La regione delle morti archiviate come suicidi ma che lasciano tanti interrogativi

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Una nebbia fitta, banchi come densi che è impossibile vedere. Nel mezzo boati tonanti, detonazioni come fossimo a Baghdad, Kabul, Gaza o una qualsiasi delle innumerevoli città nel mondo devastate dalle guerre. E il copione è bellico, ogni anno è un bollettino di guerra.

Questo accadeva, anche in alcune zone d’Abruzzo (nonostante ordinanze di divieto e come abbiamo raccontato i primi capodanni di WordNews) meno di settantadue ore fa. Son passati tre giorni, come nella morte violenta che più ha segnato la Storia, e non si sente più neanche un’eco lontana. Ora c’è solo il rumore del silenzio che cade dopo i boati di San Silvestro. E troppo spesso come nebbia scende e tutto avvolge. A San Martino sotto la nebbia urla e biancheggia il mare scrisse Carducci, sotto questa nebbia invece fragoroso è il silenzio. Nessuna urla, nessun mare che biancheggia, avanza come onde del mare solo un fragoroso, immenso silenzio.

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Una nebbia e un silenzio che cerca di inchiodare come un’auto in piena bufera di neve. Ma la neve che inchioda non è meteorologica, non è la soffice coltre che copre in pieno inverno. Un inverno che non dura solo tre mesi sul calendario. Fitta come il banco di nebbia più accecante possibile. È un copione fin troppo ripetuto in quest’Italia di misteri e domande inevase, di nodi mai districati e silenzi. Accade nel cuore di quella che dovrebbe essere una res publica e accade in tante, troppe storie nelle province più diverse, nelle periferie della cronaca nera del momento a cui poi segue la nebbia e il silenzio più avvolgenti.

Nelle ultime settimane del 2024 siamo tornati a raccontare la morte di Jois Pedone, i tantissimi dubbi e interrogativi sulle sue ultime ore, sugli ultimi mesi e sulla profanazione della sua tomba. Entrambi coincidenti con fasi lunari particolari e date dal forte valore simbolico per i satanisti, la profanazione avvenuta nei giorni in cui viene venerata dai satanisti la «Dea Regina dell’Inferno» e un mese prima del «natale satanico».

Il ragazzo vastese era entrato in contatto con una “sacerdotessa” e con una setta denominata “I figli della Luna”, sulla sua pelle era stata marchiata una Z. Cosa rappresentava la Z marchiata sul collo di Jois Pedone? Cosa simboleggia? Perché il ragazzo aveva quel simbolo? Chi l’ha inciso? Chi era la “sacerdotessa”? Come e perché Jois Pedone ci era entrato in contatto? Quanti altri ragazzi sono entrati in contatto con lei? È di Vasto, è del territorio o è di altro luogo d’Italia? Perché e cosa implicava il “patto di sangue”? Jois Pedone era entrato in contatto con una setta, si era imbattuto nel satanismo organizzato. Come? Dove? Quante altre persone a Vasto e dintorni ci sono entrati in contatto? Come opera e cosa realizza questa setta? Come lega le persone, cosa modifica nelle loro vite e cosa obbliga a fare? È una sola o sono più di una? Locali o da altri territori con contatti e ramificazioni a Vasto e dintorni? Dopo l’archiviazione delle indagini, disposte dal gip del Tribunale di Vasto Anna Rosa Capuozzo, la famiglia è tornata pubblicamente a ribadire la propria certezza che Jois Pedone non può essersi suicidato. E che continuerà a battersi per avere verità e giustizia.

È notizia delle settimane successive che la redazione di “Chi l’ha visto?” continua ad interessarsi alla vicenda e che la famiglia ha contattato la redazione della trasmissione “Quarto Grado”. Pochi giorni dopo è stata vandalizzata la tomba di Jois Pedone, danneggiata pesantemente e in una maniera che certo non può essere opera di un vandalo del momento. Appare uno sfregio compiuto in maniera organizzata, con tecniche precise. Perché? Chi ha compiuto questo crimine? Chi gli esecutori e chi i mandanti? A chi dà fastidio che si parli di Jois Pedone e che si continui a ribadire la certezza che non si è suicidato? Chi vuol cercare di intimidire, ma non ci riuscirà come già ribadito pubblicamente, la famiglia? Chi vuol far tacere tutto? Perché? Sono gli stessi che due anni fa minacciarono la famiglia? Sono i “satanisti” con cui Jois Pedone è entrato in contatto? Quale motivo, reale, ha spinto Jois Pedone a recarsi a Punta Penna a quell’ora? Con chi? Per cosa? E come poteva un ragazzo da solo legarsi la zavorra alla caviglia? E come poteva legarsi un grosso zaino se il tassista che l’ha portato a Punta Penna sostiene che non ne aveva con sé? Chi ha partecipato al falò sulla spiaggia di Punta Penna di cui sono state trovate tracce? La Z fu marchiata quella notte? A simboleggiare cosa? Perché quel falò quella notte e a cosa e chi è legato?

