Cosa ci può ancora insegnare la più grande asta della storia?

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È facile che di fronte ad affermazioni di questo genere il lettore possa avere una sensazione di grande astrattezza rispetto a queste teorie, ma tale impressione sarebbe fuorviante. Il mechanism design è, come abbiamo detto la scorsa settimana, la parte ingegneristica dell’economia, quella che, individuati alcuni problemi concreti, ci aiuta a progettare le soluzioni ottimali. Quindi se è vero che la sua struttura formale può apparire astratta, le sue realizzazioni sono, invece, del tutto tangibili.

Cellulari e frequenze dello spettro elettromagnetico

Uno di questi casi “del tutto tangibili” venne definito dall’allora vicepresidente degli Stati Uniti, Al Gore, “la più grande asta di tutti i tempi”. Era il dicembre del 1994. Nello stesso mese dello stesso anno John Nash, Reinhard Selten e John Harsanyi avrebbero ricevuto il premio Nobel per l’economia, proprio per aveva contribuito a definire quelle teorie che stavano alla base della grande asta a cui faceva riferimento il vicepresidente Gore. Si trattava di mettere in vendita per la prima volta nella storia le frequenze dello spettro elettromagnetico necessario al funzionamento dei telefoni cellulari. Il Congresso americano abbandonava dopo molti anni le assegnazioni dirette e le lotterie che, in momenti, successivi, erano state utilizzate fino ad allora per assegnare le licenze ai diversi operatori. E l’asta fu effettivamente notevole visto che contribuì, tra il 1994 e il 1996, a far entrare nelle casse del Tesoro americano circa venti miliardi di dollari.

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Questa storia è stata raccontata molte volte, più sinteticamente, per esempio, da Sylvia Nasar nella sua biografia di John Nash (Il Genio dei Numeri. Storia di John Forbes Nash jr, matematico e folle. Rizzoli, 1999), più diffusamente, invece, da alcuni dei protagonisti della vicenda, Preston McAfee, John McMillan e Stevan Wilkis, nel libro di John Siegfried, Better Living Through Economics (Harvard University Press, 2010). Un libro che, incidentalmente, rappresenta anche una illuminata perorazione del finanziamento pubblico della ricerca in ambito economico.

Quando nel 1993 il Congresso degli Stati Uniti decise di sostituire il meccanismo dell’assegnazione casuale attraverso lotterie con il meccanismo delle aste tutti i funzionari e i tecnici coinvolti si trovarono spiazzati. Nessuno di loro, infatti, aveva mai avuto a che fare con procedimenti di questo tipo. Per questo sia la Federal Communication Commission – il venditore – che i principali operatori telefonici – i potenziali compratori – si rivolsero a quegli economisti accademici ed in particolare ai teorici dei giochi che, al momento sembravano capirci qualcosa di quei meccanismi. Questo passaggio non è affatto banale se si pensa che – come ricorda Binyamin Appelbaum – solo fino a qualche decennio prima la dirigenza della Federal Reserve, la banca centrale americana, comprendeva “banchieri, avvocati e un allevatore di suini dell’Iowa, ma neppure un economista. Il Presidente della Fed, William McChesney Martin, era un broker che nutriva una pessima opinione degli economisti. ‘Abbiamo cinquanta econometristi che lavorano per noi alla Fed’, disse a un visitatore. ‘Si trovano tutti nello scantinato di questo edificio e c’è un motivo se sono lì: sono nell’edificio perché fanno buone domande. Nello scantinato perché non conoscono i loro limiti e nutrono una fiducia secondo me eccessiva nelle loro analisi” (Il tempo degli economisti, Hoepli, 2021). Roosevelt, del resto, definiva John Maynard Keynes “un matematico privo di senso pratico”.

Quando, nel 1963, l’allora segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Clarence Douglas Dillon, commissionò due studi sulla riforma del sistema monetario internazionale, per esplicita scelta, nessun economista accademico venne coinvolto perché – ricordava Fritz Machlup – i loro suggerimenti erano ritenuti del tutto inutili per chi deve prendere le decisioni” (International Monetary Arrangements: The Problem of Choice. Princeton University Press, 1964). Gli economisti, insomma, non godevano di ottima fama, in quanto a capacità di risolvere problemi concreti. Questa volta però le cose andarono diversamente. John McMillan, il futuro premio Nobel Paul Milgrom, Robert Wilson, Preston McAfee, Barry Nalebuff e molti altri vennero ingaggiati come consulenti sia per la progettazione che per la definizione delle strategie da adottare durante le prime aste.



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