E non poteva essere diversamente per quanto ‘’Don Carlo’’ ha visto durante la permanenza in Basilicata, tra Aliano e Grassano, da confinato politico per l’opposizione al regime fascista. Per i cinefili il ‘’ Cristo si è fermato ad Eboli’’ diretto dal regista Francesco Rosi,con la interpretazione di Gian Maria Volontè, è l’eredita di una esperienza sul campo che non va dimenticata. Ma ci sono altre opere, che vide Carlo Levi nel ruolo di sceneggiatore, che meritano di essere viste. Riguardano , come ricorda Chiara Lostaglio, “Patatrac” diretto da Gennaro Righelli nel 1931 e “Il grido della terra” di Duilio Coletti, del 1949 in corso di restauro, che trattano temi diversi ma che riflettono l’impegno intellettuale di Levi. E a 50 anni dalla scomparsa (in Basilicata non ci sono state, al momento, eventi di commemorazione) è il caso di rivedere i lavori cinematografici dello scrittore, politico, giornalista, artista, medico piemontese, sepolto ad Aliano.
Carlo Levi e il cinema: valori, utopia, impegno
Carlo Levi si spegneva giusto 50 anni fa a Roma, il 4 gennaio 1975. Volle essere seppellito nella “sua” Aliano, dove fu esiliato dal regime fascista, nel 1935. Era nato a Torino il 19 novembre 1902; antifascista della prima ora, fu pittore e scrittore tra i più importanti del secolo scorso. Il suo realismo espresso artistico diventa universale nel romanzo Cristo si è fermato a Eboli, manifesto di una questione meridionale mai estinta. La sua peregrinazione lucana dell’esilio politico diventa la cifra passionale che esprimerà dando voce e volto agli ultimi, agli invisibili della Storia. Ha dunque lambito anche la Basilicata la proposta culturale tenutasi qualche tempo fa presso il cinema Trevi di Roma: “Valori, utopia e impegno” quale traccia per una didascalica e diversa visione di alcuni autori fondamentali del secolo scorso. E fra questi spicca quello di Carlo Levi, in una chiave di lettura sicuramente diversa da come solitamente lo si identifica. Non solo pittore, scrittore, ricercatore e conoscitore di radici meridionali, quanto anche uomo di cinema. Carlo Levi ed il cinema italiano. Ad una prima analisi la memoria ci conduce allo straordinario film di Francesco Rosi Cristo si è fermato a Eboli datato 1979, con uno struggente Gian Maria Volontè, che il regista trasse dall’omonimo romanzo di Levi e che girò nei luoghi del Materano, fra Aliano e Grassano e anche Guardia Perticara. Luoghi della memoria dove lo scrittore torinese fu confinato dal regime totalitario. Questo scriverà nel suo romanzo, del 1945: Cristo è sceso nell’inferno sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle nell’eternità. Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli. Carlo Levi contribuì dunque al cinema italiano. Si tratta di due importanti film di cui sono stati eseguiti lavori di restauro: Patatrac diretto da Gennaro Righelli nel 1931 e Il grido della terra di Duilio Coletti, del 1949. Levi contribuisce alla stesura dei due film apportando la propria visione intellettuale per quel che riguarda la componente storica. Al film di Coletti Il grido della terra, lo scrittore-pittore torinese rivolge il proprio contributo nell’analisi del problema degli esuli ebrei: si affronta per la prima volta uno dei problemi politici più rilevanti del Dopoguerra. Lo sguardo in queste opere risente della lezione neorealista. Nell’ambito della stessa rassegna romana, ampio spazio è stato riservato alla Basilicata e alla esperienza che segnò in maniera indelebile la ricerca artistica e letteraria di Carlo Levi. Lo scrittore e medico torinese si appassionò al mondo arcaico lucano, ai volti scavati dalla sofferenza, che la penna e il pennello hanno reso immortali. Molte sono le immagini conservate con cura dall’Archivio Audiovisivo Operaio e Democratico, oltre che in molteplici cinegiornali. Intensa è dunque l’attività artistica e l’impegno civile e politico di Levi, selezionata in documenti che, a partire dagli anni Sessanta, mettono in risalto lo stretto rapporto che l’intellettuale ha avuto con la comunità lucana. Una lezione di cinema che sarebbe opportuno portare in Basilicata. Infine, una esortazione morale di Levi, contenuto in Paura della libertà: Ciò che emerge è una dimensione del vissuto della politica non più come missione, bensì come condizione di sudditanza, come una macchina in cui la personalità e il profilo individuale tendono ad eclissarsi per affermarsi solo come gerarchia di figuranti.
Chiara Lostaglio
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