A partire dalle parole e oltre le parole stesse per essere giovani “Pellegrini di Speranza”

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Un sussidio della Pastorale Giovanile della CEI propone quattro momenti significativi e quattordici parole chiave per far vivere ai giovani e con i giovani il Giubileo in pienezza

Per parlare dei giovani e ai giovani del Giubileo, un ottimo spunto viene dal sussidio “Pellegrini di Speranza”, preparato dal Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile della CEI, che accompagna gli incaricati diocesani, gli educatori, gli insegnanti, i responsabili di associazioni, movimenti, fornendo strumenti e riflessioni utili a far vivere pienamente l’esperienza giubilare. Sono questi i momenti evidenziati – pellegrinaggio e professione di fede, Porta Santa e Riconciliazione – declinati grazie a diverse parole chiave: coraggio, abito, senso e con-senso, popolo, soglia, libertà/responsabilità, scoperta, gioia piena, riscatto, coscienza, promessa, abbraccio.

Il coraggio «è un atteggiamento che riguarda la prospettiva, il motivo che ti spinge a metterti in cammino; ha a che fare con le motivazioni che muovono la vita».

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L’abito è «il modo di comunicare con il mondo come siamo e rivela come spesso le maschere o il semplice voler apparire indebolisca la propria identità. È perciò necessario spogliare questa dimensione da tutti gli artifici che non danno ragione della propria identità, mantenendo però quelli che diventano vie d’accesso per la propria interiorità».

Il senso e il con-senso «ci dicono che il cammino implica sempre una scelta che sia condivisibile e condivisa. Il senso è quell’elemento imprescindibile della vita del battezzato, che non cerca un percorso in solitaria, al contrario impegna ad incontrare Cristo e a riconoscerlo nei volti e nelle vite di coloro che gli sono accanto».

Essere in cammino come popolo significa «bandire dalla nostra prassi ogni tipo di delega e impegnarsi in una costante pratica educativa, che aiuti tutti a crescere verso la meta della vita piena. Non esclude nessuno: “popolo” è un collettivo, è cioè parola inclusiva».

Vivere l’esperienza della soglia significa «ammettere che la vita è costituita da passaggi: sono le risposte che diamo ai vari appelli della vita, che ci spingono a maturare il desiderio, la curiosità di scoprire noi stessi rispetto alla crescita e all’andare incontro al futuro. Queste soglie e questi passaggi suggeriscono al cuore del giovane chi e che cosa si vuole diventare, percependo i limiti e le fragilità non come porte sbarrate, ma come occasioni».

Libertà/Responsabilità è «il sentiero che tu scegli di percorrere senza condizionamenti. (…) È l’atteggiamento di essere una risposta, più che dare risposte (…); si tratta di allenare il cuore e la volontà a essere liberi da sé stessi, da ogni egoismo, dalla smania di possedere e di avere tutto sotto controllo per aprirsi al bene da trovare attorno a sé».

La scoperta è «sono tutte quelle aperture della vita che aiutano a trovare soluzioni, a scoprire vocazioni. Ogni scoperta si prepara attraverso lo studio, la ricerca, l’allenamento alla creatività e alla meraviglia a riconoscere Dio oltre me e nello stesso tempo dentro di me».

La gioia piena è «sempre a portata di mano, non è mai distante da te, è una storia di fecondità, nonostante le avversità e le contraddizioni e le sconfitte in cui siamo immersi (…). La gioia è soprattutto la ragione del cuore che si sente leggero, non appesantisce gli altri, né se stessi, ma vive la semplicità e l’umiltà».

Il riconoscimento della propria fragilità è il riscatto che «si sperimenta pienamente con il sacramento della Riconciliazione, nel quale ci sentiamo amati oltremisura e oltremodo, perché non ci fermiamo e non ci immalinconiamo nelle nostre debolezze, ma riconosciamo con verità le prigioni della nostra vita e chi e cosa sono le nostre esperienze di liberazione e di salvezza».

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Il momento in cui finalmente ti riconosci come un essere fragile è la coscienza: «È ritornare a sé stessi per ritrovare la strada, non è solo il luogo per eccellenza dove si sviluppa il pensiero e l’agire morale, ma la consapevolezza di essere in relazione con il Padre, con gli altri e con sé stessi».

Promessa è la fedeltà «che si giurano gli innamorati ubriachi d’amore, quella che giura Dio, l’innamorato per eccellenza. È costruire oggi, anche senza risultati immediati, con la speranza che domani potrà essere migliore».

E infine l’abbraccio, la testimonianza di una presenza viva, che accoglie, cura, lenisce. È il lasciar perdere la fatica del cammino e il perdersi nel tu, è raccontare con un gesto l’importanza dell’esserci dell’altro; è la rivelazione dell’altro che mi accoglie così come sono e che io accolgo così com’è, è dire ʻtu esisti’».



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