Ecco perché Trump non farà impennare l’inflazione

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Quale sarà il possibile impatto delle politiche economiche di Trump sull’obbligazionario Usa. L’analisi di Jerry Cudzil, General Portfolio Manager, fixed income, TCW.

La recente elezione del presidente Trump e la vittoria dei repubblicani alla Camera e al Senato hanno rafforzato la narrativa dominante di una solida crescita economica degli USA, di un’inflazione più elevata e, di conseguenza, di una Fed più cauta. Tuttavia, non è passato molto tempo da quando l’opinione preponderante sui mercati era quella di tagli dei tassi necessari per sostenere un’economia in rallentamento.

Dobbiamo anche riconoscere che recentemente sono emerse nuove informazioni e il mercato sembra seguire una nuova narrativa. La nostra attenzione, tuttavia, continua a essere concentrata su alcune tendenze del mercato del lavoro, che a nostro avviso continua a mostrare segni di rallentamento, con gli ultimi dati sull’occupazione in tutti i settori, escluso quello agricolo (Nonfarm Payrolls), che sono stati chiaramente influenzati dall’effetto di alcuni uragani. Osserviamo segnali di rallentamento anche nei dati sulle offerte di lavoro e sul turnover della manodopera (JOLTS), e nel tasso di abbandono dei dipendenti.

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Crediamo ancora che il mercato del lavoro sia posizionato lungo una traiettoria di rallentamento, anche se, con il nuovo presidente eletto, alcune notizie potrebbero indurci a ripensare o potenzialmente riconsiderare la nostra view. Dobbiamo però considerare che i mercati hanno una lunga storia di elezioni presidenziali e gli investitori sono consapevoli del potere limitato nelle mani del presidente in ambito economico, dal momento che siede a capo di un sistema e di un’economia molto complessi.

Oggi siamo lunghi in termini di duration in tutti i nostri portafogli. Crediamo che i tassi siano in territorio restrittivo, che la Fed continuerà a ridurli e che il mercato del lavoro stia già mostrando segni di debolezza. Se emergeranno nuove informazioni, se il mercato del lavoro si rafforzerà o gli “animal spirits” si riaccenderanno, dovremo riesaminare il nostro punto di vista, ma al momento non è questa la nostra opinione. Di recente, sono stati espressi alcuni commenti sulla Fed che sottolineano quanto essa sia dipendente dai dati, anche se non si tratta di una novità, e quest’anno abbiamo visto dati sull’inflazione che hanno sostanzialmente riscritto la narrativa sui mercati.

La deregulation, annunciata dal neopresidente, dovrebbe essere positiva per il settore bancario e quello dell’energia, mentre i dazi avranno potenzialmente un impatto negativo, con effetti inflazionistici. Anche l’immigrazione potrebbe rivelarsi inflazionistica, insieme a una certa politica fiscale. Tuttavia, se si guarda all’esperienza del 2016 e agli ultimi quattro anni della presidenza di Donald Trump, l’inflazione non ha mai superato il 2,2%. È un dato di fatto: quando è entrato in carica l’indice dei prezzi al consumo (CPI) era a circa il 2% e non abbiamo mai avuto un indice dei prezzi PCE superiore al 2%. Trump è un negoziatore e crediamo che i dazi saranno utilizzati in questa direzione, e cioè soprattutto come strumento di negoziazione. Per questo non crediamo che danneggeranno l’economia.

Poiché ci aspettiamo che la Fed prosegua verso il percorso di normalizzazione, riteniamo che la politica monetaria avrà un impatto sulla parte anteriore della curva. Quindi, la maggior parte della nostra esposizione, circa due terzi, si trova tra due anni e cinque anni.

Guardando al credito societario, si trova oggi ai massimi storici. Il credito investment grade è scambiato a uno spread di 70 punti base e il credito high yield a uno spread di 250, con i titoli a doppia B scambiati a uno spread di circa 150 punti base. A questi livelli, vediamo un valore molto limitato nel credito societario e riteniamo che i rendimenti prospettici attesi siano davvero impegnativi da raggiungere. In qualsiasi modo lo si consideri, insomma, il credito corporate si ritrova oggi in un contesto di spread ristretti e piuttosto stabili, che l’economia rallenti o meno. In questo contesto, siamo sottopesati nel credito societario in modo piuttosto significativo, mentre le allocazioni al segmento corporate rimangono in discussione dal punto di vista prospettico. Non riteniamo, infatti, che questo sia il momento di ridurre il rischio di credito anche se non mancano opportunità sul mercato, che però sono sempre meno e più lontane. Come, per esempio, nel segmento dei prestiti bancari, grazie agli elevati rendimenti a breve termine, che hanno aiutato il nostro rendimento e il nostro carry attuali.



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