Charles Baudelaire: Consigli ai giovani scrittori

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giovani scrittori esplorano il cosmo - effe

(effe) — Festina lente. “Oggi bisogna produrre molto; quindi bisogna andare veloci; quindi bisogna affrettarsi lentamente; quindi ogni mossa deve essere efficace e nessun gesto deve essere inutile”, diceva Charles Baudelaire. Il saggio “Conseils aux jeunes littérateurs” che traduco qui in italiano nel mio Taccuino blu fu pubblicato la prima volta da Baudelaire a venticinque anni, nel 1846, nella rivista francese «L’Esprit public».

Charles Baudelaire — I precetti che si leggeranno sono il frutto dell’esperienza; l’esperienza implica una certa somma di sbagli; ognuno li ha commessi — tutti o quasi —, spero che la mia esperienza sarà verificata da quella di ognuno.

I suddetti precetti non hanno quindi altra pretesa se non quella di essere un vademecum, non altra utilità da quella della Buona creanza puerile e onesta. — Utilità enorme! Immaginate il codice di buona creanza scritto da una Warens dal cuore intelligente e buono, l’arte di vestirsi utilmente insegnata da una madre! — Così porterò in questi precetti dedicati ai giovani letterati una tenerezza tutta fraterna.

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I. Della fortuna e della malasorte agli esordi

I giovani scrittori che, parlando di un giovane collega con un tono misto di invidia, dicono: «È un bell’esordio, ha avuto una gran fortuna!» non riflettono sul fatto che ogni esordio è sempre stato preceduto ed è il risultato di venti altri esordi che non hanno conosciuto.

Non so se, in fatto di reputazione, un colpo di fulmine abbia mai avuto luogo; credo piuttosto che un successo sia, in una proporzione aritmetica o geometrica, a seconda della forza dello scrittore, il risultato di successi precedenti, spesso invisibili a occhio nudo. C’è una lenta aggregazione di successi molecolari; ma generazioni miracolose e spontanee, mai.

Coloro che dicono: “Ho della malasorte”, sono quelli che non hanno ancora avuto abbastanza successo e non lo sanno.

Considero le mille circostanze che avvolgono la volontà umana e che hanno anch’esse le loro cause legittime; esse formano una circonferenza in cui è racchiusa la volontà; ma questa circonferenza è mobile, viva, volteggiante, e cambia ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo il suo cerchio e il suo centro. Così, trascinate da essa, tutte le volontà umane che vi sono racchiuse variano a ogni istante il loro gioco reciproco, ed è questo che costituisce la libertà.

Libertà e fatalità sono due opposti; viste da vicino e da lontano, è un’unica volontà.

Ecco perché non c’è malasorte. Se hai malasorte, è perché ti manca qualcosa: conosci questo qualcosa e studia il gioco delle volontà vicine per spostare più facilmente la circonferenza.

Un esempio fra mille. Molti di coloro che amo e stimo si scagliano contro le popolarità attuali, — dei logogrifi in azione; ma il talento di queste persone, per quanto frivolo possa essere, esiste comunque, mentre la collera dei miei amici non esiste, o meglio esiste in misura minore, — poiché è tempo perso, la cosa meno preziosa al mondo. La questione non è se la letteratura del cuore o della forma sia superiore a quella in voga. Questo è troppo vero, almeno per me. Ma ciò sarà solo parzialmente giusto, finché non avrete nel genere che volete proporre tanto talento quanto ne ha Eugène Sue nel suo. Suscitate altrettanto interesse con mezzi nuovi; possedete una forza uguale e superiore in un senso opposto; raddoppiate, triplicate, quadruplicate la dose fino a un’uguale concentrazione, e non avrete più il diritto di parlare male del borghese, perché il borghese sarà con voi. Fino ad allora, væ victis! Perché nulla è vero se non la forza, che è la giustizia suprema.

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II. Dei salari

Per quanto bella sia una casa, è prima di tutto, — prima che la sua bellezza sia dimostrata, — tanti metri di altezza per tanti di larghezza. — Allo stesso modo la letteratura, che è la materia più inestimabile, — è prima di tutto un riempimento di colonne; e l’architetto letterario, il cui nome da solo non è una garanzia di profitto, deve vendere a tutti i costi.

Ci sono giovani che dicono: «Poiché vale così poco, perché darsi tanta pena?». Avrebbero potuto consegnare un lavoro migliore; e in tal caso, sarebbero stati derubati solo dalla necessità attuale, dalla legge della natura; si sono derubati da soli; — mal pagati, avrebbero potuto trovarvi onore; mal pagati, si sono disonorati.

Riassumo tutto ciò che potrei scrivere su questo argomento in questa massima suprema che offro alla meditazione di tutti i filosofi, di tutti gli storici e di tutti gli uomini d’affari: È solo attraverso i buoni sentimenti che si arriva alla fortuna!

