Il mondo tra burocrazia e schizofrenia immaginaria | Gaiaitalia.com Notizie

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di Vanni Sgaravatti

Nel XVII e XVIII secolo, giravano in Europa molti dibattiti sulla sovranità, che, al contrario di oggi, in cui la si intende come libertà di uno Stato di essere indipendente e di essere autonomo nelle scelte da fare entro i propri confini nazionali, si riferivano al potere del sovrano e se questo poteva essere soggetto alle leggi che lui stesso emanava.

Se il sovrano era investito di legittimità divina o comunque sovra sociale era impossibile che le leggi potessero precedere la sua volontà di crearle. Molti, a quel tempo, pensavano che i sovrani, non essendo tenuti al rispetto delle leggi, non potessero essere corrotti e quindi non avevano ragione di non essere imparziali.

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La burocrazia, come strumento di attuazione delle leggi, emerge quindi per la necessità di sottoporre tutti agli stessi diritti e doveri senza privilegi, sovrani compresi. E, negli ultimi 200 anni, in Europa e in Nord America, e sempre di più in tutto il resto del mondo, la concezione burocratizzata è diventata predominante.

Ma la tendenza a rendere la burocrazia impersonale, anonima, meccanica, indipendente dalla volontà umana ed etica, in particolare nell’era di una tecnica finalizzata a potenziare sé stessa, sta nella stessa ragione per cui si è sviluppata.

Con la burocrazia si passa dal “giocare” al partecipare ai giochi. Nei “giochi” le norme tolgono dal “giocare” l’aspetto più inquietante della libertà: quella della paura del caos e della distruzione creativa, regolamentando il “potere discriminante dei gruppi che operano nell’ombra”, attraverso la sua istituzionalizzazione. Ma al costo di sviluppare un sistema burocratico razionale, freddo, artificiale, e per questo inumano.

E questo produce con il tempo una sensazione di estraneità del potere rispetto alla nostra vita quotidiana.

Chi non riesce a calmare questo vuoto con le gratificazioni che questo sistema ti permette di ottenere, di consumo o di percezione della tua potenza, si può sentire una vittima.

Ma, a questo punto, però, il bisogno di dare un volto alla causa del vuoto è forte.

Gli attori, che prestano il loro volto ai colpevoli della nostra insoddisfazione, sono quelli immaginati (presi a prestito dai media) e nella tragicommedia della nostra rappresentazione del reale diventano gli orchi e gli angeli.

La solita epica narrazione che sta alla base della rotazione di bandiere che nella storia ciclicamente vanno al potere. Così tanto per cambiare tutto e non cambiare nulla.

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Ciò non significa che, in nome del “così fan tutti” nella storia, non si possa rispondere con le armi (o io non possa pensare di farlo in quella situazione) contro il soggetto che prende la forma dell’aggressore.  Sarei stato partigiano con i nazisti e non solo contro di loro, anche se, almeno in un immaginario speculativo che ne generalizza il contesto del conflitto, non immaginerei la “germanicità”, né la Russità in generale, come sinonimo di “cattiveria”, né la parte che si difende come sinonimo di bontà, in attesa del liberatorio “arrivano i nostri”.

Tanto per cambiare tutto e non cambiare nulla

La soluzione burocratica, agli orrori degli orchi cattivi, che definisce gli assetti istituzionali regolati in modo così stringente e prevedibile da diventare quasi invisibili tende ad essere presentata come la piattaforma per una libertà, che scaturisce proprio dall’esigenza tecnica di far funzionare strutture di potere efficienti.

Questi assetti dovrebbero conservare gli aspetti positivi del gioco, aggirando in qualche modo le sue conseguenze di arbitrio del singolo, ma tutte le volte, però, il risultato è sempre lo stesso, quali che siano le sue motivazioni iniziali: la fede nella razionalità o la paura del potere arbitrario. L’effetto di questa concezione burocratizzata di libertà è il sogno di un mondo in cui il gioco fine a sé stesso è completamente limitato (o nel migliore dei casi isolati uno spazio remoto lontano da qualsiasi attività umana seria e consequenziale), mentre ogni aspetto della vita si riduce a una specie di complicato gioco da tavolo pieno di regole.

