Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci de “L’illegalità protetta”, il libro edito per la prima volta nel 1990 e ristampato nuovamente da Glifo Edizioni, dedicato a Rocco Chinnici e ai giudici del pool antimafia
Testo dell’intervista pubblicata in «Segno», a. VII, Nuova Serie, n. 10- 11 (27), Palermo, ottobre-novembre 1981, col titolo “Palermo una città dominata dalla mafia”.
Abbiamo una città tra le più dilaniate dal fenomeno delinquenziale. Una città permeata di mafia. La mafia domina a Palermo. Ha dominato e continua a dominare. Fino a un certo periodo la sua attività era limitata al controllo delle aree edificabili e al contrabbando delle sigarette.
Ora invece abbiamo una attività nuova della mafia: quella della droga, che siccome è lucrosissima ha fatto esplodere questo contrasto, i cui momenti specifici non siamo riusciti ancora ad individuare in modo completo, ma che sappiamo essere un contrasto di interessi.
Sarà che c’è un gruppo che vuole inserirsi e un altro che vi si oppone, sarà che ci sono questioni di miliardi non ancora risolte. Indubbiamente ciò che caratterizza oggi la città è, dal punto di vista della criminalità e del susseguirsi di tutti questi omicidi, un contrasto tra gruppi di mafia che si dilaniano fra loro.
Chi parla è il dott. Rocco Chinnici, consigliere istruttore dirigente l’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo. Un uomo lucido e rigoroso che svolge il suo lavoro quasi con religiosa dedizione. Certo, non è la ferocia con cui la mafia compie i suoi delitti che fa meraviglia, né lo spreco di morti né la teatralità dei crimini. Ci sono fatti nuovi che spiegano quel che sta accadendo a Palermo?
I fatti nuovi sono questi. In passato non c’era stato un intervento deciso dell’autorità. Perché noi siamo venuti a conoscenza di certi fatti sul finire del 1978. Solo allora fu avvia un’indagine per accertare quello che poteva esserci di vero nelle notizie vaghe e imprecise circa un afflusso di denaro di provenienza illecita dagli USA in Italia. E dobbiamo dare atto compianto dott. Boris Giuliano dell’intelligenza e del coraggio con cui seppe indicare il canale Usa-Italia.
Fu lui che per primo parlò anche dell’eroina prodotta in Sicilia e trasferita in America con il compenso di notevoli quantità di denaro. Dopo di lui indagò il capitano Basile, e così si ebbe la certezza, attraverso riscontri obiettivi, che quello che aveva detto il vicequestore Giuliano rispondeva a verità. Si trattava ormai di individuare i soggetti, e di procedere come si è proceduto.
Perché sino a quella data la magistratura non sapeva nulla?
Il motivo è questo. L’autorità giudiziaria viene informata dalla polizia attraverso i rapporti giudiziari. Noi giudici non abbiamo una iniziativa diretta per individuare i reati, i rei. La prima linea è costituita dai carabinieri, dalla polizia, dalla guardia di finanza. Prima del 1978 sulla materia droga avevamo notizie vaghe.
C’era stato sì un processo nel 1966-67 che ebbe vicende alterne: questione di incompetenza territoriale, invio a Roma, poi ritorno a Palermo. Ma si concluse con un nulla d fatto. C’era stato anche un altro processo, ma si concluse con una condanna di poco conto, perché allora fu difficile acquisire elementi probatori di certezza. Ripeto, solo sul finire del 1978 noi potemmo avviare un lavoro solido e deciso.
Boris Giuliano, Cesare Terranova, Emanuele Basile, Gaetano Costa, Piersanti Mattarella, ecc., grandi vittime della mafia. Un tempo, se si eccettuano pochi casi come la strage di Ciaculli, quando cadeva un carabiniere, un poliziotto, si poteva pensare a un incidente. Adesso, invece, la mafia mira in alto, attacca i gangli dello Stato in modo scoperto e sistematico. Perché?
In genere, quando si parla di mafia si fanno delle distinzioni: mafia vecchia, mafia nuova. Io ho sempre sostenuto che la mafia è una e una sola, anche se opera in diversi settori economici e in diverse province, perché una delle caratteristiche della mafia è l’interprovincialità. Ora, il collegamento dell’associazione mafiosa con «Cosa Nostra», cioè con la mafia americana – che poi si dice americana perché opera in America, ma i suoi esponenti sono di origine siciliana, della provincia di Trapani e principalmente di Palermo – ha comportato trasformazioni.
Il cambiamento consiste in questo: in una maggiore spregiudicatezza e nell’abbandono di certe regole che prima portavano a risparmiare il poliziotto, il magistrato, le donne, ecc. Insomma, la mafia siciliana trapiantata in America ha assimilato i metodo gangsteristico e ricattatorio degli americani. Motivo per cui abbiamo una mafia che ha sempre una finalità ben precisa: arricchirsi in qualsiasi modo e con qualunque mezzo ma cambiando i sistemi e i metodi.
Quando vi siete accorti che i metodi erano cambiati?
Dalla strage di viale Lazio. Allora si è capito che la mafia aveva cambiato metodi, pur rimanendo associazione per delinquere con finalità d’arricchimento illecito. Prima qual era l’attività della mafia? Imporre il pizzo, imporsi nelle aree edificabili, controllare tutte le costruzioni, l’erogazione delle acque per uso irriguo, il contrabbando. Dal 1970, invece, comincia a commettere i reati più odiosi che possano esistere: nel Nord il sequestro di persona, da noi il traffico della droga.
La mafia uccide giornalmente. Perché tutti i ragazzi che muoiono in America, in Francia, Inghilterra, Norvegia, Italia, e per overdose, indubbiamente devono pesare sulle associazioni mafiose produttrici e spacciatrici di eroina. Pur di fare soldi! Ecco perché la mafia oggi è più spregiudicata che mai, spietata, gangsteristica nel senso proprio della parola. L’importante è fare soldi, dollari. Se poi dal traffico dell’eroina migliaia e migliaia di giovani muoiono, non importa. Ripeto, la mafia è stata sempre odiosa, ma oggi è più odiosa che mai.
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