Nel 2024 crollo nella produzione auto Stellantis, mai così poche dal 1956

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L’ex Fiat, oggi Stellantis, non ha mai prodotto così poche auto in Italia dal 1956: il dato del 2024 si è fermato a 283.090 unità (-45,7% rispetto al 2023), cui si affianca un calo più contenuto nei veicoli commerciali (192mila, -16,6%), per una produzione complessiva crollata a 475.090 unità (-36,8%).

Come affermato dalla stessa Stellantis, per il tramite del responsabile Europa Jean Philipe Imparato, la situazione in termini di volumi non subirà significative modifiche nel corso del 2025, in quanto i nuovi lanci produttivi nel corso del corrente anno di Melfi, Cassino e Mirafiori impatteranno nel 2026, dove ipotizzano di raggiungere le produzioni di unità riscontrate nel 2023. Il gruppo conferma obiettivo di 1 milione di veicoli entro il 2030, ma lo subordina alle risposte del mercato.

È quanto emerso oggi dall’analisi del sindacato Fim-Cisl, che vede comunque qualche possibilità di ripresa nel Piano industriale Stellantis “Dare Forward 2030”, nel quale per il 2025 si prevedono 2 miliardi di euro d’investimenti e 6 miliardi di euro in acquisti ai fornitori italiani.

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«Al piano industriale precedente da noi giudicato insufficiente – spiega il segretario generale della Fim-Cisl, Ferdinando Uliano – hanno aggiunto la nuova piattaforma small con i due nuovi modelli compatti a Pomigliano dal 2028. La nuova 500e a Mirafiori in aggiunta alla 500 ibrida. Vengono ibridizzate le auto previste nelle versioni elettriche tra il 2025 e 2026 a Melfi, portando l’offerta a 7 modelli. È stato annunciato ad Atessa la nuova gamma large sui veicoli commerciali. A Cassino vengono sviluppate anche le versioni ibride delle full electric previste su Stelvio e Giulia e in aggiunta un nuovo modello top di gamma sempre su piattaforma large. Su Modena verrà lanciata la collaborazione con Motor Valley per il lancio del progetto alto di gamma. Mancano ancora risposte importanti sulla gigafactory e sul rilancio di Maserati e altri aspetti che abbiamo richiesto di approfondire necessariamente nei prossimi mesi con Stellantis e Governo».

In ogni caso troppo poco per tranquillizzare gli animi, visto che la filiera automotive sta subendo un terremoto non solo in Italia – dove il trend è particolarmente preoccupante – ma anche in larga parte del resto d’Europa, dalla Germania al Belgio.

«Sono indispensabili interventi sulle scelte strategiche del settore da parte della Ue, a partire dalla definizione di un apposito Fondo d’investimento per il settore automotive e mirate politiche industriali da parte dell’Ue e di tutti i governi, per fare in modo che la sostenibilità ambientale sia sostenibile sul piano sociale – dichiara Uliano, anche se il Green deal non ha colpe nella crisi dell’automotive come certificano ormai le stesse case automobilistiche – Abbiamo giudicato negativamente la decisione del governo di tagliare i Fondi Auto per un totale di 4,5 mld, anche se per il 2025 si è corsi al riparo, il problema per i prossimi anni rimane. È evidente a tutti che i singoli Paesi non sono in grado di rispondere in maniera sistematica ad una crisi che investe tutte le case automobilistiche che hanno una presenza rilevante nel nostro continente. L’Ue deve attuare una svolta disponendo un fondo straordinario per imprimere più forza ai cambiamenti tecnologici e investimenti, accompagnando questo cambiamento con un piano di salvaguardia occupazionale, attraverso il blocco dei licenziamenti, l’uso di ammortizzatori sociali, la formazione e un forte sostegno alla riduzione dell’orario di lavoro. Devono essere rivisti i meccanismi sulla regolamentazione su CO2 già previsti dal 2025, che rischiano di indurre le case automobilistiche a ridurre la produzione anche delle auto endotermiche per non incorrere nelle forti penalizzazioni».

In quest’ottica la Fim-Cisl annuncia che parteciperà alla maxi manifestazione in agenda a Bruxelles il prossimo 5 febbraio, organizzata dalla federazione internazionale di sindacati IndustriAll per trovare risposte concrete alla de-industrializzazione in corso in Europa ormai da anni: dal 2008 al 2023 sono andati persi 2,3 milioni di posti di lavoro in ambito manifatturiero (di cui quasi 1 dal 2019), dato che sale a 4,3 mln contando la quota parte di crisi mascherata da contratti a termine e riduzioni orarie.

Inseguendo le indicazioni arrivate dal rapporto Draghi sulla competitività, i sindacati non chiedono stop all’inevitabile transizione ecologica, ma nuovi investimenti europei per guidarla anziché subirla: tra le proposte spiccano una moratoria sulla rottamazione degli asset industriali e sui licenziamenti forzati, una revisione delle regole fiscali per consentire investimenti nelle esigenze sociali e di transizione pulita, investimenti in reti e infrastrutture energetiche, oltre che in formazione per una transizione socialmente giusta.



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