Da Gibellina ad Agrigento solo andata: intervista a Calogero Pumilia

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Traspare un sottile velo di amarezza nelle parole di Calogero Pumilia. L’ex parlamentare italiano, tra i più autorevoli esponenti del panorama culturale, sociale e politico siciliano, in questi giorni si è dimesso dalla carica di Presidente della Fondazione Orestiadi, l’organizzazione culturale con sede a Gibellina, a pochi mesi dalla proclamazione della stessa a Capitale Italiana dell’Arte Contemporanea 2026. Presidente dal 2015, Pumilia si è congedato in polemica con alcuni esponenti del CdA della Fondazione che, tra le altre cose, avrebbero anche messo in discussione il valore della presenza delle Orestiadi ad Agrigento, ritenendola “un inutile spreco di risorse finanziarie e umane, sottratte alle attività di Gibellina”.

Onorevole Pumilia, possiamo affermare che aveva ragione Leonardo Sciascia quando ha definito la Sicilia “irredimibile”?
“Sono sempre portato all’ottimismo e a credere che nulla sia irredimibile o irreversibile. Non è facile, però, coltivare questo ottimismo in una terra nella quale, in mezzo a tante cose positive, spesso prevalgono alcuni aspetti negativi. Ritengo, per rispondere alla sua domanda, che in Sicilia permangono criticità maggiori rispetto ad altri posti del nostro Paese.”

Gibellina nel 2026 sarà Capitale Italiana dell’Arte Contemporanea. Secondo lei, i suoi 10 anni di presidenza hanno agevolato questo percorso?
“Non mi piace essere autoreferenziale. L’arte contemporanea a Gibellina, voluta da Ludovico Corrao, è stata presa in mano da me in un momento in cui tutto sembrava finito. Senza l’attività della Fondazione Orestiadi, l’arte contemporanea a Gibellina non ci sarebbe. Al di là dei meriti che ha avuto il Comune, che ha creduto in questa prospettiva, l’arte contemporanea a Gibellina si identifica con la Fondazione.”

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In un suo lungo post non nasconde il suo timore che il 2026 si possa trasformare in una “occasione banale di rissa”…
“Mentre ad Agrigento vedo in atto una fortissima delusione rispetto alle aspettative, a Gibellina c’è ancora un anno e tutto può ancora accadere. Sono convinto che anche senza di me la Fondazione farà delle cose interessanti. Ma iniziare un percorso con una lite equivale a non sapere valorizzare le opportunità, facendo così scatenare gli istinti peggiori: invidie, gelosie, ambizioni, attorno a una opportunità che, invece, dovrebbe suscitare consenso, disponibilità, concordia e sforzi comuni. È questo quello che più mi preoccupa della vicenda.”

Parla di alcuni “nemici della cuntintizza”. A chi si riferisce?
“Mi sono dimesso in polemica con gli esponenti della Fondazione che, a mio giudizio, non hanno compreso che un percorso non si inizia con un danno oggettivo alla Fondazione. Qualunque elemento di conflitto e divisione, al di là dei torti o delle ragioni, è obiettivamente un danno per le istituzioni. La Fondazione Orestiadi non può essere affidata a un gruppo ristretto di persone che la ritengono una cosa propria. Il rischio è quello di svilirne il senso.”

Disaccordi legati anche alla decisione di investire su Agrigento?
“Questo tema è l’esempio concreto dell’incapacità di capire la vera dimensione delle cose. Prima ancora della proclamazione di Agrigento Capitale della Cultura, ho iniziato un percorso verso Agrigento, consapevole di poter fare un nuovo esperimento culturale. Ho così incontrato la disponibilità del Parco Archeologico della Valle dei Templi, per unire due realtà molto diverse tra loro anche nella dimensione. Significava, peraltro, recuperare una tradizione che fu della Fondazione Orestiadi, che per 10 anni ha avuto una sede a Tunisi, ma con le radici sempre ben piantate a Gibellina. Bisogna comprendere, per rimanere fedeli alla propria missione, che è fondamentale affidare le proprie risorse ad altri territori.”

In linea con quella “ricerca del nuovo” voluta dal padre fondatore dell’Orestiadi, Ludovico Corrao…
“Sì! Confrontarsi con culture e religioni diverse. Con Le Fabbriche, per esempio, in un anno abbiamo fatto diverse iniziative di successo, incontrando l’attenzione e la solidarietà degli agrigentini e dei visitatori, ma anche l’ostilità di chi si occupa della politichetta locale.”

Un tema che ha ispirato anche la mostra di Michele Canzoneri che si inaugura il prossimo 12 gennaio…
“L’evento inaugura il programma degli eventi del nuovo anno. Si tratta di una mostra ambientata nella Siria prima della caduta del regime di Assad. Desideravo che l’esperienza di Canzoneri, fatta 20 anni fa in Siria, confermasse la tradizione della Fondazione per l’interesse verso l’altra sponda del Mediterraneo.”

Quale futuro augura alla Fondazione?
“Il migliore! Ho investito 10 anni della mia vita in termini assolutamente gratuiti, per mia scelta e per come impone lo statuto. Solo nell’ultimo anno ho avuto un parziale rimborso delle spese. Quando 10 anni fa ho iniziato questa mia esperienza, la Fondazione era sostanzialmente chiusa, con un debito di 1 milione e 600 mila euro. Il personale non era pagato da un anno e i decreti ingiuntivi erano costanti. Non posso, dunque, non guardare con interesse a una creatura che per 10 anni è stata anche mia, nonostante gli sforzi che stanno facendo per ridurla a una cosetta di poco conto.”

Quale eredità lascia alla Fondazione?
“L’impegno generoso e l’esempio di una persona che, nel suo compito in Fondazione, ha cercato di sommare tre caratteristiche personali: un minimo di attitudine alla cultura, una serie di relazioni personali e politiche, frutto dell’esperienza di tanti anni, e una certa capacità organizzativa. Ho creduto in un progetto, animato da una considerazione: siccome la vita mi ha dato tanto, ho voluto riversare qualcosa di quello che ho avuto al servizio della società e di una iniziativa culturale italiana. Desidero, infine, ringraziare tutto il personale e i collaboratori che ho avuto in questi anni, in particolare Beniamino Biondi, che ha messo a disposizione la sua cultura e la sua generosità per realizzare importanti iniziative culturali.”

Progetti per il futuro o il futuro è adesso?
“Ho 88 anni (sorride). Mi aspetto di vivere ancora un po’ per i miei figli, per mia moglie, per i miei nipoti. Non sono un giovane in carriera. Continuo a scrivere e sono ben lieto di offrire il mio parere, quando qualcuno mi chiede un’opinione su fatti di politica. Quando non sono stato più deputato, mi chiesi che cosa avrei potuto fare, ma allora avevo meno di 70 anni. Ho fatto il sindaco del mio paese, l’amministratore di Poste SPA, il presidente della Fondazione Orestiadi. Ma oggi me lo chiedo di meno, perché devo fare i conti con gli anni.”

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Luigi Mula

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