Foyer Lispi: costi coperti e semplificazione non bastano

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La buona notizia d’inizio anno è che il foyer Lispi, o reparto per invalidi adulti, alla Clinica Varini di Orselina continuerà a essere operativo non solo per tutto il 2025 come annunciato in precedenza, ma anche nel 2026. Quella brutta è che per il dopo, al momento, non si sta delineando nessuna soluzione praticabile. Lo ha evidenziato il Consiglio di Stato nella sua risposta all’interrogazione di Laura Riget e Samantha Bourgoin (e cofirmatari) e lo ha ribadito alla “Regione”, preoccupandosene non poco, Danilo Forini, che è membro della Commissione sanità e sicurezza sociale del Gran Consiglio e anche direttore cantonale di Pro Infirmis, ovvero l’ente che il Cantone indica come primo attore della “rete di riferimento di ogni singolo ospite” nel momento in cui si tratterà di gestire gli accompagnamenti individuali in altre strutture (che però, appunto, mancano).

Rispondendo agli 11 deputati di tutti gli schieramenti parlamentari che l’avevano interrogato, il governo aveva fornito alcuni elementi apparentemente in grado di rimettere in discussione l’ineluttabilità della decisione del Consiglio della Fondazione Giorgio Varini di rinunciare a due dei suoi quattro mandati di prestazione. Su questi stessi elementi di riflessione la “Regione” ha chiamato in causa il presidente del CdF, Giorgio Pellanda, in occasione della presentazione del nascente polo geriatrico di Orselina che verrà costituito dalla Varini e dalla vicina Casa Montesano; polo nel cui ambito, è stato sottolineato, non ci sarà posto per il foyer invalidi adulti.

Presidente Pellanda, un primo spunto cantonale riguarda la copertura statale dei costi. Secondo il governo “il contributo globale erogato dal Cantone tramite il contratto di prestazione del settore della disabilità copre i costi computabili riconosciuti”. Quindi il problema sembrerebbe non esistere.

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Il passaggio della risposta cui lei fa riferimento va letto tutto: si dice che il Cantone riconosce i costi che considera computabili, i quali purtroppo non corrispondono a quelli effettivi totali. Ciò significa che alcune prestazioni supplementari che abbiamo fornito nel reparto invalidi adulti (non solo, ma soprattutto lì) non sono e non verrebbero riconosciute né dal Cantone, né dalle casse malati. Avremmo potuto fatturarle agli ospiti, ma non l’abbiamo mai fatto. E si tratta di costi che pesano. Inoltre, fra i costi computabili non figurano quelli riguardanti gli ammortamenti, soprattutto sullo stabile e sulle attrezzature. Il Cantone partecipa all’ammortamento dei debiti, però lo fa nella misura in cui la struttura ha contratto dei prestiti ipotecari. Cosa che in Fondazione, fin che si è potuto, non è stata fatta grazie appunto a un buon capitale. Alla Varini l’autofinanziamento generato dall’esercizio della clinica è negativo; in vista di investimenti importanti come quelli che stiamo per fare, questo è un elemento poco incoraggiante. È dunque più complicato ottenere dei finanziamenti.

Questione mandati di prestazione

L’offerta attuale della Clinica Varini è complessivamente di 75 letti, così distribuiti: 26 posti letto regolamentati dalla Legge concernente il promovimento, il coordinamento e il finanziamento delle attività a favore delle persone anziane (Lanz), di cui 9 specificatamente attribuiti per soggiorni temporanei e 12 per cure palliative geriatriche; 30 posti letto in reparto acuto a minore intensità (Rami) regolamentato dalla Legge di applicazione della Legge federale sull’assicurazione malattie (Lcamal); un reparto somatico acuto in cure palliative indicativamente di 10 posti letto, normato anch’esso dalla Lcamal (in questo ambito la regolamentazione avviene per volumi di attività e non per posto letto); e 10 posti letto per persone adulte con disabilità (il foyer per invalidi adulti) la cui normativa di riferimento è la Legge sull’integrazione sociale e professionale degli invalidi (Lispi).

Questo scenario con 4 mandati, ha premesso e ribadito Pellanda, «genera una notevole complessità perché i mandati sottostanno ad altrettante leggi (in realtà sono tre, ndr) e ad altrettanti metodi di finanziamento. Il tutto sotto il cappello di 4 uffici cantonali diversi. Questo è il contesto, che oltretutto si sviluppa in una struttura relativamente piccola. Aggiungo che al di là dei 30 letti Rami, gli altri reparti hanno dimensioni oggi considerate troppo ridotte per poter immaginare di continuare, nei prossimi anni, a lavorare con qualità e a costi sopportabili».

Presidente Pellanda, sempre rispondendo all’interrogazione Riget-Bourgoin, il Cantone ha messo nero su bianco che “nel 2023 la Divisione dell’azione sociale e delle famiglie ha avviato un progetto volto a semplificare i contratti di prestazione nei settori di sua competenza. L’obiettivo è migliorare l’efficienza e la trasparenza nei rapporti tra gli enti e il Dss, ottimizzando gli aspetti amministrativi e gestionali da parte degli enti coinvolti e tra gli enti stessi e gli uffici cantonali. Questo approccio mira a ridurre la burocrazia e facilitare l’interazione, creando un sistema più fluido”. Non basta?

Il Cantone parla di una semplificazione burocratica? Bene, li aspettiamo volentieri. Semplificare, dal nostro punto di vista, vuol dire non trasmetterci il contratto di prestazione relativo a un anno nel corso del medesimo anno. Quello 2024 per il reparto Lispi ci è arrivato il 31 marzo; ed è andata ancora bene, visto che i contratti per gli altri mandati ci sono arrivati a fine giugno. Considerando, come successo, che è possibile arrivino nel contempo notizie di tagli, pianificare diventa oltremodo complicato. Serve una maggiore tempestività, che potrebbe essere conseguita tramite dei mandati di prestazione non più di un solo anno, ma di 4, o almeno di 2. Ciò consentirebbe ai titolari di mandato di pianificare meglio le risorse e rendere più agevole l’esercizio.

C’è infine, ma non certo per ultima, la questione della responsabilità nei confronti degli ospiti e dei loro familiari. Il reparto Lispi non può essere copia-incollato altrove. Prima di tutto perché con tutte le sue specificità, a partire da quella territoriale, è considerato come luogo di vita, altrimenti detto “casa”. Per i familiari è traumatico anche solo pensare a un trasferimento. Come gestite questo aspetto dal profilo umano?

Le nostre responsabilità ce le assumiamo: il nostro direttore ha frequenti contatti con i familiari degli ospiti. Ma, ripeto, noi siamo legati a un contratto di prestazione di un anno e abbiamo esigenze infrastrutturali e strutturali. E abbiamo voglia di continuare a servire la popolazione anche nei prossimi decenni. Se avessimo deciso di continuare a fare ciò che abbiamo fatto negli ultimi 7-8 anni, oggi non avremmo la forza di guardare avanti e progettare un futuro, perché non parleremmo della chiusura di un solo reparto, ma di tutti i reparti.



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