Pensioni 2025: vecchie politiche per avere pensionati più anziani – Lavoro e Lotte sociali

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Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 


 

di Emiliano Gentili e Federico Giusti

Nonostante i proclami elettorali il centro-destra non ha cambiato, o men che mai abrogato, la Legge Fornero.

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Se poi guardiamo alla spesa pensionistica, l’incremento avvenuto nel 2024 è ascrivibile soprattutto all’aumento dell’inflazione[1]. In un contesto di sotto-finanziamento della spesa previdenziale da parte degli imprenditori (le cui aliquote contributive non aumentano dal 1996[2] e ai quali ogni anno vengono condonati diversi miliardi di contributi non versati) e di una serie di anni con inflazione positiva che prosegue dal 1992 a oggi[3], è chiaro che i pensionati continuino a soffrire, vedendo peggiorare progressivamente le proprie condizioni di vita. Così come è naturale che nel Paese del part-time involontario e del lavoro nero gli stessi rinnovi contrattuali prevedano cifre pari a un terzo dell’inflazione. Ne consegue un quadro a dir poco desolante tra politiche di semi-austerità, bassi salari, pensioni minime non incrementate (altro autogol della Meloni rispetto alla retorica della destra vicina agli anziani) …

A nostro parere, con le modifiche di fine anno al sistema previdenziale, il Governo ha cercato di risparmiare sostanzialmente in due modi: innalzando de facto l’età utile per andare in pensione, soprattutto tramite modifiche ai vari istituti di pensionamento anticipato (ma non solo); continuando, imperterrito, con aumenti dei trattamenti previdenziali minimi inferiori all’inflazione cumulata negli anni più recenti. Non si tratta di una “manovra” pensionistica di ampio respiro e difatti il numero di lavoratori interessati sarà relativamente limitato. Tuttavia, proprio per questo è forse l’occasione per tentare di raccordare le ultime disposizioni alle norme precedenti, specie quelle promulgate dallo stesso Governo nei suoi primi anni di esercizio, nel tentativo di coglierne meglio il significato politico.

Modifiche all’età di pensionamento

         Forme di pensionamento anticipato

Le varie forme di pensionamento anticipato sono delle deroghe all’applicazione integrale della Riforma Fornero e hanno lo scopo dichiarato di diluirne nel tempo gli effetti sociali più regressivi: il loro senso politico sta nel concedere anni di riposo in più, in cambio di una consistente riduzione del valore della pensione (sia per gli anni di anticipazione del trattamento, sia successivamente, in ragione dei minori contributi versati nel frattempo). Pertanto giova ricordare che le anticipazioni pensionistiche non nascono come riforme espansive, in termini di welfare state, e che di conseguenza la semplice proroga di queste non costituisce un avanzamento sociale. Il prolungamento di un anno di Quota 103[4], Opzione Donna[5] e Ape sociale[6] (rispetto a cui l’anno scorso Meloni aveva comunque innalzato di 5 mesi il requisito d’età per accedervi[7]), di conseguenza, è una banderuola ben misera per un Governo che non sa come nascondere il tradimento perpetrato nei confronti dei propri elettori. Per supportare quanto appena affermato non esitiamo a riproporvi il nostro commento all’istituzione di Quota 103, avvenuta con la Finanziaria di un anno fa: «Per la prima volta è stato introdotto un tetto massimo sul valore nominale della pensione percepita (per i soli anni di anticipo, ovviamente), che non poteva essere superiore alle quattro volte l’assegno sociale[8] [Nel 2023 l’assegno sociale corrisponde a poco più di 500 €/mese] (…). Per accedere al pensionamento anticipato, dunque, i percettori di pensioni lorde di poco superiori ai 2000 € dovrebbero accettare un’ulteriore decurtazione dell’importo»[9].

