Democrazia globalizzazione e diritti, dialogo a distanza tra il presidente della Cei Zuppi e l’arcivescovo di Milano Delpini

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La fatica di ritrovare la strada è della sinistra o del centrosinistra, in conflitto, in concorrenza nell’irresponsabilità di fronte alle sciagure del nostro tempo, negando il valore etico della politica, il senso di una missione. “Cuori ottenebrati, afflitti, abbattuti”. Lo scriveva Pio XII nel dicembre del 1944 e lo ricorda il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna. Lo leggiamo grazie a Repubblica, che propone brani dell’intervento che il presidente della Cei ha presentato ieri all’istituto Luigi Sturzo di Roma, nel corso del convegno su “Chiesa e democrazia a ottant’anni dal radiomessaggio di Pio XII per il Natale del 1944”. Nei giorni terribili della seconda guerra mondiale: “L’alba del Natale – diceva il Papa – si leva sui campi di battaglia sempre più estesi, su cimiteri ove sempre più numerose si accumulano le spoglie delle vittime… sulle rovine di città dianzi fiorenti e prospere”.

Il cardinale Zuppi, presidente della Cei, al Festival dell’Accoglienza a Torino, foto di Costantino Sergi, Fotogramma

Il valore della speranza

Quei “paesaggi” sono di nuovo, ottant’anni dopo, nella nostra esperienza: Ucraina, Gaza, Libano, Siria, Sudan, rovine e morte. I pezzi della guerra mondiale sembrano saldarsi in una pandemia che non suscita analoga reazione e una analoga solidarietà internazionale come accadde per il Covid. Pio XII non negava però la speranza e si interrogava sui modi specifici attraverso i quali si può dar concretezza alla speranza: come questa speranza potesse e possa “cambiare il mondo”.
Pio XII indicava una via, perché dopo aver parlato dell’ordine internazionale post bellico nel 1941 e di una nuova giustizia sociale, affrontava le grandi questioni politico-istituzionali – sono parole del cardinal Zuppi – e, per la prima volta nel magistero della Chiesa, manifestava la preferibilità di uno specifico sistema politico: la democrazia. Proprio quel sistema politico che il fascismo e il nazismo avevano soffocato trascinando il mondo nella catastrofe bellica.

La crisi della democrazia

Sui caratteri della democrazia si soffermerà, più avanti nel tempo, Paolo VI:  “La Chiesa ci ricorda l’origine divina dell’autorità e insegna a quanti la esercitano che il loro potere è limitato dai diritti della coscienza e dalle esigenze dell’ordine naturale voluto da Dio”. Democrazia vuol dire “confini” tra governo e rispetto dell’individuo, un principio che deve osservare chi comanda e che implica equilibrio delle funzioni.

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Ratzinger, prima di divenire Papa, aveva scritto: “La garanzia della collaborazione nella formazione della legge e nell’equa gestione del potere è il motivo fondamentale a favore della definizione della democrazia come la forma di ordinamento politico più adeguata…”.

Papa Francesco dovrà confrontarsi invece con la crisi della democrazia e indicherà nella “globalizzazione” un pericolo, una minaccia: “Mantenere viva la realtà delle democrazie è la sfida che oggi la storia ci pone. La globalizzazione colpisce la vitalità del sistema democratico depotenziando il ricco contrasto, fecondo e costruttivo, delle organizzazioni e dei partiti politici fra di loro”.