La sua famiglia, anche dopo l’archiviazione decisa dal gup del Tribunale di Vasto, continua a gridare che Jois Pedone non può essersi ucciso ma è stato ucciso. Famiglia che, già due anni fa, si era rivolta all’associazione Penelope (presieduta in Abruzzo da Alessia Natali, in prima linea e tenace in tantissimi casi di scomparsi e misteri in questa regione) che continua a seguire costantemente la vicenda, ad impegnarsi accanto alla famiglia e a dargli tutto il supporto possibile grazie soprattutto alla vicepresidente di Penelope Abruzzo, l’avvocata Federica Benguardato. La famiglia del giovane vastese continua a battersi per chiedere verità e giustizia come la famiglia di Giulia Di Sabatino, morta suicida per la magistratura italiana ma non per la sua famiglia.

Foto della ragazza furono trovate sul cellulare di un 30enne di Giulianova, attualmente sotto processo per presunta induzione alla prostituzione minorile e alla pornografia minorile ma nessun addebito finora dalla Procura è stato sollevato per la morte violenta di Giulia Di Sabatino. I genitori della ragazza si sono costituiti parte civile nel processo. “Dopo una recente udienza del processo Daniela SenepaTGR RAI Abruzzo, ha intervistato la madre di Giulia Di Sabatino, Meri Koci, che ha ribadito la certezza che non fu suicidio ma la giovane fu uccisa.

E che il trentenne «c’entra con la morte», testuali parole, di Giulia Di Sabatinoabbiamo riportato lo scorso 13 dicembre – «Chi sono queste persone che organizzavano appuntamenti? Chi collaborava con Totaro? È impossibile che un ragazzo solo, per un suo gusto personale, chieda a centinaia di persone, di ragazze, foto in continuazione. A che scopo?» i pesanti interrogativi posti da Meri Koci nell’intervista di Daniela Senepa.

«Lei pensa ad una regia un po’ più alta? Gliela dico immediata, pensa ad una sorta di racket?» la domanda della giornalista a cui la mamma di Giulia di Sabatino risponde «Penso, l’ha capito tutta l’Italia, che sotto il tappeto c’è ancora tanta polvere da rialzare». «Lei pensa a personaggi importanti, diciamo che in qualche maniera frequentavano questo mondo?» la successiva domanda a cui Meri Koci ha risposto «esattamente»”.

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«Interrogativi e denunce che rilanciamo, di polvere sotto il tappeto ce n’è tanta, troppa, in questa regione abbiamo sottolineato quasi un mese faPornografia minorile, sfruttamento della prostituzione minorile, reati che ad altre latitudini vengono definiti pedocrimini, che piombano costantemente nella cronaca di questa regione. Come abbiamo sottolineato e denunciato lo scorso 20 novembre solo negli ultimi anni sono state almeno venti le inchieste, un numero sconvolgente e raccapricciante per una regione piccola come alcune zone di Roma».

Jois Pedone e Giulia Di Sabatino non sono le uniche morti archiviate come suicidi nei tribunali nonostante le tante ombre e i copiosi interrogativi. Nel 2022, l’anno della morte di Jois Pedone, sono morti due allevatori nell’Abruzzo interno. Archiviati come suicidi ma su cui incombe un’altra ombra inquietante di questa regione di cui ci siamo occupati tante volte: le “mafie dei pascoli”. A marzo 2022 scattano in Abruzzo quattro interdittive antimafia legate ad inchieste ed operazioni contro le “mafie dei pascoli”.

«La mattina del 17 maggio 2022, a distanza di due mesi dalle interdittive, viene ritrovato impiccato a un albero un allevatore di 28 anni, Emiliano Palmeri – riporta un’inchiesta sulla presenza in Abruzzo delle “mafie dei pascoli” di IrpiMedia pubblicata l’11 ottobre dell’anno scorso – Il giovane, originario di Ofena e residente a Castel del Monte in provincia di L’Aquila, poco meno di un mese prima del presunto suicidio era stato trovato privo di sensi in un uliveto di sua proprietà. Il 28enne aveva riportato una profonda ferita alla nuca causata dal calcio di una pistola utilizzata per l’uccisione dei capi di bestiame prima della macellazione. Mentre si trova in ospedale, due suoi cavalli vengono uccisi, rafforzando la tesi per la quale l’allevatore era stato preso di mira da atti intimidatori. Dopo la sua morte viene aperto un fascicolo d’indagine per tentato omicidio, ma da quel momento in poi non si sa più nulla. Nel luglio del 2022 viene nominato un super perito che, nel tempo di 90 giorni, esegue le analisi sulla pistola con la quale sarebbe stato aggredito il giovane: la perizia dirà che si è trattato di un tentato suicidio».

«Il presunto suicidio del giovane allevatore però non è l’unico caso di morte sospetta – sottolineano i giornalisti d’inchiesta di IrpiMedia – Qualche giorno dopo il ritrovamento di Emiliano, un altro allevatore di Pizzoli, paese limitrofo, è stato trovato impiccato nella sua stalla. Giuliano Anastasio, pastore di 51 anni, aveva venduto gran parte del suo gregge, quasi 150 pecore, qualche giorno prima della sua morte. Era stanco, diceva che la pastorizia non garantiva più introiti economici e le problematiche legate all’allevamento erano troppe. Gli inquirenti comunque hanno escluso ogni collegamento con la morte di Emiliano Palmieri. A questi due casi di presunto suicidio si aggiungono diverse altre morti di allevatori avvenute negli anni sempre nella stessa area dell’aquilano. Tutte archiviate rapidamente e tutte indicate come suicidi».



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