Coloro che dicono: «Perché rompersi la testa per così poco!» sono quelli che, più tardi, vogliono vendere i loro libri a 200 franchi a feuilleton, e che, rifiutati, il giorno dopo li offrono con una perdita di 100 franchi.
L’uomo ragionevole è colui che dice: «Credo che valga tanto, perché ho del genio; ma se devo fare qualche concessione, la farò, per avere l’onore di essere dei vostri.»

III. Delle simpatie e delle antipatie

In amore come in letteratura, le simpatie sono involontarie; tuttavia, hanno bisogno di essere verificate, e la ragione ha la sua parte successiva. Le vere simpatie sono eccellenti, perché sono due in uno – le false sono detestabili, perché ne fanno uno, meno l’indifferenza primitiva, che è meglio dell’odio, conseguenza necessaria dell’inganno e della disillusione.

Ecco perché ammetto e ammiro il cameratismo in quanto si basa su rapporti essenziali di ragione e temperamento. È una delle sacre manifestazioni della natura, una delle molte applicazioni di questo proverbio sacro: l’unione fa la forza.

La stessa legge di franchezza e ingenuità deve governare le antipatie. Ci sono tuttavia persone che si fabbricano odi come ammirazioni, sventatamente. Questo è molto imprudente; è farsi un nemico — senza beneficio e senza profitto. Un colpo che non va a segno ferisce comunque nel cuore il rivale a cui era destinato, senza contare che può a sinistra o a destra ferire uno dei testimoni del combattimento.

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Un giorno, durante una lezione di scherma, un creditore venne a disturbarmi; lo inseguii per le scale con il fioretto. Quando tornai, il maestro di scherma, un gigante pacifico che mi avrebbe buttato a terra soffiandomi addosso, mi disse: «Come prodiga la sua antipatia! un poeta! un filosofo! bah!» — Avevo perso il tempo per fare due assalti, ero senza fiato, vergognoso, e disprezzato da un uomo in più, — il creditore, al quale non avevo fatto gran male.

In effetti, l’odio è un liquore prezioso, un veleno più caro di quello dei Borgia, poiché è fatto con il nostro sangue, la nostra salute, il nostro sonno e due terzi del nostro amore! Bisogna esserne avari!

IV. Della stroncatura

L’attacco deve essere praticato solo contro i sostenitori dell’errore. Se siete forti, è perdervi attaccare un uomo forte; anche se siete in dissidio su qualche punto, sarà sempre dalla vostra parte in certe occasioni.

Ci sono due metodi di stroncatura: attraverso la linea curva e attraverso la linea retta, che è la via più breve.

Si troveranno molti esempi di linea curva nei feuilleton di J. Janin. La linea curva diverte il pubblico, ma non lo istruisce.

La linea retta è ora praticata con successo da alcuni giornalisti inglesi; a Parigi è caduta in disuso; il signor Granier de Cassagnac stesso mi sembra l’abbia dimenticata. Consiste nel dire: «Il signor X… è un uomo disonesto, e per di più è un imbecille; è questo ciò che proverò», — e provarlo! — primo, — secondo, — terzo, — ecc… Raccomando questo metodo a tutti coloro che hanno fede nella ragione e il pugno forte.

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Una stroncatura mancata è un incidente deplorevole, è una freccia che torna indietro, o almeno vi spoglia la mano mentre parte, una pallottola il cui rimbalzo può uccidervi.

V. Dei metodi di composizione

Oggi bisogna produrre molto; quindi bisogna andare veloci; quindi bisogna affrettarsi lentamente; quindi ogni mossa deve essere efficace e nessun gesto deve essere inutile.

Per scrivere velocemente, bisogna averci pensato molto, — aver trasportato un argomento con sé, durante le passeggiate, al bagno, al ristorante, e quasi dalla propria amante.

E. Delacroix mi diceva un giorno: «L’arte è una cosa così ideale e così sfuggente, che gli strumenti non sono mai abbastanza appropriati, né i mezzi abbastanza spediti.» Lo stesso vale per la letteratura; — non sono quindi un sostenitore della cancellatura; essa disturba lo specchio del pensiero.

Alcuni, tra i più distinti e coscienziosi, come Edouard Ourliac, ad esempio, iniziano riempiendo molte pagine; chiamano ciò “coprire la loro tela”. Questo processo confuso ha lo scopo di non perdere nulla. Poi, ogni volta che ricopiano, potano e sfoltiscono. Anche se il risultato fosse eccellente, è un abuso del proprio tempo e talento. Coprire una tela non significa caricarla di colori, ma abbozzare con velature, disporre le masse in tonalità leggere e trasparenti. La tela dovrebbe essere coperta – mentalmente – nel momento in cui lo scrittore prende la penna per scrivere il titolo.

