Se il Governo scommette sulla partecipazione dei lavoratori nella governance d’impresa

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La terza legge di Bilancio del governo guidato da Giorgia Meloni contiene una sorpresa: lo stanziamento di 70 milioni di euro per incentivare la diffusione della partecipazione dei lavoratori alla governance delle imprese, in coerenza con la proposta di legge d’iniziativa popolare della Cisl, che all’art. 22 stimava in 50 milioni i maggiori oneri a carico dello Stato. Un incremento di quasi un terzo che rappresenta una vera e propria dichiarazione di intenti. La proposta, che dovrebbe essere approvata dalle Camere all’inizio del nuovo anno, si configura come un fondamentale tassello nel cambio di paradigma del lavoro e delle relazioni economiche.

Il lavoro, inteso come lo spazio privilegiato in cui l’individuo si confronta con la propria capacità di contribuire alle necessità degli altri, è il pilastro su cui si regge la possibilità di una società autenticamente giusta (e la nostra Repubblica). La recente proposta della Cisl si configura come un tentativo di ripensare le relazioni lavorative in chiave inclusiva, restituendo senso e centralità al contributo umano all’interno delle dinamiche economiche.

Viviamo immersi in un sistema che tende a estrarre valore dal lavoro senza restituire sufficiente riconoscimento o dignità a chi contribuisce alla produzione di ricchezza e al bene comune: questa la lettura dell’attuale contesto nella parte introduttiva del documento. È utile richiamare la distinzione teorica tra istituzioni estrattive e inclusive, proposta da Acemoglu e Robinson (Perché le nazioni falliscono) che hanno quest’anno meritato il Nobel per l’economia. Le prime mirano a concentrare potere e risorse nelle mani di pochi, lasciando la maggioranza in una condizione di subalternità e impedendo di fatto una efficiente allocazione delle risorse e dei talenti, frenando lo sviluppo e l’innovazione; le seconde, al contrario, puntano a coinvolgere e valorizzare tutti gli attori delle comunità, promuovendo una redistribuzione equa di opportunità e così facendo mobilitando un circolo virtuoso che produce incentivi e motivazione all’incremento della produttività, all’individuazione di soluzioni e a nuove risposte ai bisogni della società nel suo complesso, promuovendo in tal modo benessere e sviluppo.

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La proposta di legge della Cisl si pone esplicitamente l’obiettivo di costruire istituzioni inclusive all’interno del mondo del lavoro. Le quattro forme di partecipazione previste – gestionale, finanziaria, organizzativa e consultiva – sono pensate per riconoscere ai lavoratori un ruolo attivo e consapevole, superando la logica passiva e subordinata che ha caratterizzato a lungo molte realtà produttive. In particolare, la partecipazione alle decisioni strategiche attraverso la presenza nei consigli di amministrazione e di sorveglianza rappresenta un passo cruciale verso un modello di governance che integra i diversi interessi in gioco e responsabilizza tutti i soggetti coinvolti.

La logica non è quella di imporre un costo insostenibile alle aziende, o ulteriori vincoli burocratici, ma di dimostrare che la collaborazione è un fattore determinante per il successo economico e la stabilità sociale, collegando partecipazione a incentivi e premi fiscali

L’introduzione di queste pratiche di partecipazione contrasta direttamente con le dinamiche estrattive che hanno caratterizzato molte delle crisi economiche recenti. La proposta riconosce il valore del lavoro come fonte di innovazione e sostenibilità, incentivando le imprese che adottano indirizzi generali e piani strategici condivisi con i lavoratori. La logica non è quella di imporre un costo insostenibile alle aziende, o ulteriori vincoli burocratici, ma di dimostrare che la collaborazione è un fattore determinante per il successo economico e la stabilità sociale, collegando partecipazione a incentivi e premi fiscali.

Un elemento distintivo è l’attenzione alla sostenibilità, in senso ampio, che abbraccia anche gli aspetti sociali e culturali. La definizione di “impresa socialmente sostenibile” (art.2) – che integra equità, protezione ambientale e creazione di valore condiviso – è un punto centrale della legge. Non si tratta solo di migliorare le condizioni economiche immediate, ma di costruire un orizzonte in cui l’impresa si faccia protagonista di creazione di valore per tutti gli stakeholder.

La distinzione tra istituzioni estrattive e inclusive si fa evidente anche nella gestione degli utili. La proposta introduce la redistribuzione di una quota dei profitti aziendali ai lavoratori, non come una concessione, ma come riconoscimento del loro ruolo centrale nella creazione di valore. Questa misura, oltre a promuovere una maggiore equità, rappresenta un modello virtuoso di democrazia economica, capace di ridurre le disparità e di rafforzare il senso di appartenenza.

La legge si estende anche al settore pubblico, proponendo forme di governance inclusiva negli enti pubblici e nelle società a partecipazione pubblica. Questo è un punto di particolare rilevanza, poiché dimostra come i principi della partecipazione dei lavoratori possano diventare motore di nuove forme di coinvolgimento in cui dal basso si possa finalmente contribuire alla costruzione di regole comuni e alla direzione strategica, in una prospettiva di vero riconoscimento. In questo senso, la proposta si contrappone con forza alla logica direttiva che troppo spesso caratterizza l’attuazione delle politiche. Si pensi a cosa potrebbe significare liberare la capacità di analisi e di comprensione reale del bisogno, di ideazione di soluzioni ai problemi, di disegno dei dispositivi attuativi, ascoltando e coinvolgendo chi con quel bisogno ha quotidianamente a che fare nell’erogazione dei servizi pubblici: medici, infermieri, Oss, operatori del mercato del lavoro, orientatori, educatori, insegnanti, autisti, poliziotti.

Infine, la proposta della Cisl è anche un antidoto all’alienazione e una proposta per la ricostruzione del senso. Il lavoro, inteso come spazio di riconoscimento, diventa qui un luogo di partecipazione alla presa di decisioni, attraverso la costruzione di relazioni significative, perché per coinvolgere l’altro nelle scelte, devo giocoforza riconoscerne la dignità e rispettarne il contributo. La legge invita a superare la logica del lavoro come mera funzione nella creazione del valore, per restituirgli il ruolo di pilastro della vita sociale e personale. Attraverso la partecipazione, ogni lavoratore può contribuire all’edificazione di un modello di società più equo e inclusivo.

In definitiva, la proposta di legge di iniziativa popolare promossa dalla Cisl è un esempio di come le istituzioni possano trasformarsi da estrattive a inclusive, offrendo strumenti concreti per ridurre le disuguaglianze e promuovere la giustizia sociale. Essa dimostra che è possibile tradurre una visione teorica in azioni pratiche, capaci di incidere sulla realtà e di costruire un futuro in cui il lavoro torni a essere il motore della dignità e della partecipazione. Così facendo, si gettano le basi per una società che riconosca nel lavoro il contributo di ognuno al bene comune, facendone dunque lo strumento di “elevazione” della società sia dal punto di vista economico che “spirituale” come ci ricorda la nostra Costituzione all’articolo 4.

Foto Pexels: credit Anamul Rezwan

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