Il dopo-Zaia manda in tilt il centrodestra: la Liga Veneta pensa di correre da sola

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La squadra del governatore compatta sul territorio. Il segretario regionale Stefani: “Il Veneto è nostro, anche da soli”. Ma i meloniani non cedono: “Impossibile che la presidenza non vada a FdI”


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Venezia. Il Veneto sopra ogni cosa. Più del centrodestra unito – e poco ci vuole. Ma pure più della Lega stessa, se il partito non dovesse fare il gioco del territorio. E’ il monito che arriva dall’area Zaia: quanto mai compatta, battagliera, pronta a sparigliare le carte per ereditare il suo scranno a tutti i costi. E ai meloniani, pernacchie. Pazienza se le urne continuino a premiare loro, pazienza se il tramonto sia sempre più incombente sul tempo del governatore. Tanto ci pensano gli altri. I suoi fedelissimi: Marcato, Villanova. E in ultimo pure Alberto Stefani, segretario regionale. Ma soprattutto, vice di Salvini a livello federale: se lui dice “il Veneto a noi, anche da soli” – si ragiona nel nordest – è impossibile che il grande capo non abbia approvato la linea. A meno che il Veneto non gli sia completamente sfuggito di mano. E con esso il Carroccio intero. Scenario altrettanto plausibile.

L’escalation all’interno della coalizione di governo è deflagrata in questi ultimi giorni, dopo mesi di schermaglie. Stefani dichiara al Gazzettino che “Veneto e Lega sono inscindibili: ne rivendichiamo la presidenza non per questioni di bandiera, ma perché siamo convinti di poter esprimere il miglior candidato possibile. E da soli sul territorio abbiamo già vinto ovunque”. Una fucilata d’inverno. A cui risponde, via Stampa, il siluro di Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento: “Impossibile che il dopo Zaia non vada a FdI”. Rilancia Luca De Carlo: “I risultati parlano per noi, spaccarsi adesso sarebbe assurdo”. Ma è preoccupato, il coordinatore veneto dei meloniani. Sa bene che le urne alle politiche rispondono a una dinamica chiara: vince il nome di Giorgia. Ma alle regionali funzionano in tutt’altro modo: vince quello di Zaia. O chi per lui. E questo lo sa anche la Liga. Interpellato dal Foglio, Stefani dice che è meglio mettere freno alle parole altrimenti la situazione degenera. Ormai però è tardi: da qui non si torna indietro.

Non aspettava altro, la classe dirigente zaiana. Ci aveva messo un po’ prima di fidarsi di Stefani: era stato eletto come emanazione di Salvini, un parafulmini obbediente mentre la base insorgeva. Per questo il suo rompete le righe vale doppio. E sa di benedizione: tra il padre e la patria, pure Stefani sceglierebbe la seconda. “Meglio tardi che mai”, si sfrega le mani Roberto Marcato, campione di preferenze alle scorse elezioni e già pronto ad aggredire le prossime. “Noi leghisti siamo tornati a remare dalla stessa parte. Quella di Ciriani è un’ingerenza a tutti gli effetti. Del Veneto decidono soltanto i veneti: ci costi pure la rottura con la maggioranza. Non abbiamo bisogno di alleati, se gli alleati non fanno il bene comune”. Il piano d’azione è sul tavolo da settimane. “Il Veneto non è una terra di conquista per gli altri partiti”, gli fa eco Alberto Villanova, capogruppo di Zaia in Consiglio. “E il Carroccio del territorio è una garanzia di consenso per tutto il centrodestra”. Tradotto, seguiteci o arrangiatevi. Il tridente d’attacco è già pronto: lista Lega, lista Zaia, lista civica autonomista.

E’ un ultimatum a tutti gli effetti. Forza Italia in regione è già fuori dalla maggioranza. E FdI, fanno intendere i leghisti, potrebbe fare presto la stessa fine. Una guerra intestina scomoda per tanti: i meloniani puntano i piedi, ma sanno che a sfidare il Carroccio nella sua tana rischierebbero grosso; Salvini non ha alcuna simpatia per il Veneto produttivista e anti-Vannacci, ma sa di non poter fare a meno del suo peso numerico. Gli uomini di Zaia invece non hanno nulla da perdere, al di fuori della regione stessa. Ragionano d’insieme, vanno oltre le barriere ideologiche: dietro le quinte hanno iniziato a trattare perfino con il centrosinistra. Che da queste parti è debole, inadatto, privo di spina dorsale. Eppure a livello locale – Vicenza, Padova, Verona – ha dimostrato di offrire validi modelli di governo. Naturalmente, un ticket Liga-Pd sarebbe pura fantascienza. Ma fuor di etichette, coinvolgere esponenti di diversa estrazione politica, in nome del progetto territoriale, è un’ipotesi che molti zaiani prenderebbero in seria considerazione. Mandando in tilt ogni logica di alleanza, ogni velleità di destra. E’ a questo che Salvini e Meloni non sanno rispondere: il Veneto prima di tutto metterebbe tutto il resto a un bivio. Accontentati o accantonati. Finito Zaia, sarà zaianesimo.

 

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