meglio investire il TFR o no?

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Il tema pensione è un problema attuale per gli italiani, di fronte ad un sistema pensionistico che non riesce a soddisfare le aspirazioni di benessere dei futuri pensionati, ma anche alla scarsa presa delle previdenza complementare, che sino ad oggi non è riuscita ad attrarre le preferenze e le scelte di investimento delle famiglie. Ma c’è anche una terza chance per investire nel proprio futuro: il TFR, cioè di quella parte della retribuzione che viene corrisposta alla cessazione del rapporto di lavoro, può essere accantonato in azienda o anche destinato ad un fondo pensione.  Dal 2025, poi, la previdenza integrativa può servire ad anticipare il momento della pensione per i lavoratori che hanno iniziato a contribuire dal 1996 in poi: una misura che ha l’obiettivo di incrementare il numero di adesioni alla previdenza complementare e di stimolare il conferimento del TFR e i versamenti volontari dei lavoratori.

Un sondaggio effettuato da Moneyfarm, società di consulenza finanziaria con approccio digitale, segnala che l’85% dei risparmiatori intervistati considera economicamente bin una forma di previdenza integrativa. Tuttavia, soltanto un terzo del campione è effettivamente passato dalla teoria alla pratica ed ha scelto di conferire il TFR a un fondo pensione.

Un tesoro in gran parte inutilizzato

A livello nazionale. fra il 2007 ed il 2023, soltanto il 22% del totale del TFR accumulato nelle aziende, pari a circa 97 miliardi, è stato conferito a una forma di previdenza integrativa. Il resto è rimasto in azienda: circa 98 miliardi sono stati destinati al Fondo di Tesoreria dell’INPS (per le aziende con più di 50 dipendenti) e 242 miliardi si trovano nei bilanci o nel circolante delle imprese (quelle con meno di 50 dipendenti). Un tesoro pressoché inutilizzato, che i lavoratori potrebbero investire per integrare l’assegno pensionistico pubblico.

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Gli ostacoli all’impiego del TFR

Alla base della scelta di tenere il TFR in azienda v sarebbe soprattutto un problema di disinformazione. Secondo il 39% degli intervistati da Moneyfarm molti lavoratori dipendenti semplicemente non sanno di poter conferire il TFR a un Fondo Negoziale di Categoria, a un Fondo Aperto o ad un PIP.

Un altro tema è quello della flessibilità, poiché quasi un quarto degli intervistati ritiene che il TFR in azienda sia più liquido e flessibile. In effetti, quando si tiene il TFR in azienda, si può riscattare il 100% in caso di licenziamento o di cambio di impiego, mentre destinandolo alla previdenza complementare, questo è possibile solo dopo quattro anni di disoccupazione.

I vantaggi del TFR investito

Se è vero che il TFR lasciato in azienda dà la sensazione di essere più liquido, la flessibilità è solo apparente. Infatti,  mentre l’anticipazione del TFR lasciato in azienda può essere richiesta soltanto una volta nell’arco dell’intero rapporto di lavoro, con un massimale annuo, con la previdenza integrativa non ci sono limiti alle domande di anticipazione, che possono essere inoltrate per le spese sanitarie (fino al 75% del totale accantonato in ogni momento), per l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa (fino al 75% del totale dopo otto anni di versamenti), o per qualsiasi altro motivo (fino al 30% del totale trascorsi otto anni).

Una analisi della convenienza depone poi a favore dell’investimento del TFR, poiché ad ogni cambio di occupazione, il TFR liquidato viene tassato in funzione delle aliquote Irpef (dal 23% al 43%), mentre il TFR destinato alla previdenza complementare “segue” il lavoratore a ogni cambio di lavoro, venendo tassato solo al momento della pensione con un’aliquota finale che varia dal 9% al 15%, a seconda degli anni di permanenza nella previdenza integrativa.

La rivalutazione del TFR non conviene

Guardando al rendimento del TFR nei diversi impieghi, emerge che il TFR lasciato in azienda si rivaluta ad un tasso fisso dell’1,5%, cui si somma il 75% del tasso di inflazione, offrendo un media negli ultimi 10 anni una rivalutazione del 2,3%, mentre quello investito in un fondo pensione (PIP) offre un rendimento che dipende dall’andamento dei mercati finanziari, che ha reso in media il 4,8% negli stessi dieci anni. Al netto di costi e fiscalità, anche in uno scenario di elevata inflazione media (3%), lasciare il TFR in azienda ha un costo per gli anni della pensione, con differenze che per i più giovani possono arrivare all’83% di ricchezza in meno.

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