Il ddl Sicurezza e i rischi dei nuovi “manganelli” digitali, dalle body cam al riconoscimento facciale

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Insomma, invece di garantire a chi manifesta la possibilità di segnalare un agente che commette degli abusi, si dotano le forze di sicurezza di un ulteriore strumento di controllo. “Le body cam – aggiunge Noury – rappresentano un punto di vista, un punto di osservazione e di ripresa di un agente di polizia. È vero che dove sono usate, penso agli Stati Uniti, hanno comunque un effetto deterrente, però sono il punto di vista opposto. Noi vorremmo che ci fosse un punto di vista, ad esempio, di chi manifesta che possa essere in grado di individuare attraverso un codice alfanumerico l’identità di chi sta abusando della forza in modo illegale. E poi vorremmo capire capire che fine fanno i dati raccolti con le body cam: c’è un tema legato alla privacy e a una possibile criminalizzazione di persone inquadrate in un gruppo e di conseguenza criminalizzate per la loro appartenenza a quel gruppo“.

Amnesty International teme inoltre che i dati acquisiti con le body cam vengano poi archiviati sine die, senza una supervisione degli organi giudiziari. “Potrebbero essere utilizzati per far seguito ad altri provvedimenti come i fogli di via – continua il portavoce -. È tutto un tema su cui non c’è trasparenza“.

L’utilizzo del riconoscimento facciale per controllare le proteste

E una volta acquisite le immagini, un altro strumento tecnologico che potrebbe essere utilizzato per reprimere il dissenso è il riconoscimento facciale. “Cinque anni fa – ricorda Noury – abbiamo lanciato una campagna che si chiama Ban the Scan, per mettere al bando le scansioni. Abbiamo iniziato da New York dove c’è stata una sorveglianza di massa tramite riconoscimento facciale, utilizzando telecamere che erano posizionate esattamente nei luoghi utilizzati dalle persone per avviarsi alle manifestazioni del movimento Black Lives Matter. Quello che vorremmo evitare è che in Europa e in Italia accadano cose simili. C’è poi la spinosa questione della cosiddetta profilazione razziale, già oggetto di una denuncia del Consiglio d’Europa contestata – a mio avviso per errore – dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. È quella per cui una persona o con background migratorio o afrodiscendente ha più possibilità di essere fermata a un posto di blocco o essere accusata di furto in un esercizio commerciale. Ci sono stati casi eclatanti che hanno coinvolto personaggi noti e calciatori. Cosa accadrebbe se tra i parametri del riconoscimento facciale venisse inserito il colore della pelle?“.

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“Potremmo chiamarlo decreto riempi carceri”

Come le altre associazioni che sono scese in piazza per protestare contro il ddl Sicurezza, Amnesty International denuncia quelli che potrebbero essere gli effetti del provvedimento sulle proteste pacifiche.Complessivamente – spiega ancora Riccardo Noury – è un provvedimento che riduce di molto gli spazi di libertà e aumenterà il numero delle persone nelle carceri, che già oggi patiscono il sovraffollamento e la precarietà delle condizioni igienico-sanitarie, registrando un record di suicidi. Tra nuovi reati e aggravanti potremmo chiamarlo ‘decreto riempi-carceri’. C’è poi il Daspo per le piazze e tutta la sezione dedicata all’attivismo climatico, che colpirà le persone che magari picchettano davanti a una fabbrica o chi fa resistenza passiva”.

Nei giorni scorsi – continua – sono stato in un liceo, in un’aula ghiacciata e ho prospettato agli studenti uno scenario: se i termosifoni il 7 gennaio continueranno a non funzionare ed entrerà in vigore il ddl Sicurezza, se loro insieme ai docenti e al personale Ata vi si incateneranno per protesta resistendo a un ordine di sgombero, potrebbero finire in carcere. Stessa cosa potrebbe accadere a una persona che abita in provincia di Messina e non vuole lasciare la sua casa destinata alla ruspa per costruire il ponte sullo Stretto, definita opera strategica e di interesse nazionale e che quindi prevede un aggravante di pena verso chi si oppone alla sua costruzione. È come quando si lancia un sasso in acqua: si fanno dei cerchi sempre più largo e le persone investite, che prima erano solo alcuni manifestanti violenti, sono anche operai, studenti, persone semplici“.

Infine, c’è un tema legato ai social network e a un eventuale utilizzo improprio delle piattaforme, sia da parte dei governi che di gruppi estremisti. “Oggi assistiamo alla alla manganellata digitale – conclude Riccardo Noury – soprattutto su X, dove non c’è più controllo e moderazione. Sono luoghi in cui se tu passi e scrivi un’opinione, magari in solidarietà con i palestinesi, ti arriva una manganellata digitale da un mucchio di utenti. Il rischio è che poi dalla manganellata degli utenti si passi alla polizia digitale. Le piattaforme social, prese una per una, presentano vantaggi e svantaggi legati alla mancanza di moderazione e alla possibile sorveglianza. Non stiamo ancora alle forme di polizia digitale come strumento per punire il dissenso, ma il fatto che negli ultimi 14-15 mesi siano stati bloccati post in favore della popolazione palestinese di Gaza è molto preoccupante. È una manganellata digitale che diventa censura“.



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