Edilizia pubblica, nuova legnata della Corte costituzionale sull’Autonomia trentina

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Il presidente del Trentino, il leghista Maurizio Fugatti.

La Corte costituzionale, con la sentenza numero 1 del 2025, ha dichiarato, in riferimento agli articoli 3 e 117, primo comma, della Costituzione, l’illegittimità costituzionale degli articoli 5, comma 2-bis, e 3, comma 2-bis, della legge della Provincia autonoma di Trento 7 novembre 2005, numero 15 che regola l’edilizia pubblica, nella parte in cui richiedono, per l’assegnazione dell’alloggio a canone sostenibile e per il contributo integrativo del canone di locazione, la residenza in Italia per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo.

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La Corte di cassazione aveva censurato tali previsioni sull’edilizia pubblica, in quanto contrastanti con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza (articolo 3 della Costituzione) e con l’articolo 117, primo e quinto comma, della Costituzione, in relazione al principio di parità di trattamento dei soggiornanti di lungo periodo rispetto ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano, nei settori delle prestazioni sociali e dell’accesso all’alloggio.

La Corte costituzionale, in primo luogo, ha dichiarato ammissibili le questioni sollevate in riferimento all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, e ha ribadito, anche a fronte di una normativa del diritto dell’Unione europea che possa essere direttamente applicabile, la propria legittimazione a «rispondere, con gli strumenti che le sono propri e che comprendono una vasta gamma di tecniche decisorie, alle censure che investono la violazione di una norma europea (contenuta nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nei trattati o anche di diritto derivato, come nel caso di specie), che presenti un nesso con interessi o princìpi di rilievo costituzionale, così da assicurare il “tono costituzionale” della questione sollevata».

In un sistema, «improntato a un concorso di rimedi, destinato ad assicurare la piena effettività del diritto dell’Unione e, per definizione, ad escludere ogni preclusione», sarà il giudice a quo «a individuare il rimedio più appropriato, ponderando le peculiarità della vicenda sottoposta al suo esame».

Con riferimento a prestazioni che assicurano un’esistenza dignitosa e sono funzionali alla piena realizzazione della persona umana e all’effettivo esercizio degli altri diritti costituzionali, la previsione del requisito della residenza di dieci anni sul territorio della nazione non è sorretta da una valida ragione giustificatrice e non presenta alcuna correlazione con il bisogno abitativo. Si tradisce così «il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».

Il requisito della residenza protratta, nella sua rigidità, «pregiudica proprio chi sia costretto a trasferirsi di frequente, per le precarie condizioni di vita, e perciò si trovi in uno stato di più grave disagio» e presenta una più accentuata incidenza lesiva con riguardo ai «soggiornanti di lungo periodo, i quali, pur potendo vantare la permanenza quinquennale, necessaria per conseguire il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, più difficilmente cumulano i dieci anni di residenza richiesti dalla disposizione censurata».

A seguito della sentenza della corte di Cassazione, la provincia di Trento era già corsa ai ripari congelando la norma sull’edilizia pubblica, mentre con la nuova sentenza della Corte costituzionale si fa definitivamente piazza pulita del provvedimento votato dalla prima giunta a guida del leghista Maurizio Fugatti. Ma il problema ora si sposta sulle modalità di organizzazione e programmazione dei servizi pubblici, perché come sottolinea l’assessore trentino alle politiche per la casa, Simone Marchiori: «il problema è capire l’effettivo bisogno da parte dei residenti e ora si pone il problema di chi si si garantisce: a chi è residente da almeno tre anni come prevedeva la norma precedente o i 10 anni appena cassati? La quesitone non è affatto secondaria, anche perché chi arriva da noi spesso non ha i requisiti».

E spesso è in condizioni economico sociali peggiori dei residenti già in difficoltà che attendono magari da anni un alloggio pubblico o un contributo alla locazione, finendo penalizzati in graduatoria perché meno bisognosi di chi appena arrivato che non ha nulla. Il rischio di innescare una guerra tra poveri è molto concreta.

 

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