Il costo di una risonanza magnetica del cervello e del tronco encefalico, con e senza contrasto? Stando al nuovo tariffario nazionale, 284 euro; stando a quello veneto, ben 356,75.
E il principio non cambia, quando si passa ad altri tipi di prestazione: per la risonanza magnetica del collo, ad esempio, il costo individuato dal nuovo tariffario nazionale, in vigore dal primo gennaio, è di 215,20 euro; da quello veneto invece è di 312,65. E si parla poi rispettivamente di 208,40 e 346,20 euro per la risonanza del torace; di 215,20 e 346,20 per quella del cuore.
Cambiano le cifre, ma la sostanza rimane la stessa: in Veneto, le tariffe individuate per le singole prestazioni di specialistica ambulatoriale erogate dai laboratori e dalle cliniche private accreditate sono sensibilmente più alte rispetto a quelle previste dal nomenclatore nazionale.
E sarà così almeno fino a fine marzo – ma anche oltre, in realtà – considerando la delibera di giunta del 15 novembre scorso, con cui la Regione ha deciso di prorogare di ulteriori tre mesi la durata del proprio nomenclatore, contenente tariffe nettamente superiori rispetto a quelle previste nel resto d’Italia. Con un aggravio, per le casse del fondo sanitario regionale, che la Cgil Fp stima essere di 100 milioni di euro, 75 milioni invece secondo la Regione.
E pensare, comunque, che il tariffario nazionale ha appena subito un rialzo, al termine di un percorso dall’andamento ai limiti dell’assurdo; un aumento che, comunque, ha accorciato appena le distanze dal Veneto.
Le nuove tariffe nazionali
Un passo indietro. In Italia, il valore delle tariffe per esami e visite ambulatoriali è bloccato da più di dieci anni, fissato in un decreto datato 18 ottobre 2012.
Da allora, però, è cambiato il mondo: l’innovazione tecnologica ha consentito passi da gigante nell’erogazione delle prestazioni, portando a decisivi abbattimenti delle spese sostenute dalle strutture, che però non hanno mai trovato riscontro nei nomenclatori tariffari.
Significa questo: se, nel concreto, le cliniche sostengono costi decisamente meno consistenti, rispetto a una volta, per erogare prestazioni identiche, le stesse cliniche continuano a ricevere uguali contributi dal fondo sanitario nazionale. Per questo, sono anni che si discute dell’opportunità di aggiornare il nomenclatore tariffario, per adeguarlo alle spese realmente sostenute dalle strutture sanitarie, affinché le cliniche private non ricevano dal fondo sanitario pubblico rimborsi maggiori rispetto alle spese effettivamente sostenute per l’erogazione delle prestazioni, nell’ambito della convenzione.
L’iter per l’aggiornamento
E i costi delle prestazioni elencate nel nomenclatore, allora, sono stati effettivamente modificati, con un decreto ministeriale che sarebbe dovuto entrare in vigore il 31 dicembre 2023, ma che poi è stato bloccato, a seguito delle proteste del mondo della sanità privata, scontento per questo aggiustamento al ribasso.
E, quindi, nuova riunione, con colpo di scena: l’adeguamento è stato fatto, sì; ma, per gran parte delle prestazioni, al rialzo. Con buona pace per la ratio della proposta. E l’aumento, in questo caso, non è stato di pochi centesimi – come lo era stato il primo aggiornamento al ribasso, previsto con il dm del 2023 –, ma per diverse decine di euro.
E così, ad esempio, il costo per la risonanza magnetica del collo è passato da 187,10 a 215,20 euro; per la risonanza del torace, da 181,25 a 208,40 euro; per l’angio-rm del distretto toracico, da 184,80 a 212,50 euro. In ogni caso, costi nettamente inferiori a quelli previsti in Veneto.
Detto questo, al mondo della sanità privata non è andato bene nemmeno questo adeguamento. E quindi, ruunito in rete, ha impugnato il decreto – contenente pure l’aggiornamento dei Lea, fermi al 2017 –, riuscendo prima ad avere ragione con il Tar del Lazio, che ha sospeso fino al 28 gennaio l’entrata in vigore del decreto. Ma poi vedendosi costretto a soccombere, a seguito dell’intervento dell’Avvocatura dello Stato, che ha revocato il decreto del tribunale amministrativo.
Il caso Veneto
Ma in Veneto, si diceva, poco cambia. Dato che già il 15 novembre scorso la giunta regionale aveva deciso di prorogare fino al prossimo 31 marzo l’efficacia del proprio tariffario, relativamente alla specialistica ambulatoriale, e quindi diagnostica per immagini, prime visite, fisiochinesiterapia ed esami di laboratorio.
Spiegando, nella delibera, che la proroga servirà anche ad adeguare «i sistemi informativi aziendali e le modalità organizzative, al fine di arrecare il minor disagio possibile all’utenza, garantendo ai cittadini la continuità assistenziale». Anche se, in realtà, i sistemi informatici erano già stati adeguati ovunque, ed è anche per questo che l’Avvocatura dello Stato ha chiesto al Tar di revocare la sospensiva, per evitare un cortocircuito che – questo, sì – avrebbe potuto arrecare un danno agli utenti.
Questo, quindi, a proposito delle prestazioni di specialistica ambulatoriale. Altra strada, invece, quella seguita dalla Regione riguardo all’assistenza protestica. In questo caso, la giunta ha deciso di adeguare le proprie tariffe a quelle nazionali: il recepimento dell’intesa Stato-Regioni risale all’ultimo giorno dello scorso anno.
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