«Cosa significa concretamente coltivare fiducia in un
tempo segnato, oltre che dalle guerre, da squilibri,
da conflitti? Vi è bisogno di riorientare la
convivenza, il modo di vivere insieme»
SERGIO MATTARELLA, Discorso di fine anno 2024
Le parole di Sergio Mattarella, pronunciate durante il suo discorso di fine anno, producono immediatamente una reazione. Il richiamo al concetto di «fiducia», che occorrerebbe oggi «coltivare», fa pensare a quella erosione del credito rispetto alle istituzioni, alla disistima di quella grammatica della verità portata a termine dall’avvento dei vari «post»: postmodernismo, fine della storia, società liquida, pensiero debole e «post-verità», appunto. Friedrich Nietzsche nel suo Così parlò Zarhatustra ha scritto: «Colui che ha una meta e un erede, vuole la morte al momento giusto, per la sua meta, il suo erede»[i]. In questo senso la mancanza di fiducia vuol dire la perdita degli scopi stessi della vita, siano essi individuali o collettivi. Dal punto di vista politico, noi ci troviamo in un momento temporale nel quale l’attuazione di tutte le verità conduce direttamente all’instaurazione dell’inattendibile stesso come unica verità. Dodici anni fa, Massimo Cacciari sostenne, evidentemente in condizioni diverse da oggi anche se solo parzialmente mutate, che per raggiungere uno stato di consapevolezza nuova e, magari, una nuova stagione politica avremmo avuto bisogno di fare fuori una forza che trattiene, ma che non trattiene dall’avvento di un epoca di pace e di benessere, bensì dal degrado totale, dal totale sfacelo. Si trattava del «Problema che emerge dalle enigmatiche parole della Seconda lettera ai Tessalonicesi 2, 6-7, che certamente, se non di Paolo, si rifà al suo insegnamento, dove si parla di qualcosa o qualcuno che contiene-trattiene-frena (…) il definitivo trionfo dello Spirito dell’empietà»[ii] Il passo della Bibbia in questione così recita: «E ora voi sapete che cosa lo trattiene perché non si manifesta se non col suo tempo. Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo colui che lo trattiene»[iii]. Se il «mistero dell’iniquità» era già in atto nel 2013 figuriamoci in questo nuovo 2025: surriscaldamento del pianeta, atomizzazione, individualizzazione e parcellizzazione della società, nichilismo, perdita di punti di riferimento, due importanti guerre in atto, immiserimento di una larga parte della popolazione, i Sud del mondo sempre più lasciati a sé stessi. Dunque? Seguendo Cacciari e San Paolo dovremmo lasciare che tutto questo giunga alla sua naturale conclusione eliminando quel qualcosa o quel qualcuno che ancora «lo trattiene»? Sia esso l’Anticristo, la Nato, l’ONU, l’Unione Europea o quel concetto di «Stato moderno» disegnato per la prima volta da Thomas Hobbes[iv], ci sarebbe bisogno di levare il freno (per esempio: il freno della politica dei vari Stati al neoliberismo trionfante sul Pianeta) per giungere, infine, al disastro finale ma anche alla Seconda Venuta di Cristo e alla sua definitiva vittoria sul male? In fondo, ha ragione la semiologa Anna Maria Lorusso, oggi «Sono state neutralizzate le autorità esterne, gli “esperti” veri e propri»[v]. Causa o conseguenza di ciò non solo è la perdita di fiducia nei partiti tradizionali, nell’autorità della Chiesa e nei tradizionali strumenti di formazione dell’identità. Lapidario è in giudizio del filosofo Lee McIntyre: «E’ pericoloso ignorare la realtà»[vi]. L’erosione della fiducia è, immediatamente, un erosione della «speranza»[vii]. Ma non è solo questo. La perdita della fiducia è una radicale messa in discussione della propria identità. Per evitare che l’Io si sbricioli e ogni dissociazione, cui non si riesce più a fare fronte nemmeno con la più massiccia delle psicoanalisi, il cittadino/soggetto devia la propria fiducia verso qualche altro punto di riferimento. E’ davvero da ricordare che senza fiducia vige l’homo homini lupus? E’ qui Sergio Mattarella ha centrato il bersaglio: «Vi è bisogno di riorientare la convivenza»; c’è bisogno di una bussola; di quella che Antonio Gramsci chiamava la «direzione intellettuale e morale»[viii], riferendosi al cuore stesso della società. In assenza di qualcosa di solido, di resistente, di stabile, come trovare un tale punto di riferimento? Quello che si è verificato è qualcosa di molto simile alla perdita dell’aura delle opere d’arte (a causa della loro riproducibilità tecnica) descritta da Walter Benjamin[ix]. E’ venuta a mancare un’atmosfera; un tetto di sicurezza, fissità e robustezza. Quella cosa particolare che rendeva «uniche» le nostre vite: il progetto che tutti avevamo. Nè mete né eredi, dunque. Soltanto la catastrofe della nostra contingenza. E in mezzo a essa, una volta venuta meno la fiducia (non dimentichiamo che con la Caduta del Muso di Berlino e la successiva dissoluzione dell’Unione Sovietica è venuto via un intero «mondo», ma anche, poi, con la fine dell’ex Jugoslavia, con gli attentati dell’11 settembre, con il terrorismo di matrice islamica, con la crisi economica del 2007-2008, e – perché no? – con l’arrivo delle influencer che hanno preso, ormai, il posto degli intellettuali … Eccetera). Ma non si è solo persa una determinata «atmosfera» (se vogliamo, romanticamente intesa); è venuta meno una determinata «condizione» socio-politica, il nostro stesso modo di stare al mondo. Nel riassestamento rispetto alle mutate condizioni e contingenze, la fiducia non ha avuto altra strada davanti a sé che cambiare oggetto. Populismi, sovranismi, patriottismi, identitarismi hanno visto l’emergere di una nuova «egemonia»: un cambio di prospettiva. Dalla politica come visione (e quindi progetto) da proporre ai cittadini alla politica proposta dai cittadini stessi in quanto scaturente dai loro desiderata più immediati, precari e fugaci. Per cui, questa fiducia senza bussola e senza orientamento è andata, come in un vero e proprio zapping televisivo, ora qua ora la. Quando la propria identità è in pericolo ci si affida a ogni potere perché la propria identità sta bene sotto ogni potere. Il nostro Presidente della Repubblica ci ha, perciò, invitato a invertire la rotta. Al «navigare» a casaccio nel World Wide Web, sostituire una «direzione». Un senso. Un ideale da realizzare. Qualcosa per cui vale la pena impegnarsi e lottare. Certo, la fiducia è una connotazione emotiva. Ma Renato Cartesio, a suo tempo, ci aveva avvisati di una cosa: «E’ prudente non confidare mai completamente in chi ci ha ingannato anche per una volta»[x]. Fiducia vuol dire prudenza ma anche analisi, critica, dialettica, comprensione, cognizione e contemplazione. In una parola: pensiero.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link