5 e al 21,9 per cento. Il dato negativo, qui, è che è proprio tra questi ventenni, trentenni e quarantenni istruiti si è verificato l’aumento maggiore; in controtendenza al calo generalizzato che ha interessato sia le altre fasce di età che i coetanei con titolo di studio inferiore. La percentuale di fumatori è cresciuta del 2,6 per cento tra gli uomini laureati con meno di quarantacinque anni e dell’1,2 per cento tra le donne con la stessa istruzione ed età.
Dovremmo consolarci pensando che più aumenta il livello di istruzione e meno si fuma o preoccuparci perché tra 2016 e 2023 proprio chi ha studiato di più, invece di abbandonare ulteriormente la sigaretta, l’ha riabbracciata? Cosa non ha funzionato nella comunicazione salutista che certo non è mancata, soprattutto verso i più giovani? È stata colpa del Covid e del lockdown?
Dati Istat
È un alibi forse troppo facile, che comunque potremmo sfoderare a maggior ragione davanti ai numeri sugli italiani con eccesso di peso, che in sette anni sono in generale cresciuti, dal 45,9 al 46,4 per cento contando quelli obesi e in sovrappeso. Anche qui, del resto, i dati più preoccupanti sono quelli che riguardano i giovani, coloro che sono sempre stati più in linea e più propensi a mantenerla, attraverso lo sport e un’alimentazione equilibrata, perché tra costoro l’aumento è decisamente maggiore della media: tra i venticinque-trentaquattrenni gli italiani obesi o sovrappeso sono passati dal 29,8 al 33,4 per cento, mentre tra i diciotto-ventiquattrenni dal 17,4 al 19,9 per cento.
Questi incrementi sono accentuati proprio tra le donne di questa età, ovvero quel segmento della popolazione da sempre più attenta al peso: se nel 2016 risultavano averne uno eccessivo il 19,3 per cento delle venticinque-trentaquattrenni, sette anni dopo erano il 25,8 per cento, ma gli aumenti, seppur minori, hanno interessato tutte le italiane con meno di cinquantacinque anni. Le più anziane, così come quasi tutti gli uomini, risultano invece più in forma di un tempo, anche se, va sottolineato, rimangono i maschi sessantenni e settantenni a registrare la maggiore percentuale di eccesso di peso, ben superiore al sessanta per cento.
Dati Istat
Essere di pochi chilogrammi o di diverse decine al di sopra del peso forma fa la differenza e non è rassicurante il fatto che anche nelle fasce di età che hanno visto un aumento di coloro che rientrano nei parametri corretti sono comunque aumentati gli obesi. Per esempio tra i cinquantacinque-
Dati Istat
A differenza del fumo, in questo caso i divari geografici sono evidenti e in parte sovrapponibili a quelli economici. La maggiore percentuale di italiani in sovrappeso si registra nel Mezzogiorno, dove in tutte le regioni – a eccezione di Abruzzo e Sardegna – più del cinquanta per cento della popolazione ha problemi di peso.Nel consueto Trentino Alto Adige, invece, la percentuale scende al 38,7 per cento, mentre in Liguria si attesta al 40,6 per cento.
Dati Istat
Tra il 2016 e il 2023 la situazione non è migliorata al Sud e in Sicilia, nelle regioni centro-meridionali più popolose, anzi, la proporzione di persone obese e sovrappeso, che qui era già rilevante, è ulteriormente aumentata, del due per cento in Puglia, per esempio, dell’1,2 per cento in Sicilia, mentre l’incremento maggiore è stato nel Lazio, +4,5 per cento. Anche la minore istruzione è fortemente collegata all’eccesso di peso, come del resto un po’ ovunque nel mondo. Questo vale per ogni segmento di età, ma, come con il fumo, soprattutto per i giovani. La percentuale di italiani sovrappeso od obesi, in media il 46,3 per cento tra gli uomini e il ventotto per cento tra le donne tra venticinque e quarantaquattro anni, scende rispettivamente al 38,2 e al 18,2 per cento nel caso dei laureati.
Tuttavia la novità è che, proprio come accade per il fumo, anche qui si assiste a un peggioramento delle statistiche per i più istruiti e in particolare per le donne. Tra queste ultime, l’aumento di quelle che si trovano in eccesso di peso interessa tutte le età e i livelli di istruzione ed è massimo tra quante hanno meno di quarantacinque anni e un diploma, tra cui sono passate dal 23,3 al 31,1 per cento.
Dati Istat
Di fronte a questi numeri, si ha l’impressione di un blocco del progresso, simile a quello che si osserva in altri ambiti, come l’economia. Sembra esserci un’interruzione di quel miglioramento delle statistiche sociali che ha caratterizzato gli ultimi decenni, in settori molto diversi: dalla riduzione degli abbandoni scolastici, degli incidenti stradali e del tasso di omicidi, fino ai progressi nella salute, con l’aumento della vita media e la diminuzione dell’incidenza di alcune malattie. Ma il peggioramento dei dati relativi a giovani, donne e laureati cosa ci suggerisce? Forse che il lento declino che ci stringe, a volte evidente, a volte più sottile, non riguarda solo l’economia. Potrebbe trattarsi di qualcosa di ancora più concreto e quotidiano di quanto immaginiamo.
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