Un progetto comune fondato su solidarietà e democrazia

Netto nel suo giudizio Zuppi: “Democrazia, infatti, è un sistema politico-istituzionale che implica anche un ricco pluralismo sociale e culturale, mentre la globalizzazione svuota la società di tale pluralismo, indebolisce o addirittura azzera i corpi intermedi, che ne garantiscono la vitalità a tutti i livelli e che sono l’humus vitale della democrazia: la Chiesa li conosce bene, essa stessa ne fa parte. Difendere la democrazia, dunque, vuol vitalizzare i corpi intermedi: proprio l’opposto di quanto accaduto negli ultini decenni, non solo in Italia”. Ancora: “La crisi della democrazia non è solo crisi di classi dirigenti, è anche crisi dei popoli: crisi, cioè, di vincoli di solidarietà che fondano legami stabili; del senso di un destino condiviso; della volontà di costruire una casa comune…”.
Zuppi cita ancora Francesco, che non mitizza, non santifica il popolo, non crede che tutto quello che fa il popolo sia buono… I popoli non sono per lui le nazioni nel senso di invenzioni politico- culturali che i nazionalismi creano, pretendendo che siano eterne, per contrapporre popoli diversi o per dividerli al loro interno tra un popolo “vero” (noi, i patrioti) e chi non è degno di farne parte (loro, gli antipatrioti). Il popolo si fa in un processo, con l’impegno in vista di un progetto comune che vada oltre gli interessi e i desideri personali…”. Francesco, attraverso il suo cardinale, indica la strada: un “progetto comune”, fondato sulla solidarietà e sulla democrazia, che proprio i corpi intermedi, dai sindacati ai partiti alla Chiesa stessa, possono garantire, strumento di progresso umano.

L’arcivescovo di Milano Mario Delpini. Foto di Massimo Alberico, Fotogramma

Uguaglianza e giustizia sociale

Sono alcune citazioni ovviamente da un discorso ben più ricco, che dall’idea di democrazia partecipata ci rimanda a valori di eguaglianza dei diritti e di giustizia sociale, valori invocati – nel giorno di S.Ambrogio ma anche ieri, alla presentazione di una iniziativa per la casa, un milione di euro per chi fatica a pagarsi un tetto – con inattesa forza dall’ arcivescovo di Milano, Mario Delpini, che mai aveva fatto sentire così forte la sua voce, critico nei confronti della città (“Milano è stanca”), puntiglioso nell’elencare guasti e bisogni che sono i guasti e i bisogni di una società intera, di un paese intero, oltre peraltro quotidiane sofferenze: “La gente non è stanca della vita. E’ stanca di una vita senza senza senso. E’ stanca di una previsione di futuro che non lascia speranza… è stanca di un lavoro che non basta per vivere…”.

A proposito di tasse non risparmia un ammonimento: “Chi si è arricchito con la sua intraprendenza, grazie alle condizioni favorevoli, traendo vantaggio dalla collaborazione di molti o dalla vicenda familiare è in debito verso coloro che si sono impoveriti. La ricchezza onesta è una responsabilità sociale”.

Un’analisi spregiudicata dei mali sociali e politici

Due altri passaggi. Lo sfinimento della gente di fronte ad una forma di comunicazione che raccoglie la spazzatura della vita e l’esibisce come se fosse la vita, di una cronaca che ingigantisce il male e ignora il bene, dei social che veicolano “narcisismo, volgarità e odio”. E ancora: la nevrosi per gli animali “che invadono in modo sproporzionato le case, gli affetti, le risorse, il tempo della gente e sembra talora che prendano il posto dei bambini…”.
Anche in questo caso abbiamo raccolto poche frasi, che regalano però una prova di capacità critica, di lucidità, di coraggio, una lettura lontana da cautele che possono adombrare assoluzioni.
In un caso e nell’altro, tra Zuppi e Delpini, si delinea la politica, quella vera, quella nobile, che tiene a cuore le istituzioni e la democrazia che le regola, s’afferma quanto siano indispensabili i cosiddetti corpi intermedi (che brutta espressione per dire sindacati, partiti, associazioni, anche la Chiesa, come ammoniva Zuppi, ecc.), si definisce il quadro dei mali sociali (dalle basse retribuzioni agli incidenti sul lavoro, dalla sanità alla scuola), persino si maltrattano peccati e vizi della nostra cultura (tra deficit dell’informazione e amore per i cani, a rischio di polemiche).
Due religiosi (è accaduto con altri in altri tempi, da Giuseppe De Luca a David Maria Turoldo, da Primo Mazzolari a Lorenzo Milani) non ci propongono un libro di preghiere, ma, a legger bene, una analisi spregiudicata del nostro mondo, molto italiano. C’è sempre da imparare.



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