L’abbiamo vista Ellis Island apparire come un sogno nel film Napoli-New York di Salvatores. E il suo messaggio da brividi: «Tenetevi, o antiche terre, la vostra vana pompa. Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare libere, i rifiuti miserabili delle vostre coste affollate. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata». Era l’invito alla speranza che tanti ne ha attirati verso l’America e tanti ne ha delusi. Ora per i ragazzi dell’Italia del Sud le Ellis Island sono Milano, Bologna, Verona. Ma per 100 mila ragazzi del Nord ogni anno le Ellis Island sono la Germania, la Francia, la Spagna. Perché tutta l’Italia, non solo il Sud, è tornata terra d’emigrazione.
Bene ha fatto il direttore di questo giornale del Sud a lanciare la campagna per far restare al Sud i suoi giovani. Purtroppo in un Sud i cui giovani sono spesso «costretti» ad andar via verso un Nord i cui giovani, invece, di andar via «scelgono». Come se in questo Paese nessuno voglia più stare. Se negli ultimi dieci anni sono quasi un milione i meridionali partiti soprattutto per le ricche regioni di Lombardia e Veneto, sono più di un milione quelli partiti per l’estero dalle stesse ricche regioni. La terre dell’oro per gli uni, le terre del gran rifiuto per gli altri. Così è come se l’Italia si ritrovasse ad avere al Sud una città come Napoli in meno, e una città come Napoli in meno anche al Nord. In un Paese che si spopola perché non fa più figli. E in un Paese che non si ripopola perché tanto impegnato a far guerra agli immigrati clandestini quanto incapace di attirare e integrare quelli regolari che gli servono.
In questo doveroso quadro, la fuga dal Sud. In non indifferente parte «cervelli», cioè diplomati e laureati di un Sud che già ne ha il minor numero d’Italia, verso un resto d’Italia che ne ha il minor numero in Europa. I bassi stipendi e la scarsa valorizzazione sono la molla delle partenze dal Nord, dove invece i ragazzi del Sud vanno proprio alla ricerca di stipendi più alti e di una maggiore valorizzazione. Come se l’Italia vivesse al ribasso anche dove per alcuni sembra che possa farlo al rialzo. In un gioco a somma zero, conosciamo il risultato. Anche se per tanto altro, e soprattutto per chi la vede dall’esterno, l’Italia sembra (e in buona parte lo è) il migliore dei mondi possibili.
Dal Sud di Spinazzola, di Crotone, di San Giorgio a Cremano è il basso livello di servizi e di infrastrutture a cacciar via. Perché servizi e infrastrutture insufficienti portano ad occasioni di lavoro altrettanto insufficienti. Servizi insufficienti (sanità, scuola, trasporti pubblici) e infrastrutture insufficienti (treni, strade, aeroporti) che non sono responsabilità del Sud in un clima in cui si cerca di far passare per colpevoli le vittime. Ma dipendono da una spesa pubblica dello Stato che ha sempre discriminato il Sud per la grandiosa ragione che così si è sempre fatto. Spesa «storica» si dice, come se essendo storica a vantaggio del Centro Nord, per rispetto alla storia non dovesse mai cambiare.
Che ingiustizia sia lo riconosce lo stesso attuale governo, deciso ora dopo decenni a calcolare i bisogni del Sud mai calcolati e quindi sempre violati. Lo farebbe per concedere maggiore autonomia a tre regioni del Nord. Ma anche su questo impegno «riflesso» a favore del Sud, affiorano trucchetti che fanno temere una intenzione non seguita da onesta azione. Eppure, nonostante tutto, i giovani del Sud non sono secondi a nessuno, come dimostrano quando vanno al Nord. Dove spesso si affermano. E dove vedendoli funzionare (inaspettatamente secondo il pregiudizio) gli dicono «tu non sembri del Sud» come se essere del Sud dovesse significare essere inetti e scansafatiche. Eppure, nonostante tutto, il Sud ha vinto con uno stile e una concezione di vita di cui si sente la necessità ovunque si voglia rifuggire dalla velocità come asfissiante dogma. E il Sud ha vinto perché tanto capace di fare il più col meno da poter vantare successi imprenditoriali inaspettati solo per chi non ne conosce la capacità di resistenza.
Ma bisogna fermare i suoi giovani senza i quali non c’è futuro. Il «mare a sinistra», cioè il ritorno dal Nord lungo la via adriatica, resterebbe uno slogan tanto indovinato quanto abusato se non ci fossero gli incentivi giusti perché avvenga. Senza però alibi né illusioni, c’è comunque una «tornanza» verso il Sud tanto spontanea quanto sorprendente. Cominciata come necessità col Covid ma continuata come autodifesa della propria vita rispetto alle aspettative della partenza. E non da sconfitti, ma da ricreduti. Non un controesodo, ma un contrordine sì. Più vasto di quanto si creda.
Insieme alla «restanza», chi ha deciso di non andarsene, la «tornanza» è un fenomeno più che incoraggiante. Grazie anche al vantaggio dei computer di essere «nowhere everywhere», in nessun luogo e in ogni luogo, cioè la possibilità stando al Sud di lavorare con qualsiasi posto del mondo senza più necessità di spostarsi. Fra «tornanza», «restanza» e tecnologia, ci sono giovani del Sud da fermare che cominciano a fermarsi da soli. A casa, a casa.
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