un detenuto si è tolto la vita a Sollicciano

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L’uomo, un 25enne di origini egiziane, in passato era già stato protagonista di atti autolesionistici, per questo era stato allocato nel reparto centro clinico. Il presidente della regione Toscana, Giani: «Chiederò un incontro al ministro Nordio». Il sindacato degli agenti penitenziari: «Sistema al collasso, mancano progetti rieducativi efficaci»

Il 2025 nelle carceri italiani è iniziato come si era concluso il 2024. Nel tardo pomeriggio di venerdì 3 gennaio, nell’istituto fiorentino di Sollicciano – già tristemente noto per altri casi simili, anche recenti – un detenuto di 25 anni di origini egiziane si è tolto la vita. Si tratta della seconda morte in carcere nell’anno nuovo, dopo quella avvenuta il 2 gennaio nell’istituto Dozza di Bologna, sulle cui circostanze si sta ancora indagando.

A dare notizia di quanto avvenuto a Sollicciano è stato Francesco Oliviero, segretario per la Toscana del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe): «L’uomo già in passato aveva posto in essere gesti autolesionistici. Pertanto, era stato allocato nel reparto centro clinico dell’istituto. Purtroppo, la situazione degli istituti penitenziari toscani è al collasso. Soprattutto a Sollicciano da anni non vi sono progetti rieducativi veri ed efficaci, affinché si possa dare una vera possibilità a chi entra in carcere».

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Il sindacalista rimarca che «da tempo chiediamo interventi risolutivi all’amministrazione penitenziaria a livello locale e nazionale per quanto concerne i lavori di adeguamento della struttura, incremento del personale di polizia penitenziaria, fondi per il pagamento dello straordinario e missioni ma soprattutto progetti e percorsi rieducativi con il coinvolgimento dei grandi brand che possono investire in progetti lavorativi all’interno delle strutture penitenziarie. Purtroppo, a oggi dobbiamo constatare che le nostre richieste cadono nel vuoto».

«Quanto accaduto a Sollicciano – commenta invece Giuseppe Fanfani, garante dei diritti dei detenuti per la Toscana – purtroppo non mi meraviglia. Sono anni che dico che va chiuso perché è inumano e indecoroso. È l’opposto di tutto quello che la Costituzione dice e impone alle coscienze sulla pena, che andrebbe eseguita con senso di umanità».

Nell’anno che si è appena concluso, il sistema carcerario italiano ha scritto un triste record: il 2024 è stato l’anno con il maggior numero di suicidi in cella.

Giani: «Chiederò un incontro a Nordio»

«Sono rimasto molto colpito nel leggere di un ragazzo di 25 anni suicida. Sono veramente troppi i suicidi nelle carceri italiane. Noi ci dobbiamo preoccupare delle nostre, in Toscana, chiederò un incontro al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, perché si possa dare il senso di una svolta da un punto di vista delle condizioni carcerarie», ha detto il presidente della Toscana, Eugenio Giani.

Per il governatore «non possiamo essere passivi rispetto alla situazione che vediamo nelle carceri, dobbiamo conoscerla meglio e concentrare risorse perché questo stato di disagio possa trovare un alleggerimento».

Il sindacato: «Episodi che segnano gli agenti»

«Questo ulteriore suicidio deve far riflettere sulla condizione in cui vivono i detenuti e su quella in cui è costretto ad operare il personale di polizia penitenziaria», commenta Donato Capece, segretario generale del Sappe. «Questi drammatici eventi, oltre a costituire una sconfitta per lo stato, segnano profondamente i nostri agenti che devono intervenire», prosegue.

«Si tratta spesso di agenti giovani, lasciati da soli nelle sezioni detentive, per la mancanza di personale. Il suicidio rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti. Servirebbero anche più psicologi e psichiatri, vista l’alta presenza di malati con disagio psichiatrico. Spesso, anche i detenuti, nel corso della detenzione, ricevono notizie che riguardano situazioni personali che possono indurli a gesti estremi», continua.

Capece richiama il discorso di fine anno dal capo dello stato, Sergio Mattarella, e le sue indicazioni per superare l’emergenza penitenziaria: «È vero: sono inaccettabili anche le condizioni di lavoro del personale di polizia penitenziaria, impegnato h24 nelle sezioni detentive e i cui appartenenti sono sempre più vittime di aggressioni e atti violenti dalla parte minoritaria della popolazione detenuta più refrattaria a rispettare l’ordine e la sicurezza anche durante la carcerazione. Ma nei nostri istituti di pena, anche per minori, si può e si deve “potere respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità e al crimine”. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo».

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La proposta del Sappe

La proposta operativa del Sappe è «prevedere un sistema penitenziario basato su tre “gradini”: il primo, per i reati meno gravi con una condanna non superiore ai tre anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale l’istituto della “messa alla prova”; il secondo riguarda le pene superiori ai tre anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare; il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario».

Quello del sovraffollamento, secondo il Sappe, «è certamente un problema storico e comune a molti paesi europei, che hanno risolto il problema in maniera diversa – sottolinea Capece -. L’osservazione della tipologia dei detenuti e dei reati consente di affermare che il sistema della repressione penale colpisce prevalentemente la criminalità organizzata e le fasce deboli della popolazione. In effetti, il carcere è lo strumento che si usa per affrontare problemi che la società non è in grado di risolvere altrimenti».

Il leader del Sappe conclude evidenziando che «i peculiari compiti istituzionali del corpo di polizia penitenziaria sono richiamati nel motto del nostro stemma araldico: “Despondere spem munus nostrum” (garantire la speranza è il nostro compito), iscritto nella lista d’oro alla base dello stemma. Proprio garantire la speranza è un nostro dovere istituzionale, che le donne e gli uomini della polizia penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio, nelle carceri per adulti e minori della Nazione, con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato».

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