Detto ciò, qualora non si voglia accedere a Quota 103 perché non si riceverebbe una pensione sufficientemente elevata per vivere è possibile rimanere a lavorare e accumulare più contributi. Non è l’opzione preferita dal Governo, però, il quale pur di abbassare la futura pensione del lavoratore decide che, oltre a concedergli il versamento dei contributi dovuti direttamente in busta paga (cosa già prevista dalla precedente normativa[10]), glieli renderà esentasse[11]. Peccato che così facendo questi rimarrà a lavorare per un incremento pensionistico considerevolmente inferiore rispetto a quello che avrebbe avuto altrimenti. Si tratterà pur sempre di un assegno più alto, anche se non quanto avrebbe dovuto essere, ma dato che si è più anziani lo si percepirà per meno anni: è questo il cinico calcolo dello Stato.

Con Opzione Donna il discorso non cambia: nata con la L. 243/2004, consentiva di continuare ad andare in pensione a 57 anni – come previsto dalla normativa precedente, allora appena abrogata – ma al prezzo di un considerevole taglio sull’assegno, causato dall’integrale applicazione del calcolo contributivo[12]. «Il Governo attuale aveva già limitato la platea delle beneficiarie durante lo scorso anno [per il 2023] e questa volta ha deciso di innalzare l’età minima di accesso (da 60 a 61 anni, con 35 di contributi) [per il 2024]»[13]. Per il 2025, tutto rimane invariato. Ma non si tratta certo di una conquista sociale, come vorrebbero farci credere Meloni e Giorgetti!

La pensione anticipata contributiva, poi, prevedeva un minimo di 64 anni di età e 20 di contributi, oltre al raggiungimento di un livello minimo lordo della pensione pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale, a patto che si andasse in pensione col sistema contributivo e non con quello misto. «Il limite sull’assegno imponeva ai lavoratori più poveri di rimanere al lavoro per più tempo, anche oltre i 64 anni + 20, per superare tale soglia, e consentiva allo Stato di ridurre la massa delle pensioni anticipate che, come detto, convengono sempre meno». Su tutto ciò, purtroppo, lo scorso anno il Governo ha peggiorato sensibilmente la situazione:

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per le imprese

 

«- i 20 anni di contributi sono stati agganciati alla dinamica della speranza di vita, ancora in ripresa dopo il calo del Covid (…)[14]. La diminuzione della speranza di vita dovuta al Covid non aveva fatto calare né i 20 anni di contributi necessari per questa forma di pensionamento, né tantomeno l’età pensionabile in generale, in virtù di alcune disposizioni che bloccavano gli adeguamenti a una speranza di vita non più certamente in ascesa[15]. Meloni, dunque, ha pensato bene di considerare solo la fase di ripresa della speranza di vita, truffando così la popolazione per l’ennesima volta;

– il livello minimo lordo di 2,8 volte l’assegno sociale viene aumentato a 3, mentre rimane a 2,8 per le donne con un figlio e scende a 2,6 per quelle che ne hanno più di uno (sancendo comunque, complessivamente, un netto risparmio per le casse statali, dato che di pensionamenti a 63 anni con due figli a carico non ve ne sono certo molti…);

– viene istituito un limite massimo dell’importo pensionistico, pari a cinque volte l’assegno sociale;

– viene introdotta una finestra di tre mesi di attesa per l’accesso al trattamento»[16].

La modifica (peggiorativa) introdotta con l’ultima Legge sposta il limite delle 3 volte l’assegno sociale a 3,2[17], di fatto aumentando gli anni di lavoro necessari per accedere al pensionamento per le sole fasce di lavoratori più povere. Dunque, Meloni non solo ha disatteso gli impegni assunti con l’elettorato ma ha sposato in toto la filosofia di fondo delle manovre previdenziali dei governi tecnici e di centro-sinistra, riuscendo perfino nel difficile intento di peggiorare ulteriormente.

Infine, i lavoratori entrati in produzione dal 1° gennaio 1996 (e quindi col sistema di calcolo contributivo) potranno accedere alla pensione anticipata contributiva a 64 anni anche cumulando una quota della rendita proveniente dalla previdenza complementare[18], che poi si sono pagati direttamente con il proprio Tfr. Ma anche questo ennesimo furto non ha impedito l’aumento degli anni lavorati: «il requisito sale da 20 a 25 anni di contributi nel 2025, e a 30 anni a partire dal 2030. In altre parole, si potrà andare in pensione a 64 anni, ma bisognerà aver accumulato 10 anni in più di contributi rispetto a ciò che serve oggi. (…) [Inoltre] sono esclusi dalla pensione anticipata tutti i lavoratori che percepirebbero, tra i 64 e i 67 anni, un reddito previdenziale superiore a 5 volte l’assegno minimo»[19].