Si dice che Balzac carichi le sue copie e le sue bozze in modo fantastico e disordinato. Un romanzo passa così attraverso una serie di genesi, dove si disperde non solo l’unità della frase, ma anche dell’opera. È senza dubbio questo cattivo metodo che spesso conferisce allo stile quel non so che di diffuso, accalcato e farraginoso, l’unico difetto di questo grande storico.

VI. Del lavoro giornaliero e dell’ispirazione

L’orgia non è più la sorella dell’ispirazione: abbiamo spezzato questo parentela adultera. Lo snervamento rapido e la debolezza di alcune belle nature testimoniano abbastanza contro questo odioso pregiudizio.

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Un nutrimento molto sostanzioso, ma regolare, è l’unica cosa necessaria agli scrittori fecondi. L’ispirazione è decisamente la sorella del lavoro giornaliero. Questi due opposti non si escludono più di quanto facciano tutti gli opposti che costituiscono la natura. L’ispirazione obbedisce, come la fame, come la digestione, come il sonno. C’è senza dubbio nello spirito una sorta di meccanica celeste, di cui non bisogna vergognarsi, ma trarne il partito più glorioso, come fanno i medici con la meccanica del corpo.

Se si vuole vivere in una contemplazione ostinata dell’opera di domani, il lavoro giornaliero sarà al servizio dell’ispirazione, — come una scrittura leggibile serve a chiarire il pensiero, e come il pensiero calmo e potente serve a scrivere leggibilmente; perché il tempo delle cattive scritture è passato.

VII. Della poesia

Quanto a coloro che si dedicano o si sono dedicati con successo alla poesia, consiglio loro di non abbandonarla mai. La poesia è una delle arti che rendono di più; ma è un tipo di investimento di cui si raccolgono se non tardi gli interessi, — ma molto abbondanti.

Sfido gli invidiosi a citarmi dei buoni versi che abbiano rovinato un editore.

Dal punto di vista morale, la poesia stabilisce una tale distinzione tra gli spiriti di prim’ordine e quelli di secondo, che il pubblico più borghese non sfugge a questa influenza dispotica. Conosco persone che leggono i feuilleton di Théophile Gautier solo perché ha scritto La Commedia della Morte; senza dubbio non percepiscono tutte le grazie di quest’opera, ma sanno che è poeta.

Di cosa stupirsi, del resto, dal momento che ogni uomo sano può fare a meno di mangiare per due giorni, — ma di poesia, mai?

L’arte che soddisfa il bisogno più impellente sarà sempre la più onorata.

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VIII. Dei creditori

Ricorderete senza dubbio una commedia intitolata: Disordine e Genio. Che il disordine abbia talvolta accompagnato il genio, ciò prova semplicemente che il genio è incredibilmente forte; sfortunatamente, questo titolo esprimeva per molti giovani, non un incidente, ma una necessità.

Dubito fortemente che Goethe avesse creditori; Hoffmann stesso, il disordinato Hoffmann, preso da necessità più frequenti, aspirava continuamente a uscirne, e del resto è morto nel momento in cui una vita più ampia permetteva al suo genio di avere uno sviluppo più radioso.

Non abbiate mai creditori; fate, se volete, finta di averne, è tutto quello che posso concedervi.

IX. Delle amanti

Se voglio osservare la legge dei contrasti, che governa l’ordine morale e fisico, sono costretto a classificare tra le donne pericolose per gli uomini di lettere la donna onesta, la bas-bleu e l’attrice; — la donna onesta, perché appartiene necessariamente a due uomini ed è una mediocre pastura per l’anima dispotica di un poeta; — la bas-bleu, perché è un uomo mancato; — l’attrice perché è imbevuta di letteratura e parla in gergo, — insomma, perché non è una donna nel pieno senso della parola, — il pubblico essendo per lei una cosa più preziosa dell’amore.

Vi immaginate un poeta innamorato della sua donna e costretto a vederla recitare en travesti? Mi sembra che dovrebbe dar fuoco al teatro.
Vi immaginate questo qui costretto a scrivere un ruolo per la sua donna che non ha talento?
E quest’altro che suda nel restituire con epigrammi al pubblico del proscenio i dolori che questo stesso pubblico gli ha causato all’essere più caro, — quell’essere che gli Orientali chiudevano a triplice mandata, prima che venissero a studiare il diritto a Parigi?

È perché tutti i veri letterati detestano la letteratura in certi momenti, che non ammetto per loro — anime libere e fiere, spiriti stanchi, che hanno sempre bisogno di riposare il loro settimo giorno — che due classi di donne possibili: le prostitute o le donne stupide — l’amore o il bollito — . Fratelli, c’è bisogno di spiegarne le ragioni?

*“Conseils aux jeunes littérateurs”, trad. it. effe (Fabrizio Pinna) | 2025. Riferimento bibliografico: Charles Baudelaire, Conseils aux jeunes littérateurs, «L’Esprit public», 15 avril 1846 [I ed.; Oeuvres complètes de Charles Baudelaire, Vol. III – L’art romantique, Paris, Calman Lévy, 1885].

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