Israele. Il controllo dell’acqua come arma strategica

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di Giuseppe Gagliano

L’acqua è sempre stata un bene strategico nel Medio Oriente, una risorsa tanto preziosa quanto scarsa, e il controllo delle fonti idriche rappresenta un elemento centrale nelle dinamiche geopolitiche della regione. L’offensiva israeliana nel sud della Siria, culminata nel controllo di sei delle principali fonti d’acqua della regione, tra cui le dighe di al-Mantara e al-Wahda, sottolinea come questa risorsa sia un obiettivo chiave per Israele, non solo dal punto di vista della sicurezza ma anche per la sua sopravvivenza economica e politica.
Israele da decenni ha adottato una strategia idrica che combina innovazione tecnologica, controllo territoriale e negoziati internazionali. Tuttavia, il controllo diretto di risorse idriche al di fuori dei propri confini rappresenta un salto di qualità. Attualmente, il 30% delle fonti idriche della Siria e il 40% di quelle della Giordania sono sotto il controllo israeliano, una realtà che riscrive gli equilibri della regione.
Per Israele queste risorse non sono solo vitali per il consumo domestico o l’irrigazione agricola, ma hanno anche un valore strategico in termini di negoziati geopolitici. Controllare l’acqua significa avere un’arma di pressione nei confronti di Paesi come la Giordania, con cui Israele condivide un trattato di pace, e la Siria, che rimane un nemico storico. In un contesto di crescente scarsità idrica dovuta ai cambiamenti climatici e all’aumento della popolazione, la capacità di gestire e distribuire l’acqua diventa un elemento di potere che va oltre i confini nazionali.
L’importanza di queste risorse emerge chiaramente anche nelle aree occupate come le Alture del Golan. Qui Israele non solo controlla parte delle riserve idriche del fiume Yarmouk, ma utilizza queste risorse per rafforzare la propria presenza e legittimare l’annessione di territori contesi. Le comunità agricole israeliane nelle zone limitrofe beneficiano direttamente di queste fonti, mentre la popolazione siriana e palestinese subisce le conseguenze di un accesso limitato o negato.
Tuttavia il controllo idrico israeliano non si limita a una questione di sicurezza interna. Attraverso tecnologie avanzate come il desalinizzatore di Ashkelon o l’uso massiccio del riciclo delle acque reflue, Israele è diventato un leader mondiale nella gestione dell’acqua. Questa competenza tecnica viene utilizzata anche come strumento di soft power, con Israele che offre assistenza e know-how ad altri Paesi, rafforzando così la propria posizione internazionale.
Ma questa strategia non è priva di ombre. Per molti osservatori, il controllo israeliano sulle fonti d’acqua della Siria e della Giordania rappresenta un’ulteriore forma di espansione territoriale mascherata. Le implicazioni umanitarie sono significative, con comunità intere che vedono ridursi l’accesso a una risorsa vitale, alimentando risentimenti che si aggiungono a quelli già presenti a causa dei conflitti territoriali.
L’acqua dunque non è solo una questione di sopravvivenza, ma un elemento centrale nella politica di sicurezza e potere di Israele. Controllarla significa non solo assicurarsi il futuro del proprio Paese, ma anche determinare i destini di intere nazioni vicine. E in un Medio Oriente segnato da conflitti e instabilità, il controllo delle risorse idriche potrebbe essere il fattore decisivo che plasma il prossimo capitolo della storia regionale.
In altri termini l’approccio che Israele sta ponendo in essere rientra in quello che gli studiosi internazionali chiamano idrowarfare.
Le cosiddette “Idro Warfare” si riferiscono all’uso strategico dell’acqua come arma o leva di potere nei conflitti geopolitici, militari ed economici. Un concetto che si è sviluppato nel contesto della crescente scarsità idrica globale e del ruolo cruciale dell’acqua per la sopravvivenza umana, l’agricoltura e l’industria.
Le Idro Warfare si manifestano in diverse forme, tra cui il controllo delle fonti idriche strategiche, come fiumi, laghi, dighe o bacini acquiferi, che consente agli Stati o ai gruppi di esercitare pressione su altre nazioni o popolazioni. Ciò avviene attraverso l’interruzione dell’accesso all’acqua, la deviazione dei corsi naturali o la costruzione di infrastrutture che modificano l’equilibrio idrico, come dimostrato dal caso della Turchia con i fiumi Tigri ed Eufrate.
Oppure possono assumere la forma di uso diretto dell’acqua come arma, attraverso allagamenti intenzionali per ostacolare i movimenti militari o distruggere infrastrutture, e persino l’avvelenamento o la contaminazione deliberata delle riserve idriche. Inoltre, l’acqua può essere utilizzata come strumento di pressione politica ed economica, in particolare in regioni dove i bacini fluviali sono condivisi da più Stati, come il Nilo tra Etiopia, Sudan ed Egitto, oppure come leva nei negoziati geopolitici, come accade in Asia meridionale tra India e Pakistan sul fiume Indo.
La distruzione di infrastrutture idriche, come dighe e acquedotti, è un’altra dimensione delle Idro Warfare, volta a destabilizzare i nemici o a indebolire le popolazioni civili. Esempi di queste dinamiche emergono in diverse regioni del mondo. Nel Medio Oriente, per esempio l’ISIS ha sfruttato le dighe in Siria e Iraq per allagare territori nemici o privare le comunità civili dell’accesso all’acqua.
In Africa la costruzione della Grande Diga del Rinascimento Etiope ha generato tensioni tra Etiopia, Egitto e Sudan, con l’Egitto che considera il controllo del Nilo una questione di sicurezza nazionale. In Asia meridionale, le controversie tra India e Pakistan sull’accordo dell’Indus Waters Treaty illustrano l’importanza strategica dell’acqua in contesti di rivalità storiche.
Il cambiamento climatico ha aggravato ulteriormente il problema della scarsità idrica, intensificando i conflitti legati all’acqua. La riduzione delle piogge, la desertificazione e l’innalzamento delle temperature stanno rendendo le risorse idriche ancora più preziose e contese.
Le Idro Warfare rappresentano una nuova frontiera dei conflitti globali, dove il controllo dell’acqua diventa tanto strategico quanto quello delle risorse energetiche o dei confini territoriali. Ciò evidenzia la necessità di una gestione equa delle risorse idriche per prevenire la militarizzazione dell’acqua e promuovere la cooperazione internazionale e politiche sostenibili.

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