Inchiesta corruzione Venezia, l’ex assessore Renato Boraso e altri tre a giudizio immediato

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Quattro degli indagati nell’inchiesta per corruzione nel Comune di Venezia, oggi tutti ai domiciliari, tra cui l’ex assessore Renato Boraso, andranno a giudizio immediato in Tribunale il 27 marzo prossimo. Con Boraso finiranno davanti ai giudici gli imprenditori Daniele Brichese, Francesco Gislon e Fabrizio Ormenese. Lo ha deciso il giudice di Venezia Alberto Scaramuzza. L’accusa, sostenuta dai pm Federica Baccaglini e Roberto Terzo, è basata su una serie di operazioni immobiliari realizzate all’interno del territorio comunale e della città Metropolitana di Venezia per realizzare parcheggi, infrastrutture materiali e immateriali, lavori di manutenzione di scuole, nonché – tra le varie operazioni ritenute illecite – il cambio di destinazione d’uso di aree. Il tutto, secondo l’accusa, in un giro d’affari con pagamento di mazzette per atti amministrativi che avrebbe visto Boraso quale principale interlocutore delle imprese.

La vicenda, esplosa nella primavera del 2024, vede complessivamente indagate 33 persone (compresi i quattro a processo) legate a una serie di presunte corruttele nell’amministrazione lagunare con uomini d’affari compiacenti ed interessati ad operazioni su Venezia. Il filone per cui è stato chiesto ed accolto il giudizio immediato è per quanti sono stati prima in carcere e poi ai messi ai domiciliari o direttamente ai domiciliari. La corruzione sostenuta dall’accusa riguarda una serie di interventi sparsi su tutto il territorio del comune ai danni della città stessa, tant’è che nel dispositivo del gip figurano come parti lese il Comune di Venezia e la Città metropolitana di Venezia ma anche le società che controllano il trasporto pubblico e altre attività ad esso legate come Actv Spa e Vela Spa, nonché il Casinò di Venezia.

Resta aperta la vicenda che riguarda gli altri indagati tra cui figura il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, i vertici amministrativi del Comune ovvero il capo di gabinetto e il direttore generale, Morris Ceron e Derek Donadini e sempre tra le figure di spicco l’immobiliarista di Singapore Chiat Kwong Ching. Per loro i filoni di inchiesta sono due riguardano la compravendita di un palazzo e la trattativa, mai chiusa, per l’area di Marghera prospicente la laguna detta dei Pili. Il primo caso è la vendita dal parte del Comune di Palazzo Papadopoli acquistato, unico partecipante all’asta, da Chiat Kwong Ching per 10 milioni e 800mila euro dopo che l’incanto del valore di 14 milioni era andata a vuoto. Il secondo caso, l’area dei Pili, interessa un vasto terreno di 41 ettari da bonificare che Brugnaro, prima di diventare sindaco e da imprenditore, aveva comprato dal Comune per 5 milioni di euro. L’affare, andato in fumo durante i primi anni di mandato di Brugnaro, prevedeva che il magnate di Singapore comprasse i Pili a fronte di un’ipotetico ampliamento dell’area edificabile che avrebbe compreso la realizzazione del palasport per la Reyer Basket di proprietà del sindaco prima che questi trasferisse tutti i suoi beni ad un blind trust in stile Usa per sfuggire all’accusa di conflitto di interessi.

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