Cacao, burro e caffè corrono più di oro e bitcoin?

Ogni anno in questo periodo si rincorrono statistiche e classifiche su quanto sia aumentato organizzare cenoni e pranzoni. L’inflazione, si sa, erode il potere d’acquisto del consumatore anche quando scende, dato che i negozi difficilmente ritoccano i prezzi una volta che li hanno aumentati: lamentarsi del rincaro dei prodotti è un po’ un passatempo nazionale, come lamentarsi dei ritardi dei mezzi pubblici o del caldo soffocante estivo. Per questo, di norma tali dati lasciano il tempo che trovano e soprattutto non meritano spazio sul nostro magazine. Nel 2025, però, sono strettamente collegati a un fenomeno notato sui mercati nell’arco dei 12 mesi appena archiviati: l’incredibile corsa dei prezzi all’ingrosso di caffè, burro e cacao.

Cacao, caffè e burro continueranno a correre?

Dell’aumento del caffè ne abbiamo parlato a più riprese, riprendendo anche gli allarmi lanciati dagli imprenditori di casa nostra. Mentre in Italia si preparava il cenone per la Vigilia, a New York i chicchi tostati arrivavano a 321 centesimi, ai massimi dal 1977, con un rialzo rispetto al valore di 11 mesi prima di circa il 78%.

A spingere al rialzo i prezzi sono le cattive condizioni climatiche. I timori di cattivi raccolti, in particolare in Brasile, principale produttore mondiale di caffè, hanno spinto i produttori a mettere i loro chicchi nei depositi, questo nonostante la forte domanda. Una situazione che ha così infiammato le valutazioni.

Situazione ulteriormente esacerbata da fattori geopolitici come le interruzioni del trasporto marittimo nel Mar Rosso, i potenziali dazi statunitensi già minacciati a più riprese dal presidente deletto Donald Trump cui si aggiungono le venture normative Ue green sulla deforestazione: messi in fila, hanno reso il caffè particolarmente amaro per l’intera filiera.

Se il caffè è amaro, il cacao non è più dolce…

Altra presenza insostituibile sulle nostre tavole nei giorni di bagordi è il cioccolato: lo si trova sottoforma di praline, panettoni glassati, torroncini ripieni, bevande calde… il 24 dicembre il cacao ha chiuso a 11.241 dollari: il primo gennaio 2024 il suo valore era 170 volte inferiore. Questo vuol dire che nel corso dei dodici mesi appena archiviati ha superato persino asset di tendenza come il Bitcoin (+120% da inizio anno).

Meteo e virus sospingono i prezzi

A influire il cattivo clima che si è abbattuto sulla Costa d’Avorio e il Ghana – che da sole rappresentano circa il sessanta per cento della produzione globale – e una contestuale domanda che non ha subito particolari ripercussioni nonostante l’incremento dei costi.

Nel dettaglio, le piantagioni nei due Paesi africani sono state decimate da piogge eccessive, venti e soprattutto dal diffondersi del temuto virus del rigonfiamento dei germogli. Un combinato che ha ridotto le rese del 25-30% per una diminuzione del 13,1% della produzione globale cui è seguito un abbassamento delle scorte di fine stagione del 26,8%. Non bisogna essere economisti per intuire che tutto ciò ha contribuito a innalzare il valore di mercato della materia prima all’ingrosso, specie considerato che la domanda nel mentre non è mai calata nemmeno di fronte ai continui rincari.

Nell’ultimo anno anche il prezzo del burro all’ingrosso è schizzato alle stelle, con aumenti dell’83% che lo hanno portato a 8,6 euro al chilogrammo. Anche qui secondo gli esperti un mix di fattori: dai maggiori costi di produzione all’aumento della domanda. Nel periodo gennaio 2021 – agosto 2024, il prezzo medio europeo del burro è passato da 340 euro per 100 chili a punte di 724 euro, per poi calare fino a 440 euro e risalire nuovamente a 680 euro per 100 chili. In Italia, la produzione nazionale di burro copre solo il 63% del fabbisogno interno, rendendo il mercato dipendente dalle dinamiche europee.

Quanto sono costati cenoni e veglioni agli italiani?

Per usare una vecchia espressione, dopo grafici, fluttuazioni, volatilità di valori e quadri geopolitici, è infine arrivato il momento in cui serve “fare i conti della serva”. Resta infatti da capire in termini meno economici e più pratici come e soprattutto quanto tutte queste vicende macroeconomiche abbiano agito sul carrello dei singoli consumatori rendendo più pesante lo scontrino degli italiani che si sono messi a tavola per cenoni e veglioni.

L’Osservatorio Nazionale Federconsumatori ha monitorato i costi che le famiglie hanno dovuto per imbandire le tavole in occasione delle festività natalizie e di Capodanno appena digerite. Quest’anno farvi arrivare al fatidico momento in cui, tra non pochi imbarazzi, ci si slaccia la cintola, è costato al cuoco di casa più del solito.

Leggi anche: Bottiglie con NFT, panettoni hi-tech e scorte mappate con l’Intelligenza artificiale. Quando al brindisi di Natale ci pensano le startup

Tenendo a mente i piatti della tradizione che non mancano mai a tavola, la spesa media per il menu “classico” della cena di Natale si è aggirata sui 44,35 euro a persona, con un incremento del 6% rispetto allo scorso anno, mentre ipotizzando un menu low cost la cifra si è attestata a quota 25,81 euro a persona (circa il 42% in meno rispetto al menu classico), con un aumento comunque considerevole del 7% rispetto al 2023.

Cenone di Natale, prezzi al dettaglio

Menu low cost

Per quanto riguarda invece il cenone di Capodanno, il menu classico è costato 56,70 euro a persona (+9% rispetto al 2023). L’opzione più economica, invece, ha implicato in via mediana una spesa inferiore del 43% rispetto al menu classico, pari a 32,06 euro a testa (comunque in crescita del 4% rispetto al 2023).

Veglione di Capodanno, prezzi al dettaglio

Menu low cost

E dato che caffè, cacao e burro sono ingredienti che seguono la nostra dieta tutto l’anno, non solo nei giorni festivi, i loro aumenti rischiano di rendere particolarmente amaro il 2025 appena iniziato. Forse sarà più facile però iniziare le proverbiali diete post festività…