Tagliare le tasse al ceto medio? Solo uno slogan

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Dati alla mano, la sola strada praticabile per tagliare le tasse al ceto medio, sulle cui spalle grava ampia parte del finanziamento del welfare state italiano, sarebbe contenerne l’enorme spesa assistenziale. Una soluzione per� difficile da praticare, anche perch� contraria alla ricerca politica del consenso a tutti i costi

Alberto Brambilla

Tagliare le tasse al ceto medio: � lo slogan pi� in voga tra i politici. � giusto? Certo che s�! Possibile? Certo che no!�A meno di tagliare una fetta di quei 164 miliardi a carico della fiscalit� generale�che la politica spende per sussidi, bonus, pensioni a chi non ha pagato n� tasse n� contributi, sostegni alla famiglia, assistenza sociale e in generale sostegno alle cosiddette “fasce deboli” o, pi� di moda, ai “fragili”.�

Peccato che queste fasce deboli o fragili siano diventate la maggioranza nel Paese,�aumentate per:�a) il quasi fallimento della contrattazione nazionale�da parte dei corpi intermedi e sindacali che non riescono a stare al passo neppure con l’inflazione;�b) per la scarsa produttivit�, causata da modesti investimenti, che soprattutto nel settore servizi, commercio, turismo, pubblica amministrazione e in parte nelle PMI manifatturiere sono surrogati da bassi salari;�c) gli incentivi dello Stato�con la politica “meno dichiari redditi pi� bonus, sussidi, sconti fiscali e contributivi avrai; pi� dichiari e meno detrazioni, deduzioni, bonus e aiuti avrai e pi� tasse pagherai”. L’aumento del numero di “poveri” � fornito dal combinato dei dati MEF e Istat: infatti, nel 2008, quando il rapporto stock di debito pubblico era intorno al 100% del PIL, lo Stato spendeva in assistenza (voci sopra) 73 miliardi; nel 2024, i trasferimenti a carico della fiscalit� generale dal bilancio pubblico all’INPS (che ormai � il pagatore di quasi tutta l’assistenza) sono ammontati a 164 miliardi.�Pi� che raddoppiati in 17 anni (+124,6%)!�

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Con tutti questi soldi in pi� la povert��(sconfitta secondo il Movimento 5 Stelle il 27 settembre 2018, sul balcone del Chigi)�si sarebbe dovuta quantomeno ridurre, e invece:�nel 2008 i poveri assoluti, quelli che non arrivano alla terza settimana del mese, erano 2,1 milioni e oggi sono oltre 5,65 milioni, segnando un +266% (un miracolo politico); i poveri relativi , cio� quelli che faticano ad arrivare a fine mese per dirla con Caritas e similari, sindacati e politici, erano nel 2008 6,5 milioni e oggi superano gli 8,65 milioni (+ 33%).�Con dati cos� sconfortanti qualsiasi azienda o impresa avrebbe licenziato in tronco tutta la dirigenza:�� come se un’impresa avesse investito in pubblicit�, marketing e sviluppo pi� del doppio del budget e avesse avuto i ricavi pi� che dimezzati, e perdite anzich� utili. E invece la nostra politica, senza neppure fare una verifica sulla bont� dei provvedimenti legislativi fin qui presi,�insiste su questa strada fallimentare,�prevedendo in Legge di Bilancio quasi 20 miliardi di cui 9 a debito (ma saranno molti di pi� perch� il PIL non crescer� secondo le aspettative del ministro dell’Economia di circa l’1% ma molto meno, forse lo 0,5%) in sussidi e aiuti alle famiglie compresi il bonus Natale, Nuovi nati, la perigliosa decontribuzione, lo sconto fiscale e ulteriori detrazioni.�

Ma non per tutti: solo per i redditi medio-bassi, per i quali � reso strutturale il taglio del cuneo fiscale fino a 40mila euro (resta contributivo per i redditi fino a 20mila euro mentre per i redditi tra 20mila e 40mila euro il taglio diventa fiscale con una detrazione fissa di 1.000 euro fino a 32mila euro che diminuisce progressivamente fino ad azzerarsi tra i 32mila e i 40mila euro). Lo stesso per tutti i bonus, mentre l’Assegno Unico Universale per i figli si riduce da 199,40 euro mese a 57 euro al mese. Anche l’accorpamento delle aliquote IRPEF per i redditi sopra i 35mila euro � pressoch� neutralizzato dalla riduzione delle detrazioni, mentre la pi� volte evidenziata volont� del governo di ridurre ulteriormente le aliquote IRPEF per il ceto medio portando la seconda aliquota dal 35% al 33% (per redditi tra 28 e 50mila euro) e l’attuale secondo scaglione di reddito da 50 a 60mila euro, resta un libro dei sogni anche per il flop del “concordato preventivo biennale (CPB)”.�

Era difficile immaginare che si potesse avere una riduzione del carico fiscale finanziata da entrate temporanee prodotte dal concordato; al massimo, la riduzione avrebbe potuto valere per un anno, al pi� due; tuttavia, per come � stato congegnato il CPB, � pi� che probabile una riduzione delle entrate. A titolo di esempio, ipotizziamo che all’impresa A venga proposto un reddito per il 2024 di 100 rispetto al reddito di 92 dichiarato nel 2023; se l’impresa pensa di avere per il 2024 un reddito di 105 aderir� certamente al CPB, perch� sulla differenza tra 92 e 100 pagher� solo il 10% di IRES se con ISA da 8 a 10 (il 12% da 6 a 7 e il 15% con ISA 5 o inferiore), mentre tra 100 e 105 non pagher� nulla e risparmier� pure sull’IRAP; inoltre, questi contribuenti sono esclusi dagli accertamenti per il biennio in oggetto. L’impresa B prevede invece un reddito costante e quindi non aderisce perch�, se lo facesse e i redditi effettivi fossero inferiori rispetto a quelli concordati, dovrebbe pagare le imposte sulla base dei redditi concordati. � evidente che aderiranno solo le imprese che ci guadagnano e che � pi� che probabile una riduzione di gettito effettivo.

Intanto, il governo (vale anche per quelli precedenti tranne il governo Draghi) che brama per ridurre le imposte al ceto medio, in materia di pensioni, ha fatto l’esatto contrario: ha aumentato ben oltre l’inflazione le pensioni sociali, le minime e le pensioni con maggiorazione, mentre per quelle oltre 6 volte il minimo (3.300 euro lordi al mese), cio� il famoso ceto medio, le ha ridotte in termini reali azzerando quasi la perequazione all’inflazione, di oltre il 14%.�Ma perch� non � possibile ridurre il peso fiscale al ceto medio?

Semplicemente perch�il 60% degli italiani paga solo l’8% di tutta l’IRPEF�che, per i redditi del 2022 dichiarati nel 2023 ed elaborati nei mesi scorsi, vale 189,5 miliardi; il 25% paga il 28% circa, mentre il 15,27% paga il 63,4%. Guarda caso quel 15,27% si riferisce ai redditi da 35mila euro l’anno lordi in su,�il ceto medio che si sobbarca gran parte dell’intera spesa pubblica.�Solo per garantire la sanit� a quel 60% (il 25% intermedio � autosufficiente all’80%), occorrono ogni anno 60 miliardi; poi c’� tutto il resto (scuola, universit�, ricerca, strade, ecc.). Ridurre anche di soli 3 punti il carico fiscale al ceto medio costerebbe ogni anno oltre 4 miliardi di minori entrate.�L’unica soluzione � il taglio della spesa assistenziale, che � il motore dell’evasione (meno redditi dichiarati e pi� vantaggi ottenuti) e del lavoro sommerso (pi� lavoro in chiaro, pi� alto � l’ISEE e meno vantaggi si ottengono).�Ma questi tagli vanno contro la ricerca politica del consenso a tutti i costi�e, per questa ragione, resteranno solo uno slogan.

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

�7/1/2025

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