Bonus Mamme

Prestito personale

Delibera veloce

 

Il “Bonus Mamme”, istituito nel 1995[20], riconosce alle madri lavoratrici dipendenti un’anticipazione dell’età di pensionamento di quattro mesi a figlio (come se si fossero lavorati quattro mesi in più), fino a un massimo di tre figli, oppure al contrario l’incremento di alcuni anni del coefficiente legato all’età di pensionamento per il calcolo dell’importo pensionistico. Oggi si è voluti arrivare a un massimo di quattro figli[21], ma potrebbe trattarsi soltanto di un cavillo ideologico legato all’idea della “fertilità” della popolazione.

Con la nuova norma sembra che la platea delle potenziali beneficiarie si allargherà alle lavoratrici autonome, comprese quelle che percepiscano redditi d’impresa. E sarebbe comprensibile, a questo punto, l’introduzione del limite di reddito di 40.000€ su base annua[22], per quanto introdurre un tetto reddituale non metta mai la forza lavoro al riparo, per gli anni a venire, da cambiamenti peggiorativi. Tuttavia non sono ancora stati definiti l’entità dell’esonero contributivo previsto e la maggior parte delle specifiche attuative: rimaniamo in attesa di un Decreto interministeriale ad hoc che dovrà arrivare entro trenta giorni.

         Prosecuzione volontaria del lavoro (Pubblica Amministrazione)

         L’età pensionabile dei dipendenti pubblici viene equiparata a quella generalmente valida (67 anni). Sarà poi negata la facoltà di risoluzione facoltativa del rapporto di lavoro per chi avrà raggiunto il diritto alla pensione anticipata tramite i 40 anni di contribuzione. Dinanzi a una forza lavoro tra le più vecchie dell’intera Ue, il trattenimento in servizio fino ai 70 anni è la novità introdotta dalla Legge di Bilancio 2025, pur se consentito nei limiti del 10% delle possibilità di assunzione e col consenso del lavoratore[23]. Almeno per ora.

Modifiche al valore nominale delle pensioni

         Assegni minimi

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 

I pensionamenti anticipati non sono l’unico meccanismo deputato a ottenere una riduzione degli importi pensionistici che è stato toccato dal Governo. Gli assegni sociali, da corrispondere ad anziani con età pari o superiore a 70 e in condizioni di disagio economico, sono incrementati di ben 8€ (nei mesi scorsi si temevano aumenti addirittura inferiori), così come vi è un aumento di 104€ del livello reddituale massimo consentito per accedervi. Non ci si lasci trarre in inganno dalla propaganda: è perlomeno dalla fine degli anni ’90 (L. 448/1998) che i trattamenti minimi aumentano lievemente, di tanto in tanto, solamente per compensare una minima parte della svalutazione dovuta all’inflazione. Per dare un’idea basti tener presente che oltre 20 anni fa erano già previsti 516,46€/mese per soggetti dai 70 anni in su aventi per reddito un massimo di 6.713,98€ (L. 448/2001), mentre nel 2025 siamo arrivati a 542,41€ per redditi fino a 7.051,33€.

Anche per le pensioni minime, del resto, si confermano gli aumenti ordinari, con la novità che visto che l’aumento dell’inflazione di quest’anno è inferiore agli anni passati, per il solo 2025 si potrebbe avere un lieve recupero di valore reale degli importi (dopo anni di incommensurabili perdite).

         Aumento dei versamenti contributivi

Ci sono, invece, delle possibilità per aumentare l’importo della propria, futura pensione? Fra le disposizioni contenute nella nuova Finanziaria si trova una novità legislativa: per i nuovi iscritti alla previdenza pubblica (dal 1° gennaio 2025) sarà possibile scegliere di auto-tassarsi (!), versando all’Inps un’aliquota contributiva maggiorata fino al 2%[24]… Visto che tanto mancano più di 40 anni al loro pensionamento, tanto vale farci cassa!

