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La recente assoluzione del vice-premier Salvini dal reato di sequestro di persona perché il “fatto non sussiste”, con annessa esultanza dell’interessato, mi ha portato a due riflessioni, una generale sul rapporto tra magistratura e politica, e una specifica sul viceministro.

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Quella generale è che nello scontro iniziato tra giudici e politici ancora ai tempi della Dc con il primo scandalo dei petroli del 1974, vado a memoria, i secondi vincono sempre perché hanno due risultati utili su due in una specie di logica assiomatica. Se sono assolti, qualche volta accade perché anche i magistrati sbagliano, allora l’azione dei magistrati è denigrata in quanto inutile e dannosa. Se invece sono condannati, cosa che accade più spesso nonostante le tortuosità del nostro sistema penale, allora il risultato è forse ancora più utile al politico che può indossare la tunica del perseguitato, fino a sentirsi un martire della legge.

Da questo punto di vista lo stato di diritto non è mai stato così sotto attacco dalla politica che non vuole trovare nessun limite legale alla sua azione debordante, soprattutto quando si tratta di raccattare risorse per il partito o per sé stessi. La partita tra magistrati e politici, insomma, è un match truccato fin dall’inizio con buona pace del sacrosanto principio che la legge è eguale per tutti.

Ma se il fatto criminoso contestato a Salvini non sussiste, mi sorge una domanda più generale. Il leader della Lega per Salvini come politico “sussiste” oppure no? Salvini è oramai nella compagine governativa da tempo e ora che vuole il Viminale per risollevarsi un po’ bisognerà pure fare un bilancio della sua pluriennale attività per capire se ne ha titolo.

Intanto, dal punto di vista elettorale la sua gestione è stata un disastro. Ha ereditato una Lega Nord in buona salute e ora governa un partito che nelle ultime elezioni in Emilia-Romagna è passato da 14 consiglieri a 1. L’aver virato verso la destra più retriva e reazionaria non gli ha portato molta fortuna. Ma è sul piano dell’azione gestionale che il fallimento è ancora più completo. Lasciando il capitolo migrazioni a persone più esperte, e comunque non mi pare abbia portato a miglioramenti, mi concentro su due punti centrali per il mondo a parte di Salvini: pensioni e fisco.

Sulle pensioni la sua azione è stata un fiasco completo. Voleva eliminare la legge Fornero che invece è più solida che mai perché è un fatto tecnico basato sulla matematica finanziaria. Nemmeno quando era viceministro con premier Conte, e aveva messo in bilancio 5 miliardi per anticipare l’uscita pensionistica, ha avuto la temerarietà, per nostra fortuna, di un’azione decisa. Per salvare la sua faccia ogni anno abbiamo piccole riformette che rendono ancora più caotico il nostro sistema previdenziale. Intanto il suo governo ha tagliato l’adeguamento automatico delle pensioni per fare cassa.

Sul fisco poi ha stravolto la flat tax degli autonomi trasformandola da strumento per semplificare la vita di milioni di lavoratori in un paradiso fiscale made in Italy per una buona fetta di essi. Forse pochi ricordano che la flat tax per gli autonomi è stata introdotta dal senatore progressista e grande esperto del fisco Vincenzo Visco durante il governo Prodi. Giustamente la sinistra aveva deciso di agevolare la miriade dei contribuenti di piccole dimensioni, magari agli inizi della loro attività professionale. Salvini ha preso questo strumento e lo ha stravolto.

Lo scopo dichiarato ora è quello di far pagare meno tasse ai lavoratori autonomi con reddito elevato che sono i veri privilegiati di un fisco sempre più iniquo e corporativo. Ad esempio, il professionista con un reddito di 60.000 euro paga un’aliquota Irpef del 15%, la stessa aliquota reale di chi ha un reddito da lavoro dipendente di 30.000 euro. Reddito raddoppiato ma stessa aliquota e quindi carico fiscale molto ridotto: questo è il fisco clientelare e anticostituzionale del sig. Salvini. Pare però che questo cinico calcolo elettorale non gli abbia portato molto fortuna perché i beneficiati hanno memoria corta. Anzi, la promessa di una riduzione delle tasse è come una tossicodipendenza, ogni anno richiede di essere rinnovata e la dose aumentata.

Dobbiamo quindi essere grati ai giudici assolutori che ci hanno ricordato che Salvini è un politico che non “sussiste”. In particolare non sussiste come uomo di Stato, cioè una figura in grado di anteporre gli interessi generali a quelli del suo partituncolo. Come hanno spiegato S. E. Hanson e J.S. Kopstein due politologi americani nel loro recente The Assault on the State (2024) sta emergendo a livello internazionale una nuova figura di politico che chiamano, seguendo Max Weber, patrimonialista, cioè di un politico che intende lo Stato come un suo patrimonio personale da usare per soddisfare le proprie cerchie clientelari e amicali. Si tratta di una gestione del potere pubblico basato sulla fedeltà e non sulla competenza, sulla piaggeria e non sulla professionalità, antecedente alla nascita del moderno stato di diritto che si pensava definitivamente archiviato e che ora ha ripreso vigore.

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Il ministro Salvini è un piccolo, ma pericoloso, esempio di questa degenerazione. Per noi però è anche l’acuirsi della vecchia questione morale evocata a suo tempo da Enrico Berlinguer dell’occupazione delle istituzioni da parte dei partiti e delle loro confraternite. Si sente la nostalgia di un ceto politico che pur nella diversità degli orientamenti di fondo “sussista”, cioè agisca in nome di quell’interesse generale che un autentico statista non dovrebbe mai perdere di vista.

L’articolo Salvini, anche come politico non ‘sussiste’! Sono grato ai giudici che ce l’hanno ricordato proviene da Il Fatto Quotidiano.



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