Stop di Biden alla fusione tra Nippon e U.S. Steel, le due aziende fanno causa

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La presidenza di Joe Biden rischia di chiudersi con una causa federale intentata da Nippon Steel e U.S. Steel contro il Governo degli Stati Uniti per influenze indebite a causa della decisione del Presidente uscente, arrivata lo scorso venerdì 3 gennaio, di bloccare l’acquisizione da parte dell’azienda metallurgica giapponese di uno dei principali produttori di acciaio su suolo americano, acquisizione per la quale Nippon era pronta a stanziare 14,9 miliardi di dollari.

Le motivazioni di Biden e la risposta del Primo Ministro giapponese
La decisione è arrivata dopo che il Comitato per gli investimenti esteri negli Stati Uniti ha inviato alla Casa bianca un rapporto in cui manifesta le proprie perplessità in merito a questa fusione. «Un’industria siderurgica forte e gestita a livello nazionale rappresenta una priorità essenziale per la sicurezza nazionale. – ha motivato Biden – Senza la produzione nazionale di acciaio e senza i lavoratori nazionali, la nostra nazione è meno forte e meno sicura».

Non si è fatta attendere la risposta del Primo ministro giapponese, Shigeru Ishiba, che ha chiesto a Whashington di spiegare i rischi per la sicurezza nazionale che hanno spinto il Governo a bloccare la fusione tra le due aziende, in modo da rassicurare gli industriali nipponici nei loro investimenti su suolo statunitense. Perplessità che hanno ancor più ragion d’essere dal momento che la stessa Nippon Steel aveva annunciato di voler investire 2,7 miliardi di dollari per l’ammodernamento degli altiforni della U.S. Steel sia a Gary, in Indiana, sia nella Mon Valley, in Pennsylvania. L’azienda nipponica, inoltre, aveva presentato piani espansionistici di investimento negli Stati Uniti per il prossimo decennio.

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La reazione dei due colossi
Nella causa che Nippon Steel e U.S. Steel hanno depositato presso la Corte d’appello per il Distretto di Columbia si legge che il Governo federale avrebbe ostacolato l’acquisizione per motivi politici e si chiede di ordinare un nuovo esame per il processo di fusione.

Le due aziende, in una comunicazione congiunta, hanno definito questo provvedimento come “illegale”, si legge: «Biden ha ignorato lo stato di diritto per ingraziarsi i sindacati americani dell’industria siderurgica e sostenere la sua agenda politica». Le due aziende, inoltre, contestano al  Comitato per gli investimenti esteri degli Stati Uniti di aver condotto le analisi e il processo di revisione normativa in cattiva fede. Dove sta la verità? Un atto di tutela o una mossa politica?

Il riscontro positivo dei sindacati americani e degli analisti giapponesi
«Accogliamo con favore la decisione del Presidente Biden di bloccare l’accordo fra Nippon Steel e U.S. Steel. – ha dichiarato in un comunicato stampa David McCall, segretario della United Steelworkers union, il principale sindacato statunitense che rappresenta i lavoratori del metallo. – Nippon Steal si è dimostrata un’azienda che ha ripetutamente violato le norme del commercio, cercando per decenni di minare la nostra industria nazionale immettendo nel nostro mercato i suoi prodotti a prezzi inferiori. Permetterle di acquistare U.S. Steel le avrebbe offerto l’opportunità di destabilizzare ulteriormente il nostro sistema commerciale dall’interno. – ha poi concluso – Siamo grati al Presidente Biden per la sua disponibilità ad agire con decisione per mantenere un’industria siderurgica nazionale forte e per il suo impegno di lunga data nei confronti dei lavoratori americani».

Pareri positivi nei confronti della decisione di Biden non arrivano solo dai sindacati di categoria ma anche dagli analisti economici giapponesi. «Alcuni investitori potrebbero vedere il fallimento dell’acquisizione come un sollievo per le preoccupazioni finanziarie, date le cifre destinate all’investimento». Ha dichiarato Yoshihiko Tabei, capo stratega di Naito Securities, specificando come Nippon Steel non aveva ancora perfezionato un piano finanziario per supportare l’investimento dei 14,9 miliardi necessari all’acquisizione. Parole alle quali fanno seguito quelle di Yuji Matsumoto, analista di Nomura Securities, che in una nota ha affermato: «Anche se l’accordo non andrà avanti, le prospettive di guadagno per Nippon Steel rimangono invariate, con una crescita significativa prevista per il prossimo anno fiscale, a partire da aprile. Inoltre, la rimozione dell’incertezza legata al finanziamento dell’operazione potrebbe supportare il prezzo delle azioni di Nippon Steel nel breve termine».

La continuità tra le amministrazioni Biden e  Trump
Nonostante questa sia la prima volta che un presidente statunitense blocca la fusione tra un’azienda statunitense e una giapponese, questa vicenda sembra non essere destinata a produrre serie ripercussioni nei rapporti diplomatici tra Washington e Tokyo, necessari per contenere l’influenza della Cina. Oltre a ciò, un post scritto sul social Truth dal neoeletto Donald Trump, che tornerà alla Casa Bianca dal prossimo 20 gennaio, sembra voler mantenere una linea di continuità con questa decisione: «Perché vorrebbero venderla ora che i dazi la renderanno un’azienda molto più redditizia e preziosa? Non sarebbe bello se la U.S. Steel, un tempo la più grande azienda del mondo, guidasse di nuovo la carica verso la grandezza? Tutto può accadere molto rapidamente».

Una posizione trasversale tra i due schieramenti se si tiene conto che l’acquisizione di U.S. Steel ha avuto un ruolo di primo piano nella campagna elettorale per le ultime presidenziali, data la sede del colosso americano a Pittsburgh, in Pennsylvania, uno degli stati chiave nell’ultima competizione elettorale in quanto “culla” delle principali acciaierie statunitensi.  Mentre l’Europa trema per la nuova ondata protezionistica prospettata dal tycoon newyorkese, la posizione di Biden su questo tema, già dalle elezioni del 2020 e rilanciata in occasione delle consultazioni del 2024, si è sempre riassunta efficacemente in uno slogan di due parole diventato virale negli Stati Uniti: “Buy american”, rimarcando una  continuità tra i due sulla linea da seguire in economia: interventismo e protezionismo.



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