Altre misure

         Per completezza citiamo la possibilità di uno sconto del 50% dei contributi da versare per artigiani e commercianti, relativamente ai primi tre anni di apertura della propria attività (senza limiti di reddito o sui ricavi, il che potrebbe determinare una sconvenienza economica solo per i soggetti economicamente più fragili), nonché il blocco degli adeguamenti all’inflazione per le pensioni dei cittadini italiani residenti all’estero (norma a rischio di incostituzionalità), eccettuate quelle più basse. “Marchette elettorali” e “scelte ideologiche” di poco conto per il Bilancio dello Stato ma che, comunque sia, ci ricordano ancora una volta chi abbiamo al Governo. Un Governo che si muove in piena continuità con gli esecutivi precedenti e che, come questi, costruisce le norme previdenziali in accordo con Bruxelles. E in uno scenario così angusto sarebbe servito un ben altro coraggio politico: chi ostinatamente intende mostrarlo, evidentemente non lo possiede veramente.

 

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

 

[1] «Nel biennio 2023-2024, tenuto anche conto dell’elevato livello dell’indicizzazione (imputabile al significativo incremento del tasso di inflazione registrato a partire dalla fine del 2021 al 2023), la spesa in rapporto al PIL aumenta portandosi, alla fine del biennio, al 15,6 per cento (…). Tale dinamica è essenzialmente dovuta all’incremento del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati indotto dalla transizione demografica, solo parzialmente compensato dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento. L’effetto dovuto all’aumento del numero dei trattamenti previdenziali sopravanza quello relativo al contenimento degli importi pensionistici esercitato dalla graduale applicazione del sistema di calcolo contributivo con riferimento all’intera vita lavorativa». MEF, Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario. Rapporto n. 25, Giugno 2024, p. 55.

[2] L’incremento delle aliquote datoriali è da intendersi come incremento della retribuzione salariale lorda (sulla scorta di quanto avvenuto in Italia negli anni ’60 e ’70).

[3] Fanno eccezione esclusivamente il – 0,1% del 2016 e il – 0,2% del 2020.

[4] L. 207/2024, c. 174.

[5] L. 207/2024, c. 173.

[6] L. 207/2024, c. 175.

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[7] L. 213/2023, art.1, c. 136.

[8] L. 213/2023, art.1, c. 139, lett. “a”, n. 4.

[9] E. Gentili, F. Giusti e S. Macera, Pensioni, lavoro e welfare (Parte I), «Machina», 11/12/2023, https://www.machina-deriveapprodi.com/post/pensioni-lavoro-e-welfare-i

[10] L. 243/2004, art. 1, cc. 12 e 16.

[11] L. 207/2024, c. 161.

[12] L. 243/2004, art. 1, c. 9.

[13] E. Gentili, F. Giusti e S. Macera, op. cit.

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[14] Società italiana di reumatologia: ISTAT: speranza di vita in crescita per gli uomini e stabile per le donne, 07/04/2023.

[15] Forniamo i principali riferimenti normativi: D. L. 201/2011, art. 24, comma 1 (adeguamento biennale, anziché annuale, della speranza di vita); L. 205/2017, Art. 1, comma 146, lett. “b” (scelta degli anni di riferimento rispetto a cui considerare l’incremento della speranza di vita, individuati non in quelli immediatamente precedenti all’anno corrente); Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 27/10/2021 (annullamento della riduzione di tre mesi dell’età pensionabile).

[16] Ibidem.

[17] L. 207/2024, c. 183.

[18] L. 207/2024, cc. 181, 182 e 184.

[19] A. Curiat, La pensione anticipata prevista in Manovra esplicherà i suoi effetti nel lungo periodo, «ilSole24Ore», 29/12/2024.

[20] L. 335/1995, art. 1,

[21] L. 207/2024, c. 179.

[22] L. 207/2024, c. 219. Soglia che, però, potrebbe essere abbassata in futuro, trasformando il “Bonus” in uno strumento accessibile per le sole fasce più povere delle lavoratrici.

[23] L. 207/2024, cc. 162,163,164 e 165.

[24] L. 207/2024, cc. 169 e 170.

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