È una concezione che ha un suo fascino: chi non ha sognato un mondo in cui tutti conoscono le regole, giocano secondo le regole e, soprattutto, in cui chi gioca secondo le regole può effettivamente vincere?

Il problema è che questa è una fantasia utopica, tanto quanto quella di un mondo di gioco libero e assoluto, rimarrà sempre un’illusione scintillante, che svanisce non appena la si tocca (come scrisse David Graeber nel suo libro “Burocrazia”).

È vero che combattere per delle illusioni può essere un motore di cambiamento, ma, l’effetto, in questo contesto politico economico in cui la burocrazia è diventata il mezzo principale attraverso il quale una percentuale minuscola della popolazione estrae ricchezza da tutti gli altri, è la creazione di una situazione in cui la ricerca della libertà dal potere arbitrario finisce semplicemente per crearne ancora di più. Il risultato è che le norme soffocano la vita; la scienza e la creatività vengono strangolate e ognuno di noi si ritrova a passare sempre più tempo della giornata a riempire moduli (come ci ricorda sempre Graeber nel libro citato). E quando il sistema burocratico fallisce rispetto all’obiettivo primario di togliere i privilegi, perché il sistema che presidia porta all’aumento delle disuguaglianze, allora è forte il desiderio di uscire dal pantano del grigio disumano o di riemergere da un sottosuolo senza volto, affidando la sovranità ad un soggetto esterno alle regole che ha il permesso di non sottoporsi alle regole e per questo non corruttibile e imparziale verso gli altri (non appartenenti al cerchio magico).

Anche in questo pendolarismo, tra i giochi ed il “giocare”, tra creazione di norme e subire in modo uguale le norme, tra potere del sovrano autarchico e disuguaglianza tra i sacerdoti della burocrazia e gli utenti della stessa, si può riconoscere un pendolarismo politico-elettorale.

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Purtroppo, quando nel buio della nostra “stanzetta cerebrale cognitiva” noi immaginiamo un mondo migliore rispetto a quello in cui viviamo nella nostra democrazia burocratizzata, istintivamente ci identifichiamo con il Principe (cioè con il singolo demiurgo immaginario). Un sovrano buono che ha in mente quali sono i bisogni, i desideri e i diritti dei propri sudditi, pensati come fratelli di noi stessi, con la nostra stessa visione (se sapessero quello che noi sappiamo, naturalmente).

Sovrani buoni e Uomo nuovo

Difficile che ci identifichiamo nella impersonale burocrazia, più facile, insomma, proiettarsi nel conduttore che vede e provvede, insomma nel cosiddetto “uomo nuovo”.

Per riuscire a venire fuori da questa istintiva identificazione con un poco reale demiurgo immaginario, occorre accettare l’ambivalenza: essere contemporaneamente dentro e fuori, io sono io, ma sono io che mi guardo e immagino un altro io che controlla me stesso. Io che rispetto le regole, ma sono anche quello che le crea. Nell’immaginario sognatore, ovviamente.

E la creazione immaginativa delle nuove regole più giuste non può che richiamare alla mente, se accettiamo questa ambivalenza, il collettivo di appartenenza a cui dovrebbe essere affidato nel gioco mentale un potere di non concordare sulle regole che lo stesso io immaginario vorrebbe creare. Complicata schizofrenia immaginaria, ma che ci potrebbe mantenere dritta la barra del timone, tra impegno al cambiamento e presa di distanza dalla violenza delle utopie rivoluzionarie che tanto hanno segnato il secolo scorso, senza esorcizzare la rivoluzione, ma senza farne il prototipo dell’uno contro l’altro.

 

 

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(4 gennaio 2025)

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