A Jeddah tra tradizione e innovazione aspettando l’Opera House e il grattacielo più alto del mondo

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Esci dal King Abdulaziz International Airport e nei 19 chilometri per raggiungere il centro di Jeddah ti accorgi che in un solo anno tutto, o quasi, è cambiato. Ha anche ripreso a crescere quello che diventerà il grattacielo più alto del mondo. Mille metri che faranno superare alla Jeddah Tower il record degli 829 metri che spetta oggi al Burj Khalifa di Dubai. I lavori per costruire questo gigante erano stati interrotti, ma adesso procedono di nuovo e saranno finiti nel 2028. In tempo per entrare di diritto tra le grandi opere della “Vision 2030” che è il programma di rinnovamento della società e dell’economia dell’Arabia Saudita voluto dal principe ereditario, Mohammed Bin Salman, e che passa anche attraverso il più grande piano di investimenti mai realizzato finora. E Jeddah lo conferma. Molti cantieri sono già ultimati e hanno cambiato il panorama: con il verde di viali e giardini che ha mangiato ettari al deserto.

La seconda città del Paese, con i suoi 4 milioni di abitanti (la capitale Riyadh ne ha 6 milioni sul totale di circa 40 milioni di abitanti di tutta l’Arabia Saudita), si sta imponendo come centro finanziario e commerciale e sta rilanciando anche il suo porto che è già il più grande del Mar Rosso. E che è legato a tutta la storia di questa città. Da villaggio di pescatori, fondato oltre duemila anni fa, Jeddah è diventata la porta – e il porto – della Mecca, la città santa che dista circa 80 chilometri. La Jeddah antica era cinta da mura e aveva diverse porte: le due principali erano, appunto, la Porta del Mare e la Porta della Mecca (che ancora esistono) collegate dalla Via dei Pellegrini che taglia tutto il centro. Oggi quest’area, chiamata Al-Balad e dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, si può attraversare soltanto a piedi o con piccole auto elettriche scoperte perché tutte le strade sono molto strette, pensate a misura d’uomo o, al massimo, di qualche cammello.

Ma anche questa parte di Jeddah, in un anno, ha cambiato faccia. Dove c’erano polverosi parcheggi per lasciare le auto e immergersi nei vicoli e nei bazar adesso ci sono giardini che arrivano fin sulla sponda della laguna di Al-Arbaeen e ospitano due delle ultime realizzazioni: il Museo delle arti digitali – unico nei Paesi arabi – e la sede permanente della Casa del Cinema dove lo scorso 5 novembre si è aperta la quarta edizione del Red Sea International Film Festival con la partecipazioni di star internazionali. Le prime tre edizioni del festival si erano tenute nel Ritz, uno dei più grandi hotel del lungomare, ma il progetto era di portarlo nell’antico centro storico. E anche questo è stato realizzato. Una grande sfida già vinta. Il festival del cinema del Mar Rosso ha dato una forte spinta all’industria cinematografica saudita che era rimasta praticamente ferma per 35 anni – dal 1983 al 2018 – a causa della chiusura delle sale riaperte ormai da sei anni sempre nel quadro delle riforme volute dal principe Bin Salman. Anche il museo digitale – aperto nel giugno scorso – è parte dell’accelerazione sociale e culturale avviata in questi anni. La formula di questo spazio espositivo è stata creata in Giappone da Toshiyuki Inoko nel 2001 e, finora, era stata replicata soltanto in Cina e, in Europa, in Olanda. Si tratta di un museo davvero diverso: non ha opere esposte, ma sale dove i visitatori si immergono in una realtà virtuale che li avvolge dalle pareti, dal pavimento e dal soffitto con proiezioni e suoni che, nelle intenzioni di Inoko e del suo TeamLab Borderless, vogliono dimostrare che “tutto esiste in una continuità senza confini, tra passato e presente in un mondo che è in continuo cambiamento”.

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Molto più classica – anche se sempre modernissima – sarà la prossima grande opera in costruzione a Jeddah: l’Opera House. L’edificio di 26.000 metri quadrati ospiterà tre spazi per gli spettacoli: il Lyric Theatre principale da 1.500 posti, uno spazio teatrale di medie dimensioni da 750 posti e una sala prove da 150 posti. Anche questi spazi saranno flessibili con i posti a sedere concepiti per essere disposti in diverse configurazioni per adattarsi al meglio a diversi tipi di spettacolo. Insomma anche la nuova Opera House promette di stupire. Del resto nel Paese dove si sta costruendo la prima “città del futuro” del mondo, l’innovazione sembra essere ormai la regola. A 900 chilometri più a Sud di Jeddah sta sorgendo Neom che, dalle sponde del Mar Rosso, si allungherà letteralmente nel deserto. Il progetto prevede la realizzazione di quella che è stata definita “The Line”: una città a sviluppo rettilineo con due sole file di palazzi divise da un’area verde centrale – in totale meno di cento metri di larghezza – che, nella prima fase, raggiungerà una lunghezza di 25 chilometri attraversati da una metropolitana che sarà l’unico mezzo di trasporto (naturalmente elettrico) per gli abitanti della città del futuro che non avrà strade per le automobili, ma soltanto abitazioni e servizi di tutti i generi.

Nella grande corsa verso l’innovazione della Vision 2030 dell’Arabia Saudita s’intreccia sempre la dedizione del Regno a rispettare e riaccendere l’eredità culturale del passato. Così l’antico centro di Al-Balad è stato rinnovato rispettando il forte impegno per il restauro e per dare nuova vita al suo passato leggendario sotto la supervisione del Ministero della cultura. Non solo. La visione della moschea lungo la Corniche di Jeddah – che si erge come una serena silhouette bianca e che si riflette nelle acque blu del Mar Rosso – resiste alla prova del tempo e rimane un’armoniosa fusione di tradizione e modernità. Progettata dall’architetto egiziano Abdel-Wahed El-Wakil, questa moschea fa parte di un’iniziativa commissionata dal governo saudita, che all’epoca incaricò El-Wakil di progettare una delle quattro moschee volte a valorizzare la bellezza della città. Il contributo di El-Wakil al Regno non finì qui, poiché progettò altre dieci moschee sia a Jeddah che a Medina.

Il design di questa moschea, come delle altre realizzate dall’architetto egiziano, si ispira a diversi schemi storici fondendoli insieme per dare vita a una composizione geometrica dal cuore spirituale.

Perché “l’architettura, come ogni espressione artistica, dovrebbe elevare l’anima. Un edificio non è soltanto muri e tetti: deve parlare delle aspirazioni più elevate dell’umanità”, parola di Abdel Wahed El-Wakil.

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