Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca

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Lorenzo Battiglia propone alcune riflessioni in merito alla rielezione di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti d’America.

Il miliardario newyorkese Donald Trump tornerà ad essere inquilino della Casa Bianca. Essendo diventato il quarantasettesimo presidente americano, il 20 gennaio, pronuncerà il suo giuramento. Il risultato delle elezioni non era previsto in maniera così schiacciante: 312 grandi elettori assegnati ai repubblicani contro i soli 226 dei democratici. Ma perché la vittoria di Trump non è poi così sconvolgente? In primo luogo va detto che, dopo l’impegno degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale – durante la presidenza di Franklin Delano Roosevelt – dal 1945 gli Stati Uniti sono stati impegnati in conflitti bellici sotto i mandati di tredici presidenti su quattordici al governo fino ad oggi. Tra le tante guerre possiamo ricordare quella in Corea durante l’amministrazione Truman, quella in Vietnam iniziata da Kennedy, la prima Guerra del Golfo portata avanti da George Bush Senior e quella in Afghanistan iniziata dal figlio Bush Jr. Dopo quest’ultimo sembrava che gli Stati Uniti potessero deporre le armi e invece arrivò Obama nel 2009 – anno in cui ottenne il premio Nobel per la pace – che nei suoi otto anni di mandato bombardò Siria, Libia, Iraq, Afghanistan, Yemen e Somalia. Quando nel 2021 fu eletto Biden, un anno dopo scoppiò la guerra in Ucraina e nel 2023 il conflitto in medio oriente, che l’inquilino della “White House” non seppe gestire. In questo elenco di presidenze, seguite a quella di Roosevelt, curiosamente solo quella di Donald Trump fa eccezione. Il presidente degli Stati Uniti, in carica dal 2017 al 2021 è l’unico a poter vantare di non aver dovuto portare avanti nessun conflitto. Forse ad influire su ciò ci sarà stato il periodo del Covid. Poco importa, come già detto appena terminato il governo di Trump, con Biden le guerre sono tornate al centro dell’agenda politica con buona pace dei cittadini statunitensi e degli alleati europei. In più durante la presidenza Trump venne avviata un’importante strategia diplomatica per normalizzare i rapporti tra Israele e alcuni paesi arabi, arrivando alla firma degli accordi di Abramo tra lo stato ebraico, Emirati Arabi e Bahrain. In secondo luogo a concorrere alla rielezione di Trump potrebbero aver pesato i voti di molti elettori indecisi perlopiù evangelici. Quest’ultimi in linea col pensiero protestante da sempre attento a cogliere nella vita di tutti i giorni i segnali del volere divino, di fronte ai due attentati falliti verso il candidato repubblicano, secondo alcuni analisti, avrebbero interpretato ciò in chiave religiosa convincendosi a non votare per la Harris. Nonostante il ruolo giocato dagli indecisi, è il già citato tema della guerra, ad aver influito maggiormente sul risultato delle elezioni. Molti analisti europei ed italiani nel commentare il grido “America first” pronunciato da Trump durante la campagna elettorale hanno mostrato tutto il loro sdegno, declassando ciò a becero populismo. Non c’è da stupirsi se queste parole di Trump sono state accolte positivamente dagli statunitensi, esattamente come la maggioranza degli italiani rivendica l’analogo principio “prima gli italiani”, di cui la destra cerca di farsi interprete. Gli americani, soprattutto quelli della classe media, da tempo sono stufi di vedere spesi budget esorbitanti per guerre che sentono lontane. Nemmeno il richiamo a grandi ideali come il voler consegnare alle popolazioni di certi stati la democrazia tipica dell’Occidente, o il dover combattere il terrorismo, bastano più a far digerire la cifra di 62 miliardi di dollari, che il segretario alla difesa americano Lloyd Austin ha dichiarato essere stati spesi, dal 2022 ad oggi, per la guerra in Ucraina. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, poiché un investimento così notevole, normalmente già elevato per difesa – anche europea – e le spese militari, si è ripercosso negativamente su fondi che il governo destina a quel poco di welfare esistente. Di fronte a questo legittimo sentimento degli statunitensi è surreale vedere i commentatori del Vecchio continente gridare allo scandalo, vedendo con ribrezzo le affermazioni di Trump sul poco contributo economico che gli stati europei forniscono alla Nato. È del tutto evidente che il nuovo presidente americano non porterà mai il suo paese fuori dalla Nato e altrettanto lo è il fatto che gli europei più di tanto non possono contribuire economicamente a questa istituzione. Quello che dovrebbero chiedersi gli stati europei, e che in fondo è la sollecitazione di Trump, è quando smetteranno di ragionare singolarmente, dipendendo in tutto e per tutto dalla strategia diplomatica americana, per giungere ad elaborare un’idea propria di politica estera tale da far dire agli Stati Uniti di essere di fronte a paesi responsabili, che sanno contribuire alla prevenzione e risoluzione diplomatica dei conflitti, senza bisogno di qualcuno che gli faccia da “badante”. Ecco spiegata la vittoria di Trump non frutto dell’insensibilità degli americani verso il mondo, ma della legittima richiesta a chi li governa di attenzione, la stessa che molti Italiani ed europei, alle prese con la crisi economica, la difficoltà ad arrivare a fine mese, il desiderio di sicurezza e di un’immigrazione controllata rivendicano.

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Lorenzo Battiglia



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